The Wrestler di Darren Aronofsky


Randy “The Ram” Robinson (Mickey Rourke) è un lottatore professionista che alla fine degli anni ’80 era al culmine della popolarità. A vent’anni di distanza lavora part-time come magazziniere e come commesso per un supermercato, dedicandosi ai combattimenti, per i pochi fan rimasti, solo nei week-end, esibendosi in tristissime palestre di licei. E’ un uomo fallito, ridotto in povertà e con il fisico stanco e ammaccato per le troppe botte prese. Un giorno, al termine di un umiliante combattimento in cui riporta gravi ferite, viene colto da un infarto e trasportato d’urgenza all’ospedale. Si risveglierà con un bypass al cuore e con l’assoluto divieto da parte del medico di continuare a combattere e di assumere steroidi. A questo punto Randy vuole dare una svolta alla sua vita: dopo aver deciso di farla finita per sempre con il wrestling tenta di recuperare i rapporti con la figlia Stephanie (Evan Rachel Wood) che aveva abbandonato quand’era piccola e che nutre per lui solo disprezzo; e tenta anche di avvicinarsi alla non più giovanissima ballerina di lap-dance Cassidy (Marisa Tomei), per la quale nutre un sincero affetto. Ma la vita sregolata che aveva condotto fino a quel momento non consente all’uomo di vivere in pace: una sera, dopo essersi ubriacato e dopo aver fatto sesso con una sconosciuta, crolla addormentato in casa e si dimentica dell’appuntamento che era riuscito a fissare con la figlia (la quale si era nuovamente avvicinata al padre dopo un incontro precedente). Il rapporto tra i due è definitivamente spezzato, per la disperazione e il rammarico del genitore. In più Cassidy, madre sola di un figlio di nove anni, non riesce a fidarsi dell’affetto sincero dell’ex lottatore. Disperato e senza alcun motivo per il quale vivere Ram decide di combattere ugualmente contro l’Ayatollah, (l’avversario fortissimo che aveva sconfitto vent’anni prima) rischiando forse definitivamente la sua vita sul ring...
  
Vincitore di due Golden Globe (migliore attore in un film drammatico a Mickey Rourke; miglior canzone originale a Bruce Springsteen); Leone d’oro a Venezia per Mickey Rourke. Dall’uscita nelle sale il film ha finora ottenuto un incasso di 40 milioni di dollari.
 
Darren Aronofsky mette in scena un film struggente, crudo e a tratti freddo, nella sua analisi impietosa dell’insostenibile impotenza dell’essere umano nei confronti del fallimento della vita.
Un film interpretato non a caso da Rourke, un attore che negli anni ha conosciuto un periodo di declino lavorativo, ma anche fisico (le numerose plastiche facciali per arginare i danni causati dalla boxe, sua grande passione, forse un modo per rendere esplicita la sua esigenza di autodistruzione); e anche Marisa Tomei, con i suoi quasi 45 anni che la rendono ormai una “neo-ex-giovane” (ma sempre bellissima) sembra incarnare pienamente lo spirito meta-cinematografico della pellicola. 
  
Con The Wrestler è in scena la vita. Forse viene illustrato lo scenario peggiore, il percorso che tutti sperano di non dover affrontare mai; ma sicuramente non si eccede, non si va mai oltre la pura rappresentazione di una vicenda strettamente ancorata al reale. Un elemento valorizzato ulteriormente dalle tecniche di ripresa, con una macchina a mano fortemente somatizzata che strizza un occhio a Lars Von Trier  (Dancer in the Dark, 2000; Dogville, 2003) e il suo Dogma 95. Non c’è via d’uscita per The Ram, tutto è finito e sembra inutile anche il voler ricominciare da capo perché ormai il suo modo di vivere e pensare è danneggiato per sempre, come il suo fisico che si muove stanco e appesantito. La fotografia di Maryse Alberti è fredda, chirurgica e molto chiara, ma in realtà non c’è luce al fondo del tunnel: i due terzi del film, infatti, sono girati in semisoggettiva di Randy, le cui gigantesche spalle coprono gran parte del campo visivo: una metafora perfetta, a mio parere, dell’impossibilità di guardare oltre, di poter superare l’impasse comportamentale che sembra aver bloccato il lottatore per sempre all’interno del ring. Perché Randy non sa vivere, non riesce ad inserirsi nella vita di tutti i giorni intrappolato com’è nel suo personaggio che esalta la folla (è per questo che detesta sentirsi chiamare col suo vero nome, Robin); e la semisoggettiva sembra anche beffarsi di lui, seguendolo come se stesse sempre per entrare nel ring, pronto ad affrontare un nuovo combattimento (anche quando in realtà si appresta ad entrare nel reparto gastronomia nel quale è addetto alle vendite).

