Incontro con Anna Pompetti


E non finisce mica il cielo.
La famosa cover dell’indimenticabile Mia Martini a Sanremo Famosi e al Festival di Saint Vincent,  interpretata dalla cantante abruzzese Anna Pompetti.

Un talento fuori dal comune ed un successo che poche cantanti emergenti possono vantare sono le qualità di Anna Pompetti che  ne fanno un caso unico nel suo genere. La storia di Anna è recente. Inizia per hobby cantando nei karaoke e nei locali di piano bar. Studia canto dal 2001 con una costanza senza eguali. Il suo insegnante di canto è il Prof. Pierpaolo Salvucci, (management teatrale e grande lirico che ha collaborato con Giovanni Alleva) il quale vanta scoperte importanti, alcune, dai nomi prestigiosi; è stato prima insegnante e poi personal trainer della cantante Linda Valori, seconda classificata la Festival di Sanremo 2004.
Ho una personale e particolare simpatia per i nuovi talenti, li trovo positivi e pieni di energia, caratteristiche che puntualmente ritrovo in Anna Pompetti.
 
Come nasce Anna Pompetti a livello artistico?
Su consiglio del professor Pierpaolo Salvucci, partecipo al Festival dell’Adriatico e vinco il Premio “Alex Baroni” come migliore interprete cover, successivamente  vinco il Festival Canta Beach, organizzato dai bagni “La Primula” di Alba Adriatica.

In che modo arrivi alle selezioni di Sanremo famosi? Racconta!
Durante una serata di piano bar, accompagnata dal pianista Fabrizio Tucci, vengo notata dal direttore generale della B.N.L (Marche, Abruzzo e Molise) Giulio Porrini, il quale mi consiglia di partecipare alle selezioni Sanremo Famosi e al Festival di Saint Vincent. Cerco gli indirizzi su Internet e vengo contattata poco dopo per partecipare al primo casting che è avvenuto a Frosinone con la giuria presieduta da Pino Mango. Vengo selezionata e concorro in finale insieme a 36 cantanti. Contemporaneamente vengo contattata anche per partecipare al casting di Saint Vincent e partecipo alle preselezioni che si sono svolta a Milano con la cover di Mia Martini “E non finisce mica il cielo” superando la selezione alla grande.

A questo punto?
I produttori mi consigliano di presentarmi con un pezzo inedito. Contatto Aldo Ruggieri (cantautore) che scriverà per me alcuni brani inediti con le musiche di Flavio Pistilli (arrangiatore del cantante di origini pescaresi Giò Di Tonno). L’incontro con questi due artisti segnerà una svolta nella mia carriera, con uno di questi testi supero le preselezioni per il Festival di Saint Vincent e arrivo ad esibirmi  come finalista tra l’emozione e la felicità al Teatro Culturale Albertoni di Ivrea.

Nel tuo prossimo futuro ti vedremo impegnata su quali fronti?
Sono in attesa di partecipare alla trasmissione “I Raccomandati” condotta da Carlo Conti e in onda su Rai Uno e aspetto novità dopo aver partecipato al casting X Factor condotto da Simona Ventura, intanto, continuo a studiare canto dal Prof. Salvucci.

Hai conosciuto molti artisti e cantanti famosi a livello internazionale chi ricordi in maniera particolare?
Ricordo il cantante Gatto Panceri durante la premiazione al Festival dell’Adriatico,  il quale, mi ha definita "una ragazza dalla grande voce e dal grande talento" ha poi concluso dicendo che in tanti anni di carriera non aveva mai sentito interpretare così intensamente una cover di Mia Martini. Del casting di Sanremo Famosi ricordo con emozione il mio incontro con il cantante Pino Mango,  anche lui ha elogiato le mie doti vocali ed ha terminato affermando che “Vincere o non vincere Sanremo Famosi non era tanto importante quanto andare avanti”.

Una tua esibizione indimenticabile?

