Gli scacchi della vita di Stefano Simone

Massimo è un giovane architetto di successo. Ha una casa, una bella moglie che fa la scrittrice e la vita sembra proprio andargli a gonfie vele. Un giorno, mentre si sta recando a piedi da un cantiere all'altro, viene investito da un autista distratto. Lo ritroviamo poco dopo, sul letto di un ospedale, assistito dalle amorevoli cure della moglie la quale, per non fargli pesare l’immobilità e la noia tipiche dei ricoveri ospedalieri, gli propone di leggere in anteprima le bozze del suo ultimo libro, intitolato “Gli scacchi della vita”. Il libro, come lei stessa afferma, parla di «una vita decisa da una partita a scacchi» e Massimo sembra incuriosito, sebbene la trama gli ricordi qualcosa. Verso sera però, l’uomo entra improvvisamente in un coma profondo, lasciando la povera moglie impotente e affranta. Lo ritroviamo poco dopo in un luogo/non luogo, una sorta di gigantesco capannone sperduto nella campagna urbanizzata. Ad attenderlo al suo interno c’è un singolare personaggio completamente vestito di bianco, seduto di fronte a una scacchiera, che lo invita a giocare insieme a lui. Sta sognando? È nell’aldilà? Date le circostanze e l’assoluta mancanza di riferimenti, Massimo non può far altro che accontentare il curioso individuo e giocare, sperando di vincere una partita che può valere il suo risveglio. Ha inizio così un affascinante viaggio all'indietro, nel quale il nostro protagonista evocherà episodi controversi della sua vita trovandosi più volte a lottare per il suo posto nel mondo.

Dopo il thriller Week end tra amici del 2013, Stefano Simone torna dietro la cinepresa, dirigendo un lungometraggio tratto da un racconto di Gordiano Lupi. Dopo il fortunato Una vita nel mistero del 2010, il regista di Manfredonia si tuffa nuovamente nel mondo metafisico, mettendo in scena una suggestiva vicenda sospesa tra il mondo reale e l’aldilà, strizzando dichiaratamente l’occhio al genio di Ingmar Bergman. 
A 29 anni Stefano Simone è un regista che ha già alle spalle una carriera di tutto rispetto e personalmente posso vantarmi di aver seguito la sua crescita professionale e stilistica passo dopo passo, fin dai tempi di Kenneth (2008), il primo suo film di cui scrissi. Simone è indubbiamente cresciuto, maturato: dalle riprese dei suoi primi cortometraggi, fatte di inquadrature taglienti unite tra loro da un montaggio ruvido ed essenziale, sembra ormai essere passato a una tecnica più consapevole e a una poetica delle immagini che definirei quasi meditativa. In Gli scacchi della vita è evidente come il regista pugliese non debba più per forza ripiegare sulla sperimentazione dei colori o su particolari scelte di montaggio per riuscire a nel difficile compito di lasciare il segno nello spettatore. A parlare sono le inquadrature, così come le ormai consapevoli scelte nella composizione dei quadri e nel bilanciamento degli elementi presenti nella mise en scène (un notevole passo avanti peraltro già notato in Una vita nel mistero). A questo va aggiunto anche un particolare che, personalmente, mi ha fatto piacere vedere finalmente presente in uno dei lavori di questo regista, ovvero la preponderanza di inquadrature realizzate con una macchina fissa, finalmente scevre delle fastidiose vibrazioni date dal braccio del cineoperatore.
Le note dolenti arrivano semmai da altre direzioni. In primo luogo la poco efficace scelta degli attori, assolutamente poco incisivi e non credibili (eccezion fatta per il bravo Michael Segal) – è scostante vedere, ad esempio, come il protagonista parli con un forte accento pugliese nell’età dell’adolescenza e poi diventi improvvisamente lombardo da adulto. La seconda pecca è data dall’onnipresente artificiosità dei dialoghi (intravista già in Weekend tra amici), che alla lunga dà al film una patina straniante e inverosimile – nessun anziano in Italia chiama “ragazzo” gli adolescenti. Dato il forte legame del regista con il territorio, sarebbe una scelta coraggiosa ma affascinante l’assistere a un suo lavoro con attori che recitano in dialetto con l’aiuto dei sottotitoli: credo che ne guadagnerebbero in verosimiglianza e ritmo, oltre a celare efficacemente l’impreparazione che talvolta emerge dagli attori non professionisti (Gomorra docet).
Le musiche di Luca Auriemma questa volta non brillano e si perdono un po’ in facili stereotipi, rendendo le diverse scene delle cornici un po’ banalizzate.
Un lavoro discreto, ma potenzialmente ottimo.
Voto: 7
   