Il brano di Bruce Springsteen, The Wrestler, esprime una rassegnazione e una malinconia profonda che colpiscono direttamente allo stomaco, accompagnando la vicenda con un tocco deciso, ma mai invadente.
 
Giudizio: quasi ottimo.

a cura di Giorgio Mazzola

Seven di David Fincher


“Non lo capisco più questo posto”. È il 1995 quando sentiamo Morgan Freeman confessare apertamente la propria resa alla Città. Testimoni un arcigno capo della polizia e noi, pubblico pagante dall’altra parte dello schermo. Dieci anni di vita per uno dei thriller che più ha segnato la storia del cinema contemporaneo, forse in parte riformandolo, senza alcun dubbio ponendosi come termine di confronto imprescindibile per quanti vorranno successivamente confrontarsi con la più grande icona horror dei nostri tempi. Il serial killer.

Il signore del male
Attingendo da un imponente database di suggestioni collettive, il serial killer cinematografico si è gradualmente imposto come “il” personaggio malvagio per antonomasia, sostituendosi – ed integrando - figure che avevano campeggiato fin dall’inizio del cinema dominandone le vene più oscure e inquietanti. Figure come il vampiro, il ritornante, il mostro, l’alieno. È il serial killer che più di ogni altra incarnazione del male tocca i nostri nervi scoperti: emerge dalla cronaca, dunque è acronico – non parla di futuro né di passato, non ha una dimensione temporale storica - è metropolitano, è l’assoluto, mimetico “everyman”. La sua forma distruttiva è in linea di principio omogenea alle nostre substrutturali istanze di violenza.
Dà libero sfogo ad un titanismo nichilista che è abbastanza scontato rivelare in forma embrionale nell’uomo urbano per definizione. Nessuna sovrannaturale motivazione, nessun radicale metafisico in ciò che è o in ciò che fa. È uno vicino a noi, è uno di noi.
Il più grande affresco psicologico di questo postmoderno principe delle tenebre c’era già stato regalato dal vocatissimo binomio Harris/Demme. Hannibal Lecter è una summa, uno studio meticoloso di questa forma di metauomo votato al male, affascinante proprio per il suo essere “oltre” in tutto: intelligenza, cultura, raffinatezza, sensibilità, educazione, efferatezza, amoralità. Da questo punto di vista il John Doe di Seven è creatura indubbiamente più dimensionata, circoscritta, non eccelle come fa il principe Hannibal; se anzi si trova sempre una spanna sopra e avanti ai malcapitati detective che gli danno la caccia, non sembra dovuto a specifiche doti intellettive o intellettuali. Il dialogo finale nell’automobile, nel quale era lecito aspettarsi chissà quale tenzone dialettica, vedere all’opera chissà quale potere e carisma, rivela ben poco da quel punto di vista. John Doe è non molto più che il predicatore che già Somerset aveva intuito nel primo atto del film. Le aspettative erano state falsate dalla memoria del film di Demme, c’era stato Il Silenzio degli innocenti, quattro anni addietro. Sulla scorta di quel film, e di decenni di narrativa cinematografica (e non), ci aspettavamo, forse volevamo, un altro Dracula, un altro Signore del Male. Forse. Eppure Seven s’è incagliato nel nostro immaginario, e lo ha fatto disattendendo almeno in parte alcune istanze strutturali e formali del genere recipiente che andava riformando dall’interno. A dieci anni di distanza è possibile e doveroso andare a capire perché. Quali sono i punti di forza. Cosa ha fatto Fincher in quel film, e perché la sua lezione è stata tanto dirompente quanto poco seguita. Se è vero che di epigoni se ne sono visti a iosa, tanto da aver creato – suo malgrado? - una specie di marchio di stile dall’uso pedissequamente reiterato (l’attempato detective di colore, disincantato e disilluso dalla vita), è però altrettanto lampante che per andare a pescare un degno antagonista del cult del 1995 bisogna faticare parecchio. Salvo accontentarsi una volta approdati a cose tipo Saw - l’Enigmista.