Al Mion Grand Hotel di Silvi Marina, durante una serata dedicata ad uno stilista di gioielli, mi sono esibita con il maestro Fabrizio Tucci al cospetto di  due opsiti d’onore;  Andrea Pelusi (musicista dell’orchestra della scala di Milano) e Piero Mazzocchetti (Finalista a Sanremo con Schiavo d’amore).

Qualcuno ha associato la tua voce a quella di interpreti famose?
La mia voce è stata paragonata alla voce di Niki Nikloaj, Giorgia (i suoi pezzi li eseguo in tonalità originale) e Whitney Houston.

a cura di Carina Spurio

Oggi sono nata sola di Mariasara Cielo

Le rivelazioni dell’autrice diventano scomode non appena il libro viene diffuso nella città di Teramo. Al centro del dramma vengono a trovarsi: un’adolescente, scottanti verità e molte polemiche.

“Non c’è reato. Se non il mio. Io sono la vittima e l’aguzzina di mia madre e di me stessa. Non so se la mia sia stata un’adolescenza rubata o un’adolescenza venduta. Ho ventidue anni e odio il mio corpo, passato di braccia in braccia in una città di cui conosco più le camere da letto che le strade. Da troppi anni mi lavo con le saponette rubate negli alberghi. Faccio quattro docce al giorno ma quell’odore non va via. Odore: nome maschile numero plurale.” Prologo tratto da Oggi sono nata sola di Mariasara Cielo. Evoè Edizioni.2009.

I libri autobiografici suscitano sempre molte critiche. Accadde a Lara Cardella nel 1989 anno in cui pubblica Volevo i pantaloni, Arnoldo Mondadori. Il suo racconto, scritto in maniera semplice sembra un colloquio tra amiche. Nel diario-denuncia, Annetta, la protagonista, racconta la sue giornate in famiglia, a scuola, con gli amici. La sua penna confida ai fogli di uno zio che vuole abusare di lei. Lara Cardella, di Licata, ebbe la sua buona dose di critiche.
Anni dopo, nel 2003, una giovane scrittrice esordiente, narra le sue precoci esperienze sessuali in maniera fin troppo esplicita. Si chiama Melissa Panarello, è di Catania. Il suo romanzo dal titolo Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, 2003, Fazi editore, nonostante le dure critiche, diviene in breve tempo un caso letterario e viene tradotto in  molte lingue. Se per Lara Cardella il tema del suo romanzo era la repressione sessuale, per Melissa P. adolescente di giorno e Lolita di notte, l’autobiografico racconto, disegna un ritratto generazionale a dir poco inquietante in cui emergono scabrose verità.
E’ l’inizio dell’anno 2009. Questa volta siamo a Teramo. Regione del centro Italia che s’affaccia sul mare Adriatico. Al centro dell’attenzione, ancora un libro. L’ autrice del libro si chiama Mariasara Cielo, la quale, scrive nel suo diario un periodo della sua vita, dal 2000 al 2004. La sua storia viene pubblicata dalla Eovè edizioni di Teramo. Il libro narra una storia vera scritta sotto pseudonimo e s’intitola: Oggi sono nata sola.
Le rivelazioni dell’autrice diventano scomode non appena il libro viene diffuso nella città di Teramo. Al centro del dramma vengono a trovarsi: un’adolescente, scottanti verità e molte polemiche. La voce narrante di Oggi sono nata sola è quella di un’adolescente vissuta a Teramo, che ha scritto perché non riesce a dimenticare i fantasmi del suo passato. Per questo motivo affida i suoi segreti ad un diario, a cui confida le sue difficoltà di sedicenne che dopo il divorzio dei genitori si ammala di anoressia (una della malattie psichiatriche più gravi che coinvolgono la mente e il corpo fino a consumarli) e di bulimia. Entrambe le malattie presentano tratti comuni; angoscia, persecuzione e allontanamento dagli altri. La ragazza progressivamente si allontana dalla madre ed inizia ad usare il suo corpo anche per superare gli esami universitari. In questo caso, e per fortuna, la scrittura permette a Mariasara di svegliarsi, di tratteggiare la fatica del suo vivere quotidiano e i disagi che come muri invalicabili le hanno impedito di vivere serenamente la sua adolescenza. Dal libro di Mariasara si può dedurre che la scrittura sia stata un antidodo contro il dolore, la paura e il male dell’anima. Il suo diario le ha permesso di guardarsi dentro e di rinascere, non più, vittima di sé stessa ma libera di individuare le sillabe del suo silenzio interiore.
Dopo il 2004 Mariasara abbandona la città di Teramo.  Il suo libro-diario si conclude con la seguente data: 20 agosto 2003.