a cura di Giorgio Mazzola
   

Tetsuo: The Iron Man di Shinya Tsukamoto

Ragnatele di cavi elettrici e silicone bollente in un cult-film rigorosamente in bianco-e-nero.
Animazioni ed effetti paranoidi che ricordano il cinema di Cronenberg e David Lynch. Le immagini assemblate da Tsukamoto prendono d'assalto le sinapsi dello spettatore...
E' dall'ordinaria pazzia del quotidiano che si sviluppa l'incubo underground di marca nipponica. Un uomo in cravatta si dedica alla lettura degli annunci erotici; la telefonata a una donna, poi il viaggio in metropolitana... l'uomo viene assalito da zombie di metallo (freaks ermafroditi). Al più tardi da qui, molti spettatori - i meno smaliziati - non possono fare a meno di sentirsi vittima di un'aggressione organizzata... Ogni tentativo di copula, nel film, è un re-sverginamento anche orale e anale. Il fallo è un trapano, e viene azionato al suono di musica metal-postindustriale. Grande la figura del gay, inquietante ninfo metropolitano.
Trasformare il mondo in un groviglio di acciaio: questo lo scopo dei Feticisti del Metallo. La violenza (dunque non gratuita?) attende dietro ogni angolo. Ancora e sempre viene premuto il tasto "rewind" del videolettore...
Un patchwork di tecniche apparentemente spicciole illustra le visioni del regista in questo prodotto low-budget; effetti "poveri" ma di maggiore efficacia che in molte megaproduzioni hollywoodiane.
Libidini anti-intellettuali si intrecciano a visioni di epilessie del Tutti-i-Giorni. Penetrazioni e risucchiamenti che fanno impallidire chi riteneva che Alien e La mosca fossero insuperabili per stile ed effetto-shock. E, considerate le premesse, infilare le dita nella presa di corrente equivale naturalmente a un'overdose di LSD.
   
Alcune considerazioni
Bella la scelta del bianco e nero, notevole la capacità del regista di rendere efficaci le immagini pur senza grandi produzioni alle spalle. Ma chi si aspetta un messaggio "elevato" verrà deluso. D'altronde, nel panorama Gothik - cinematografico e no - è difficile trovare una "morale" nel senso classico del termine. Ormai spesso si tratta solo di violenza da tavolo da obitorio e (anche in letteratura!) non si riuscirebbe a produrre nulla di veramente nuovo senza l'inserimento di effetti speciali (e/o shockanti). Spesso, anzi, si finisce a parlare degli effetti speciali anziché della "storia" in sé... Per gli amanti dell'horror precedente all'era cibernetica, consiglio di guardarsi sempre e solo i classici di sempre, da Frankenstein fino a Carrie. A chi invece, come me, è interessato alla rivoluzione post industriale e alle sue conseguenze di stampo artistico o pseudotale (vedi per esempio musica tipo CSI e Bauhaus), il film di Tsukamoto piacerà parecchio.
   