L’abisso urbano
Un elemento lievemente straniante nella sceneggiatura dell’allora esordiente Andrew Kevin Walker è sicuramente la mancanza di una connotazione geografica precisa per il set della vicenda. È la città, è “questo posto”, ma non è dato sapere che città sia, quale posto. È sud, e piove sempre. È scura, sicuramente umida, stretta, angusta per l’anima ancor prima che per il corpo, e Darius Khondji con la sua fotografia le rende un servizio impeccabile e memorabile. Una città che si attacca addosso come l’umidità e i vapori maleodoranti che sembra emanare, con quella patina cromaticamente carica che non toglie nitidezza alle inquadrature, ma le rende gravide, madide, sordide. È impossibile evitare che la memoria visiva torni agli stilemi di Blade Runner. Dunque non una città, ma “la” città, pertanto ogni città.
Così introdotto, sin dall’inizio, l’elemento ambientale smette di essere mero setting funzionale al dipanarsi delle azioni, diventa entità con la quale entrare in contatto, e il sapersi relazionare con essa comincia ad essere delineato come frutto di sapienza ed esperienza. La dialettica dell’entrare nell’ambiente diventa quella dell’essere introdotti, o del saperlo fare, ed è una tematica predominante nella storia. Non si apre semplicemente una porta, in Seven, bensì si oltrepassa una soglia, in una grande varietà di modi, anche quando nessuna porta è data da vedere, e intorno ci sono solo spazi aperti, cielo, e torrette dell’alta tensione. Di più: essere introdotti significa avere una guida, il più delle volte, ed ecco che la tensione Somerset/Mills smette di essere quella superficiale tra poliziotto pacato, cinico e poliziotto emotivo, idealista per diventare quella tra chi sa, conosce il posto, e chi è nuovo, e deve essere accompagnato, edotto. Vale la pena ricordare che il giovane Mills ha da poco traslocato lì, con la sua dolce metà (una Gwyneth Paltrow ancora pre-diva), che molto più di lui stenta ad adattarsi (“Odio questa città” confesserà a Somerset).
Non c’è dubbio che spetti al personaggio di Freeman il ruolo di interpretare il Virgilio della situazione, e la silhouette psicologica del suo Somerset è da questo punto di vista assolutamente funzionale. Apre il racconto con silenzio dolente, lo introduce più avanti e ne segna alcuni importanti momenti di muta riflessione, scanditi solo dal ritmo indecifrabile di un metronomo. Come dire che riflettere su quanto vissuto produce solo loop sterili di pensiero, solitudine, alienazione.
Ad ogni modo, il carattere esoterico della storia, accentuato tramite una fitta filigrana di suggestioni prese dal mondo della religione medievale, è marcato da un evidente segno negativo: essere iniziati alla città non comporta acquisizione di sapienza, né tantomeno l’”upgrade” a migliori condizioni di vita, spirituale o materiale che sia. Somerset è un rinunciatario nell’anima, e non tanto perché si ritiri in pensione, ma per il modo in cui lo fa. Per quanto i suoi occhi e la sua anima abbiano scrutato a fondo nell’abisso della Città, non c’è consapevolezza, non c’è sapienza a supportarlo e a confortarlo: al suo capo ammette comunque di non essere in grado di capire il posto in cui vive, ad una sconosciuta Mrs. Mills confessa di aver scelto la via della solitudine e di sentirsi uno sconfitto per quell’antica scelta. Non c’è eroismo nell’essere venuti a patti con quel mondo, come non c’è altro premio se non la perizia tecnica del saper fare bene il proprio lavoro. Del saper intuire l’esatta natura del male quando ne si annusi la presenza.
In questo risiede la radicale natura pessimista di Seven, di cui il finale nerissimo ne è solo estrinsecazione, attuazione. In questo sta la sua forza innovativa. Il serial killer è un attore di questa radice, ne è l’estroflessione più epidermica, una personificazione dello stato di anomia morale in cui versa l’ambiente urbano stesso, da cui il killer ammette di essere generato, e in cui trova il suo statuto, la sua ragion d’essere. Ecco dov’era la sua forza, quando avremmo sbagliato a cercarla nel personaggio: John Doe è la città stessa, imperscrutabile nei suoi mille sommovimenti triviali e brulicanti, che in un gesto tanto cieco quanto istintivo si erge a punitrice di se stessa, incapace di gestire in maniera produttiva e vitale la propria ansia di pulizia e di redenzione. La lotta è impari, perché qui non si fronteggia un uomo, per quanto straordinario; non c’è un Lecter a sfidare la polizia, bensì la stessa anima impazzita della comunità che deve servire e proteggere. Somerset lo sa, sin dall’inizio, e se decide di non ritirarsi lo fa, a quanto sembra, fondamentalmente per quello stesso senso di colpa – è l’inazione il motore immobile che crea l’implosione etica del tessuto sociale, è l’indifferenza, la mancanza di altruismo - che in diversi modi anima ogni personaggio della storia. Quel senso di colpa, canceroso e settico, sembra l’humus in cui nasce il male di Seven