Dopo il suo trasferimento a Roma scrive l’ultima pagina del suo diario.

Roma, 18 settembre 2004
“Da quel giorno no ho più scritto, e mi sono trasferita. Sono andata via di casa com’era giusto che fosse. Ho seppellito Mariasara, ho cercato di farlo. Una nuova città non ti conosce, e ti dà la possibilità di ricominciare da capo. Ho lasciato l’università e ho lasciato mia madre.”

Poi, seguendo uno spiraglio di luce, prosegue:

“Ora mia madre inizierà un percorso, e guarirà dalle mie ferite. Devo perdonarla e devo perdonarmi, ma non è ora per me di tornare. Non ancora. Voglio guarire anch’io. Domattina andrò in ospedale: voglio curarmi, voglio farmi seguire da uno psicologo. Ho paura del cibo e non voglio più averne. Voglio vivere. Ho trovato lavoro come donna delle pulizie in una vecchia pensione dietro il Colosseo, e da lì, la sera, mi pare di vedere tutto il mondo. Mi lavo ancora con le saponette date in dotazione: all’albergo non sanno che sono io a prenderle. E’ perché non voglio dimenticare. Quando sarò in grado di lavarmi con un normale bagnoschiuma allora sarò guarita, e tornerò a casa.”

Il racconto biografico ha un grande potere. Trasmette dei messaggi che ci fanno scoprire altre storie, altre vite. Quello che c’è di veramente interessante in questo libro è l’epilogo, nel quale, Mariasara comunica che perdonerà sua madre e perdonerà sé stessa. Nel trauma dell’aborto ha toccato il fondo, ha visto il suo inferno; visione che le ha permesso di sezionare il suo animo con tutte le sue fragilità, di trasferirsi a Roma per curarsi, guarire, colmare i vuoti, le assenze e di risolvere la sua storia da sola anche se nulla sarà come prima.  La semplice elaborazione del testo descrive quanto i rapporti umani, seppur nelle loro varianti, possono essere devastanti e quanto i fantasmi interiori siano difficili da affrontare se  i meccanismi che si innescano in determinati momenti, conducono l’essere verso un declino che nessuno può arginare. Tra le nostre mani resta un diario di un’adolescente che oggi è nata sola e una verità; complessa, nuda e cruda.
Per maggiori informazioni, collegarsi al sito della casa editrice: www.evoe-casaeditrice.com
SCHEDA LIBRO
Titolo: Oggi sono nata sola
Autrice: Mariasara Cielo
Formato: 90 pagine in brossura
Collana: Evoé Quadri
Anno di pubblicazione: dicembre 2008
Editore: Evoè Edizioni
Prezzo di copertina: 10,00 Euro