Giudizio: ottimo.
  
a cura di franc'O'brain
 

Archivio GHoST (film) - L'orca assassina

L'orca assassina (Michael Anderson - Usa 1977)
   
Cast: Richard Harris, Charlotte Rampling, Bo Derek, Will Sampson, Robert Carradine, Peter Hooten.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00049
  
        

Camping del terrore di Ruggero Deodato

Il titolo con cui il film viene presentato sul mercato estero è Bodycount e in effetti Deodato si rifà a un sottogenere definito dagli americani come del “conteggio cadaveri” e, in particolare, a Venerdì 13. Prodotto da Alessandro Fracassi per la Racing Pictures, nasce da un soggetto di Alessandro Capone (che avrebbe dovuto in un primo momento dirigerlo) ed è sceneggiato anche da Dardano Sacchetti. In un camping del Nevada giunge un gruppo di ragazzi per trascorrervi le vacanze. Non sanno che undici anni prima vi è stato commesso un orribile delitto. Un ragazzo e una ragazza sono stati massacrati da quello che tutti ritengono il fantasma di uno sciamano indiano. Il figlioletto dei proprietari del camping ha assistito al delitto, e sarà proprio lui, traumatizzato da quel fatto, il responsabile di una nuova catena di omicidi. O almeno così sembra, poiché il finale riserva una sorpresa. Camping del terrore è il classico film del crepuscolo di un genere. Risulta abbastanza evidente che ci credono in pochi: né gli sceneggiatori né il regista. La vicenda non brilla per originalità, i dialoghi lasciano a desiderare e, nonostante la bravura tecnica di Deodato, la suspense latita. Alcuni omicidi sono ben girati ma le inquadrature degne di nota riguardano soltanto lo splendido topless di Nancy Brilli, qui al suo secondo horror dopo Demoni 2 …l’incubo ritorna. Tra gli altri interpreti, alcuni volti caratteristici del nostro cinema di genere: la bionda Mimsy Farmer, Ivan Rassimov e John Steiner. Gli effetti sono di Rosario Prestopino e dei fratelli Paolocci, le musiche del solito Claudio Simonetti.
  
a cura di Roberto Frini
   

Archivio GHoST (film) - Hackers

Hackers (Iain Softley - Canada 1995)
   
Cast: Jonny Lee Miller, Angelina Jolie, Jesse Bradford, Matthew Lillard, Laurence Mason.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00048
  
        

Archivio GHoST (film) - Il colore dei soldi

Il colore dei soldi (Martin Scorsese - Usa 1986)
   
Cast: Mary Elizabeth Mastrantonio, Paul Newman, Tom Cruise, John Turturro, Forest Whitaker.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00047
  
        

Archivio GHoST (film) - Mr. Crocodile Dundee 2

Mr. Crocodile Dundee 2 (John Cornell - Usa, Australia 1988)
   
Cast: John Meillon, Paul Hogan, Linda Kozlowski, Hechter Ubarry, Ernie Dingo, Steve Rackman.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00046
  
        

Pensiero del giorno - Freddie Mercury 13/03/2015

Si può essere tutto ciò che si vuole, bisogna solo trasformarsi in tutto ciò che si pensa di poter essere. (Freddie Mercury)


Archivio GHoST (film) - Waterworld

Waterworld (Kevin Reynolds - Usa 1995)
   
Cast: Kevin Costner, Michael Jeter, Jeanne Tripplehorn, Tina Majorino, Dennis Hopper.
   
Titolo disponibile in Archivio GHoST
Codice: 00045
  
        

Un angelo per Satana di Camillo Mastrocinque

L’artista Roberto Merigi viene incaricato dal conte di Montebruno di restaurare una statua recuperata dalle acque del lago. La statua ritrae l’antenata di Harriet, nipote del conte appena tornata in paese, la quale comincia a comportarsi in maniera strana. Il succedersi di morti violente induce la superstiziosa popolazione del luogo a ritenere che la donna sia portatrice di una maledizione. Prima che la folla inferocita uccida Harriet, Merigi riesce a smascherare il vero colpevole.
Un angelo per Satana dimostra, forse più ogni altro film del terrore nostrano, che il genere in Italia si è sviluppato anche dal melodramma e dal romanzo d’appendice e dalla volontà di alcuni produttori e registi di opporsi al neorealismo dilagante. Il film di Mastrocinque potrebbe in effetti essere definito un film di neo-irrealismo e sfrutta le stesse ambientazioni rurali e paesane che tanto funzionavano all'epoca, solo con un’ottica leggermente diversa. Come in gran parte degli horror italici (e non solo degli horror, se è per questo), le donne sono le vere protagoniste, vittime e carnefici nello stesso tempo, e il personaggio di Harriet impersonato da una sfolgorante Barbara Steele (crudele e vulnerabile, tentatrice e succube, con i bellissimi occhi scuri che mandano lampi, offre un’interpretazione memorabile) ne è un esempio perfetto, poiché il suo sdoppiamento della personalità, alla Jekyll e Hyde, riassume in sé il fascino ammaliatore e il mistero femminile. Harriet è infatti spinta a commettere atti malvagi dal conte, ma il conte è a sua volta dominato dalla volontà vendicatrice di Ilda, governante della casa e sua amante. Mastrocinque dirige il film con mano sicura, anche se non si può dire che la vicenda riesca ad essere particolarmente terrorizzante o evocativa. Le scene migliori sono due: quella in cui per la prima volta affiora il lato malvagio di Harriet e il sensuale, ardito incontro tra Harriet e il pazzo, fustigato per aver osato alzare lo sguardo sul corpo nudo della donna.
  