Fincher l’oscuro
La metropoli nera e decadente, metonimia di un universo senza speranza, perennemente spazzata da una pioggia che non fa che infangarne ulteriormente le strade, allagandole fin dentro i vicoli sordidi; il serial killer, cellula impazzita deputata al collasso sociale, terreno angelo della morte, giustiziere di chi è reo d’averlo generato. Vengono i brividi al solo immaginarselo, un quadro del genere. Ma metterlo effettivamente in scena era la vera sfida. L’occhio che se ne fa carico è quello di David Fincher, classe 1962, alla seconda prova per il cinema dopo il buon esordio di Alien 3. Tutto concorre a far pensare che si tratti della materia più consona alla sensibilità del giovane regista, ipotesi confermata quattro anni più tardi dall’altro grande film di Fincher, quel Fight Club la cui epopea nichilista ci sembra derivare direttamente dallo sfacelo morale dell’opera precedente.
Ebbene, l’autore convoglia la potenza di Seven contro lo spettatore principalmente attraverso due direttrici: ovviamente il punto di vista della macchina, sempre consapevole, unito ad una perfetta scansione dei tagli di montaggio; in secondo luogo il lavoro sulla luce, delegato ad un Darius Khondji in stato di grazia, perfetto complemento estetico dell’idea di regia di Fincher: da questa rara empatia, insieme concettuale e tecnica, deriva il miracolo espressivo del film.
Il regista, nel posizionare la cinepresa, compie due scelte: la prima è quella di mantenere sempre una certa distanza dal suo scottante profilmico, almeno fintanto che la vicenda non prende la strada del deserto. Fino a quel momento – fino alla “scoperta” dell’assassino – è molto difficile trovar traccia di primi o primissimi piani, in Seven; Fincher rinuncia alla connotazione psicologica classica, e opta per una gamma di punti di vista più complessa, avendo sempre cura di mettere in quadro, insieme ai suoi personaggi, una buona porzione di ambiente. Non poteva essere altrimenti: la presenza del contesto urbano è di primaria importanza nell’economia espressiva dell’opera, anche quando si tratta solo dell’interno di un bar, o di un appartamento; in un universo filmico del genere, ogni taglio stretto risulterebbe solo come un’occasione mancata per significare una volta di più i personaggi in rapporto al setting della storia. Ecco che allora anche le sequenze apparentemente solo “di raccordo” assumono un significato proprio, che le prescinde dall’economia narrativa e le rifonda come “scene” a se stanti; spesso, in questi casi, Fincher sceglie anche angolazioni poco naturalistiche, invertendone però il senso: se infatti il regime ideologico dell’opera presupporrebbe un facile uso di piani dall’alto, a “schiacciare” l’individualità dei soggetti sotto il peso del Fato, qui perlopiù l’occhio della macchina scruta l’azione dal basso. Il risultato è tuttavia il medesimo: quelle figure stagliate contro un inquinato cielo urbano non hanno nulla di eroico, né di titanico; sembrano già vittime sacrificali di un ineluttabile meccanismo di morte.
Il lavoro fotografico di Khondji visualizza al meglio la sostanza filosofica che informa Seven; la luce saturissima, i verdi acidi, i neri senza scampo - frutto di un particolare sviluppo della pellicola - faranno scuola negli anni a venire, e danno all’insieme una splendida patina “noir”, riscontrabile anch’essa soprattutto nei passaggi meno “forti” del racconto; valga per tutte la scena della biblioteca, mirabile “adagio” notturno condotto su morbidi carrelli laterali, momento di amara riflessione nel quale il nostro istruito Virgilio illustra il percorso al suo compagno di strada.
Strutturalmente, la “detection” di Seven funziona alla perfezione: il montaggio di Richard Francio-Bruce rende il miglior servizio possibile al travolgente script di Walker. Le scene “attaccano” sempre al momento giusto, e non durano un secondo di troppo; in questo senso, e per tacer d’altro, è da antologia almeno tutta la prima mezz’ora del film, secca discesa nell’azione punteggiata da esatti affondi nella psicologia dei personaggi. Non che Fincher e i suoi avessero paura di prender di petto le “regole” del poliziesco; il genere deve funzionare innanzitutto a livello primario, ed è ciò di cui l’autore si ricorda quando gioca la carta dell’inseguimento tra cacciatore e preda: dieci minuti col fiato sospeso in cui vengono fuori tutta la sapienza tecnica e il senso dello spazio di un grande regista.