a cura di Carina Spurio

Mangiacuore di Francesca Bonafini

Nella tradizione romantica l’amore viene considerato come una malattia. Nel libro “Eros e Pathos”, con l’attinente sottotitolo “margini dell’amore e della sofferenza”, Aldo Carotenuto, così scrive: “Quanti più destini di normalità ho potuto indagare tanto più odio e modelli di rapporto sadomasochistico  ho potuto riscontare: per cui sono giunto alla seguente regola generale:un rapporto  amoroso si regge su una necessità patologica di ciascuno dei partner, e ogni amante rappresenta la malattia dell’altro.”
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Ecco dunque scientificamente spiegato il motivo per cui, mi ritrovo, mio malgrado, a salire su un treno in preda alla più tremenda delle astinenze (vampate di caldo alternate e brividi di freddo, lacrimazioni, crampi) con il solo scopo di raggiungere Alfredo nella sua città.>>
Siamo dentro le pagine di Mangiacuore il primo libro di Francesca Bonafini che ripercorre in letteratura gli aspetti beffardi del colpo di fulmine con un’intensità nuda che denuda e con gli occhi fissi sul dettaglio;  ossessione della fantasia concentrata su una sola immagine. Dentro il libro Alfredo, tossico romano e una studentessa di Bologna. Alfredo vive tra comunità e fughe, lei “la ragazza del nord”, di idealismo. L’incontro tra i due ragazzi avviene a Milano in una comunità di recupero, lei volontaria, lui ricoverato. S’intrecciano due solitudini, due monologhi, due vite. “La ragazza del nord” termina il volontariato, Alfredo ritorna nella sua città. Iniziano una relazione a distanza. Le fasi della storia si alternano nei capitoli quanto i protagonisti si appoggiano l’uno all’altro, immersi nel caos tra insicurezze e paure per esorcizzare la resa dei conti e la sostanza con la quale annullarsi. Iniziano i viaggi di lei e il vortice dell’autodistruzione che dilatandosi a dismisura li inghiottirà fino ad edificare l’inferno interiore in nome del libero arbitrio. Dagli atti dei deviati nascono identità minori che come forme pensiero perverse infestano l’armonia.  “La ragazza del nord”  si chiede quale sia il senso della vita nel durante e troppo tardi comprende di essere stata sedotta dall’immagine stessa di cui è portatrice, alla quale ha dato inconsciamente vita. <>
Come in un miraggio, l’autrice diventa consapevole di essere l’artefice principale della sua esperienza. La fascinazione subita, in realtà, non è stata opera dell’altro ma un’illusione costruita dalla  sua fantasia. Fatale per lei perdersi nella personale proiezione psichica che nonostante le illusioni e le delusioni, ha continuato ad attivarsi rimandando significati nascosti impazienti di svelarsi. Alfredo non esiste, ma possiede una parte di sé e Francesca nell’epilogo conclude: <>

Francesca Bonafini è nata a Verona nel 1974, ha vissuto a Bologna e in Brasile. Ha pubblicato racconti su riviste e quotidiani ed è presente nall’antologia Quote rosa. Donne, politica e società nei racconti delle ragazze italiane (Fernandel, 2007). Ha collaborato a progetti musicali e scritto testi di canzoni. Questo è il suo primo romanzo.
SCHEDA LIBRO
Titolo: Mangiacuore
Autrice: Francesca Bonafini
Editore: Fernandel
Anno di pubblicazione: 2008 