a cura di Roberto Frini
  

Pensiero del giorno - Jimi Hendrix 06/03/2015

Quando il potere dell'amore supererà l'amore per il potere, il mondo conoscerà la pace. (Jimi Hendrix)
 
     

Joan Lui di Adriano Celentano

In un mondo di ipocrisia dove armi, droga e prostituzione imperano senza sosta assieme ad altri gravi problemi sociali, un giorno di lunedì arriva Joan Lui,  un personaggio misterioso che allude a Cristo e che predica con la sua musica per la salvezza dell'umanità.

Con una mega produzione di circa venti miliardi di lire di budget (una cifra stratosferica per quei tempi), ancora oggi non riusciamo a comprendere il perché del fallimento commerciale italiano di questo film né il perché di averlo da molti definito addirittura un delirio di onnipotenza del regista. Si potrà dire qualsiasi cosa di Joan Lui ma non si potrà di certo negare il grande lavoro che c'è stato dietro nel realizzarlo. Tecnicamente parlando, riteniamo che rimanga un cult degli anni '80 senza contare i messaggi tuttora più che mai attuali che la pellicola ci dà. Ma forse il problema di fondo rimane proprio questo: l'aver realizzato un film talmente scomodo nei contenuti e nelle immagini da doverlo per forza di cose lasciare via nel dimenticatoio. Celentano aveva già anticipato i tempi su certi temi caldi; il suo film, infatti, probabilmente uscì troppo presto per quegli anni, e il pubblico di conseguenza, non avendo percepito chiaramente i suoi messaggi, ne rimase spiazzato. Altra colpa del clamoroso flop pensiamo sia stata dovuta anche ad una scarsa campagna pubblicitaria da parte dei produttori: con un film di tale portata infatti, parte del budget sarebbe stato dovuto utilizzare per pubblicizzare meglio la sua uscita.
Detto questo però riteniamo che Celentano abbia diretto un film coraggioso e assolutamente coinvolgente: un esperimento senz'altro riuscito dove il grande impegno nel realizzarlo lo si vede fin dalle prime sequenze, grazie anche ad una troupe impareggiabile che, non a caso, viene ricordata nei titoli di testa.
Per le vicende legali che il film ebbe durante l'uscita nelle sale non aggiungeremo altro più di quanto non sia già stato detto in rete; piuttosto ci pare interessante soffermarci sulle due versioni esistenti del film: quella lunga integrale appena uscita nelle sale e quella corta per la TV rimontata dallo stesso Celentano. Se da una parte infatti la versione lunga rimane la più completa e voluta dal regista, riteniamo che anche il nuovo montato per la versione televisiva sia stato un ottimo lavoro soprattutto per alcune sequenze inedite non inserite nell'edizione integrale.
Con un ottimo cast, bellissime musiche, scenografie imponenti, effetti speciali curatissimi e balletti trascinanti, possiamo dire che a distanza di tanti anni, la pellicola del nostro conserva ancora oggi una potenza e un fascino immaginifico che ne fa a tutti gli effetti un cult degli anni '80.
Per i patiti e non di Celentano, sicuramente un titolo da recuperare.
     
a cura di Red Scorpion