Seven passa alla storia per molti motivi. Dieci anni fa, ciò che colpì subito fu quel che di nuovo disse sul genere cui appartiene: l’azione criminosa presentata sempre come già avvenuta, e mai mostrata nel suo farsi, sintomo della schiacciante inevitabilità del male; il passo autoriale, rapsodico, eppure inarrestabile della storia; il più azzeccato “coup de theatre” degli ultimi anni, straordinaria accelerazione narrativa giocata su una sequenza magistrale; ovviamente lo “showdown” finale, film nel film in cui l’opera cambia rotta e Fincher cambia stile, tornando stretto sui volti dei suoi interpreti, ben deciso ad attentare ai nervi di un pubblico ormai saldamente in suo potere (Seven è il tipo di film che invita a nozze il narratologo interessato alle dinamiche comunicative tra autore, attore e spettatore).
Oggi, ad impressionarci non è più tanto la sorprendente struttura thrilling, o l’ispiratissima veste formale; l’una è ormai assurta ad inossidabile paradigma, l’altra pescava pur sempre in un immaginario preesistente – abbiamo citato Blade Runner – e al momento attuale si vedrebbe defraudata di un’ideale “leadership” sull’estetica urbana almeno dal genio digitale di Michael Mann.
No, ciò che ci fa amare Seven come il primo giorno sono ancora i suoi personaggi. Il dolente Somerset di un memorabile Morgan Freeman, l’impetuoso Mills di Brad Pitt, il glaciale John Doe di Kevin Spacey. Moderno Virgilio, il primo accompagna e assiste il suo Dante nella visita all’Inferno, ma se lo vede soccombere davanti. Il male vince, perché i suoi avversari hanno smesso di combattere.
Il personaggio di Freeman chiude il film, solo, proprio come l’aveva aperto. Il vecchio detective sembra ricordarsi di una discussione che aveva avuto con Mills, in occasione della quale il giovane collega gli aveva risputato in faccia la sua disillusione, il suo rimpianto, il suo dolore, e li aveva chiamati con un solo nome, vigliaccheria. Quella notte Somerset non riuscì a dormire.
Una citazione hemingwaiana sigilla il film, e per un attimo sembrerebbe di veder entrare uno spiraglio di luce. Non è così. Se si decide di combattere per un mondo che non lo meriterebbe, lo si fa unicamente perché si è capito che non v’è alternativa. E il risultato è comunque il medesimo.
Seven, con intatta potenza, ci racconta ancora questo.