a cura di Carina Spurio

Inside man di Spike Lee


Divertissement d’autore.
Prendete un produttore di Hollywood tra quelli più proficui e blasonati, unitelo ad uno dei registi più “indie” della scena americana, amalgamateli con la sceneggiatura di un perfetto esordiente, e fate distillare il prodotto attraverso una manciata degli attori oggi più ricercati sulla piazza. Poi godetevi il risultato che avete tra le mani, che s’intitola Inside Man. Il primo lavoro veramente mainstream di Spike Lee, prodotto da Brian Grazer e sceneggiato da Russell (chi era costui?) Gewirtz, è un film perfettamente riuscito, un long drink di azione e tensione, intelligente e raffinato, divertente e perfino sorprendente, per certi versi. Lo si beve tutto d’un fiato, senza starci a pensare, salvo poi accorgersi, alla fine, che non è cinema da bere, malgrado le apparenze o le credenziali di partenza. Gli si conceda pure una notevole scaltrezza nella confezione formale, che blandisce lo spettatore in maniera molto piacevole e sorniona fin dai titoli di testa e fin dall’attacco incalzante della colonna sonora (un pezzo di musica “bollywood” remixato in salsa club che decisamente sa il fatto suo); gli si conceda anche la partenza in quarta, calibrata ad arte, che richiama alla memoria tanto cinema glorioso degli anni ’70, quel cinema di rapine e di guardie e ladri che trova la sua forma paradigmatica in Quel pomeriggio di un giorno da cani.
Ma tutto ciò che nel film potrete trovare di mainstream nel senso più malizioso della parola, cioè usato ad arte per accattivarsi i favori del botteghino strizzando l’occhio al pubblico più frivolo, è in realtà al servizio di una storia di assoluta dignità narrativa, tanto da aver fatto – e questo è un vanto non da poco - respirare una grande boccata d’aria fresca proprio a quel cinema che omaggia, e che poteva correre il rischio di restare vittima di quella stessa claustrofobia che dipinge e che ispira. Perché malgrado le iniezioni di adrenalina che Lee e il suo direttore della fotografia (Matthew Libatique, che girava video musicali di un certo livello fino a che un certo Aronofsky non l’ha scoperto e Joel Schumacher, lungimirante qual è, se l’è accaparrato) ci somministrano all’inizio, la vena action della narrazione subisce una sorta di calcolato inaridimento dopo i primi venti minuti, per andare a incastrarsi in un macroscopico “stand off”, uno stallo. Rapinatori dentro, polizia fuori; in mezzo: una cinquantina di ostaggi. Niente di più classico. Poi, piano piano, il detective Frazier, che ha il faccione simpatico (fin troppo, ma tanto gli vogliamo bene uguale, no?) di Denzel Washington, si comincia a fare le domande che già in sala anche noi ci stiamo facendo. Qualcosa non quadra. Anche Frazier, sudato e a disagio, si sta rendendo conto che quel pivello dello sceneggiatore o non sa niente di rapine in banca, o forse ne sa pure troppo. Infatti benché vengano tenuti in piedi i cliché del caso, la fisionomia della storia prende una via sua, prima in maniera sottile, poi sempre più evidente, e le cose si mescolano, diventano più sfumate, forse qualche cattivo non è così cattivo come sembrava, forse qualche buono la coscienza proprio candida non ce l’ha. Entrano in gioco altri personaggi, una adamantina Jodie Foster, un impeccabile Cristopher Plummer; altri tasselli di una vicenda che sembrava una rapina e basta, e invece forse è solo la punta di un iceberg.
  
C’è qualcuno che si sta prendendo gioco di tutti. In realtà chi ci mena per il naso è sia il prode Clive Owen dentro lo schermo, che ci regala una piacevolissima interpretazione anche quando è costretto a recitare bardato con occhiali e fazzoletto sul viso, una delle più belle figure di criminale “smart” degli ultimi tempi (senza mai intruppare nel gigionesco ultra-cool e irritante, nello stile del Mr Ocean di Clooney, per intenderci); sia, di qua dallo schermo, il summenzionato Russell Gewirtz, lo scrittore della storia. E la sensazione è proprio quella di essere stati portati per un divertente detour lungo più di due ore, in giro per un tipo di film, quando ciò che vedevamo era quello ma contemporaneamente anche qualcosa d’altro. Tutto per colpa di uno Spike Lee in piena forma (complice anche uno scrittore indiscutibilmente dotato, per quanto alla sua prima prova) che se rinuncia per una volta a fare il suo cinema, lo fa nella maniera più intelligente possibile, rivisitando un genere a lui non familiare e rimaneggiandolo da dentro, senza stravolgerlo, ma inserendo solamente la sua mano all’interno, presente e invisibile. Inside Man ha infatti anche questo pregio: è girato da uno dei più importanti e indipendenti autori americani (e qui la parola “autore” meriterebbe non una ma sei maiuscole), eppure, salvo qualche indizio tecnico qua e là, Spike Lee resta l’eminenza oscura, completamente al servizio della vicenda che vuole narrare e dei personaggi a cui vuole dare vita, senza imporre la sua mano, senza lasciare firme debordanti. Una bella lezione d’umiltà, cioè di grandezza. Fossero tutti così, i “divertissements” d’autore.

a cura di Emanuele Boccianti
Fonte: Offscreen

The day after di Nicholas Meyer


Uscito nelle sale cinematografiche nel 1983, The day after è un film che ha fatto epoca, ponendo l’accento con brutale realismo sull’orrore “dell’olocausto nucleare”. Il giorno dopo a cui si riferisce il titolo è infatti quello successivo allo scontro atomico tra USA e URSS.
Il regista Nicholas Meyer (L’uomo venuto dall’impossibile, Un ponte di guai, Spie contro) ha intelligentemente suddiviso la narrazione in due parti, la prima della quale presenta la vita di una tipica città americana, Kansas City. Meyer insiste accuratamente sulla serenità delle persone comuni, che vivono credendo nella pace e riponendo le proprie speranze nel futuro. Il regista mostra infatti una famiglia alle prese con i preparativi di un matrimonio, l’ansia degli studenti per i test d’ammissione all’università. Un padre che discute con la figlia di arte cinese, oppure che si reca agli allenamenti di football del figlio. Si sofferma sulla preoccupazione di un agricoltore per la pioggia che non arriva.
È il suono stridulo che annuncia un’edizione straordinaria del telegiornale a far presagire la tragedia, l’imminenza dello scontro tra le due super potenze a seguito di tensioni militari tra Germania ovest ed est. E il lancio dei missili fa piombare il mondo nell’abisso, un abisso che spazza via tutto ciò che l’uomo è riuscito a costruire durante i lunghi e difficili secoli della sua storia.
  
Un film angosciante, concepito quando ormai la Guerra Fredda era al tramonto, ma che ancora incombeva minacciosa sui paesi del blocco sovietico e di quello occidentale.
The day after è un film che impone un’attenta riflessione sull’uomo e sulla strada che ha deciso d’imboccare in fatto di armamenti, ma anche sull’attuale situazione storica, con paesi come la Corea del Nord che ha recentemente effettuato test sotterranei e missilistici, o come l’Iran che ha avviato un programma  nucleare a dir poco “sospetto”. 
  
Desidero concludere ricordando un’acuta intuizione di Joseph Conrad nel suo Cuore di tenebra: l’oscurità è un prodotto della luce, del progresso tecnico e scientifico. Sta quindi all’uomo fare la guardia e impedire che le tenebre prendano il sopravvento sulla luce della ragione. Da questo particolare punto di vista, The day after non può che essere un monito per le scelte future di che si è assunto il compito di guidare l’umanità.

Visioni e letture consigliate: per chi ha apprezzato il film consiglio la visione del capolavoro di Stanley Kubrick Il Dottor Stranamore. Per quanto riguarda invece le letture, anche se con tematiche diverse, ma comunque attinenti a The day after, consiglio la già citata opera di Conrad e L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse.

a cura di Stefano 

Ed Mitchell e il caso Roswell

L'ex astronauta della missione lunare Apollo 14 Edgar Mitchell chiede trasparenza a Obama e accusa: "Gli Ufo esistono, su Roswell il governo Usa insabbiò le prove."