a cura di Emanuele Boccianti e Piero D’Ascanio
Fonte: Offscreen

Speciale Evol

L'IDEA RIVOLUZIONARIA DI EVOL
ovvero Specchio situato di una Metafisica della Guerra
Nell'anno 1993 la scena black metal era in pieno fermento, sebbene a livelli che possono essere definiti underground. Questo nascondimento garantiva un certo livello di esoterismo che, solo, può preservare ciò che di genuino si rivela in una manifestazione artistica nell'età in cui viviamo. In quello sfondo e fra le nebbie di quelle solfuree atmosfere si colloca la nascita del progetto Evol. Il gruppo patavino diede alle stampe il primo demotape proprio in quell'anno. Il nastro, dal titolo The Tale of the Horned King(1), ad un primo sguardo sembrava al quanto "di maniera": solita incisione medievale in copertina, soliti simboli, un immaginario già utilizzato da molti altri progetti e il leader che andava addirittura a definirsi Black Philosopher(2), quando tutti continuavano a figurarsi come "maestri dell'oscurità".
Appariva poi all'interno, quasi come epigrafe, una frase di Euronymous, fondatore dei norvegesi Mayhem, il gruppo forse più importante della (breve) storia del black metal. Diceva: «We're but Slaves of the One With Horns»(3).
E a cosa servono le epigrafi, se non a evocare quella lucidità che trasforma il semplice sguardo in visione-intuizione?
Infatti, partendo da questa frase, si può dimostrare come l'idea stessa alla base del progetto Evol, e il suo dispiegarsi nel corso degli anni, abbia avuto un carattere veramente rivoluzionario, andando addirittura a integrare e ampliare al meglio quello che i Mayhem stessi avevano "soltanto" concepito(4).
Euronymous si diceva cultore del Male e dell'Oscurità in quanto tali, riconoscendo il nemico in qualsivoglia manifestazione legata alla Vita, genere umano compreso. Sono noti i suoi commenti su qualsiasi regime politico che annullasse l'uomo; addirittura la stessa Chiesa era da lui vista come una manifestazione del Male, in quanto agente a favore dell'oppressione. Gli Evol colgono questa visione e, riconoscendovi prima una posizione consona alla propria natura, poi un momento di portata cosmica, la fanno loro.
Qui risiede la prima vera e propria novità. Il coraggio di accettare, anche a scapito della propria esistenza fisica e della personale libertà(5), la propria devozione al Male. Mentre la maggior parte dei gruppi di quel tempo si dibatteva fra le onde di un confuso Occultismo e di un Satanismo inteso in senso positivistico come culto dell'uomo forte, della sua individualità e diremmo quasi del progresso, gli Evol parlano di totale devozione, sottomissione, schiavitù. Da questa relazione-affezione con il Principio Metafisico delle Tenebre nasce, nell'uomo, la vera Libertà. Solo riconoscendosi in qualcosa di superiore, rendendosi partecipi di ciò che giace nel Sovramondo, l'essere umano può reintegrarsi nella dimensione divina. Vinto così l'individualismo atomizzante, ci si riappropria di quella Libertà andata perduta fra le nebbie della modernità. L'individuo si trasforma in persona - quasi un processo iniziatico, quindi. Rende bene l'idea un'eventuale ricerca etimologica del vocabolo, che fa derivare il termine "persona" dal concetto di "maschera", qui intesa come proposta situata, incarnazione reale di qualcosa di superiore che trova necessario affacciarsi ovunque perché è consustanziale al Tutto. Inoltre: non è proprio la maschera a garantire quella funzione di impersonalità attiva necessaria per chi agisce "abitato dal divino"?
 
 
 
Ed è questo, secondo chi scrive, il momento apicale della ricerca: l'ingresso - meglio: il recupero, il ritorno - della Metafisica, il riconoscimento di una realtà superiore che informa di se stessa quella fisica, inferiore quest'ultima perché più vicina alla Materia e lontana dallo Spirito. In un ordine normale la realtà fisica dovrebbe essere specchio - o meglio simbolo - di quella ideale.
Dunque gli Evol sono riusciti, in questo primo momento, ad aprirsi un varco verso l'Alto - verso l'Assoluto - seguendo il sentiero impervio dell'Oscurità. Ma ciò era inevitabile, dato che una profonda analisi della propria interiorità aveva dato esito Negativo, nel senso di appartenenza al polo che in tal modo può esser detto(6).
Tutto quello che fin qui è stato esposto può essere riscontrato nelle numerose interviste rilasciate dal leader della band, ma può anche essere desunto da un'attenta analisi dei testi delle composizioni, accompagnati dalla musica, anch'essa molto originale(7).
 