Riportiamo testualmente quanto comparso nei dispacci di agenzia:
Gli extraterrestri esistono, ma Stati Uniti e Governi di altri paesi tengono nascosta la verità. Parola dell'ex astronauta americano Edgar Mitchell (ex Apollo 14), che ne ha parlato alla quinta edizione della X-Conference, un meeting organizzato dagli appassionati di Ufo e da ricercatori che studiano la possibilità di esistenza di forme di vita aliene. ''Non siamo soli nell'universo'', ha detto Mitchell, secondo quanto riporta un servizio della Cnn. ''Il nostro destino, secondo la mia opinione, è quello di diventare parte di una comunità planetaria. Dovremmo prepararci ad andare oltre il nostro pianeta e oltre il nostro sistema solare per scoprire che cosa c'è davvero là fuori''. Mitchell è cresciuto a Roswell, nel New Mexico, luogo dove si sarebbe schiantato un Ufo nel 1947. I residenti della zona, secondo quanto ha raccontato l'ex astronauta, furono costretti al silenzio ''dalle autorità militari'' che li minacciarono di ''gravi conseguenze'' se avessero parlato. Ma i cittadini, ha aggiunto Mitchell, non volevano portarsi il segreto nella tomba. ''Volevano dirlo a qualcuno di affidabile e lo hanno detto a me, che ero uno della zona ed ero stato sulla Luna''. Dieci anni fa, ha rivelato ancora Mitchell, l'ex astronauta fu ricevuto al Pentagono per discutere della vicenda ed un ammiraglio gli confermò la storia, promettendogli che la verità sarebbe stata presto rivelata all'opinione pubblica. Lo stesso ufficiale, ha detto ancora Mitchell, adesso invece nega. ''Consiglio a coloro che hanno dei dubbi di leggere libri e tutto quello che si è scritto per cercare di capire che cosa è veramente successo. Perché non c'è dubbio che noi siamo stati visitati dagli extraterrestri''. La storia di Roswell risale al 3 luglio del 1947, quando il proprietario di un ranch trovò sui suoi terreni dei resti metallici. L'aeronautica militare statunitense parlò prima di un incidente che aveva coinvolto un ''disco volante'' e poi modificò la sua versione riferendo che il misterioso oggetto caduto a Roswell era un pallone sonda che svolgeva rilevamenti sulla situazione meteorologica. Dopo questo episodio, le autorità americane cominciarono a smentire duramente ogni notizia di avvistamento di Ufo, atteggiamento che gli ufologi ritengono dettato dalla necessità di nascondere la verità per evitare un trauma di massa. Alla conferenza hanno partecipato numerosi scienziati, ex-militari e attivisti della causa della fine del segreto sui contatti con gli alieni Tra i più ascoltati c'è l'ex luogotenenete dell'Air Force statunitense Milton Torres, protagonista nel 1957 di un famoso incontro, mentre pilotava il suo aereo militare sull'Inghilterra, con un UFO apparso sul suo schermo radar 'grande come una portaereì e con la capacità di viaggiare a Mach 10, dieci volte la velocità del suono'. L'incontro tra il pilota Usa e l'Ufo è stato protetto per molti anni dal segreto militare. «I miei superiori mi impedirono di parlare dell'incidente persino con mio padre», ha raccontato l'ex pilota. Solo l'anno scorso i documenti riguardanti l'incidente sono stati declassificati dalle autorità militari.

(Fonte: http://misterobufo.corriere.it/2009/04/x_files_ufo_avvistamenti.html)

Scomparso Millard Kaufman

Lo scrittore e sceneggiatore Millard Kaufman, creatore del pittoresco personaggio di cartoni animati, Mister Magoo, è morto a Los Angeles all'età di 92 anni per un attacco cardiaco. Kaufman, che era stato candidato anche a due premi Oscar per le pellicole Take the High Ground! (1953) e Bad Day at Black Rock (1955) - sarà ricordato per il popolare personaggio dei fumetti.
Diventato negli anni '90 romanziere con Bowl of Cherries, negli ultimi anni si era dedicato a un secondo racconto, che arriverà nelle librerie statunitensi il prossimo autunno, intitolato The Misadventure.