Master, here're our Souls
Meaningless, as we born
Slave, to the Dark Domain
Fighting, for our Black Faith(8)
 
Una fine riflessione potrebbe porre l'attenzione sul fatto che anche il tanto odiato Cristianesimo
 
(Ancient) monuments to a forgotten christ are burning.
His followers are Hanged on every Tree.
Their flesh is food for the Birds,
their souls are the dish of our Lord.(9)
 
prevede la presenza di una realtà che sta al di là. Ma qui una precisazione è d'obbligo. Il Cristianesimo porta uno scarto, una lacerazione non ricomponibile fra i due mondi. Gli Evol non accettano questa posizione e introducono il concetto di Guerra, inteso come Principio Cosmico del Divenire. La tensione tra i poli di Luce e Tenebra, tensione che produce il flusso storico, deve rispecchiarsi nei rapporti fra gli umani, che partecipano rispettivamente del loro principio d'origine. L'ossessione per tutto ciò che è scontro, opposizione, movimento dialettico porta a un superamento del dualismo nocivo tipico della religione avversa(10). Grazie alla Guerra l'uomo può rendere attiva la propria fede; la persona riesce a tradurre, facendosi essa stessa strumento, il divino nella realtà fisica. Ecco che la ferita si rimargina; non c'è opposizione, ma il mondo fisico diventa campo di espressione di quello ideale.
All'interno stesso del gruppo si nota una sorta di partizione funzionale: Prince of Agony e Princess of Disease rappresentano la regalità nelle due passioni del Principio, quella Virile e quella Feminile, e Lord of Sorrow l'aristocrazia guerriera. L'Ordine da essi rappresentato è dunque di stampo regale-sacerdotale-guerriero.
 
Nell'anno 1994 il gruppo dà alle stampe il secondo demotape dal titolo The Dark Dreamquest part I. Qui le tematiche sono le stesse, ma gli Evol celebrano un vero e proprio tributo allo scrittore H.P. Lovecraft e alla sua opera. Il geniale e oscuro sognatore di Providence è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, sebbene sia ammantato da un'aura di mistero che non lo rende facilmente accessibile a tutti. I suoi racconti sono basati su una terrificante cosmologia, dove i dominatori incontrastati sono esseri mostruosi o divinità provenienti dallo spazio che, sordi alla condizione umana, trattano l'uomo come un semplice fantoccio, uno strumento sacrificabile all'altare del loro necessario dominio. Lovecraft è stato inoltre acutamente considerato come il "Copernico della letteratura orrorifica": egli ha sradicato l'uomo dal centro dell'Universo ponendovi figure divine. A parere di chi scrive le sue più importanti intuizioni sono il culto dell'Oscurità e lo slancio metafisico, udibile come un canto ipnotico in tutta la sua opera. Si noterà, le stesse che interessano l'esperienza Evol. Dunque, i Nostri riconoscono la linea che li unisce allo scrittore, e celebrano il Maestro.
Dell'opera di H.P. Lovecraft gli Evol colgono anche la fondamentale importanza del Sogno, della Fantasia e dell'Immaginazione. Facoltà queste che, insieme al Sentimento, attestano la presenza dello Spirito. A loro bisogna dunque rivolgersi in un epoca di velamento del Divino, e la propria ricerca interiore diventa dunque, più che filosofico-intellettuale, onirica, perfettamente integrata in una dimensione superiore.
 
Ricorda, rimembra,
il Sogno è la Chiave,
il Sogno è la Via(11)
 
Nel 1999 esce la loro ultima opera in studio, Portraits. Questo album era stato anticipato un anno prima dal pregevole mini-CD Ancient Abbey, da ricordare per la presenza della traccia-cover Phenomena, tributata ai Goblin e al regista Dario Argento.
Con Portraits si assiste ad un vero e proprio sbalzo teoretico. Analizzando la condizione di degrado che investe tutta la società attuale, Anime Nere - i seguaci dell'Oscurità - comprese, e prestando sempre più fede al proprio slancio metafisico, gli Evol si elevano ad un piano superiore. Sganciati dal loro principio d'origine, osservano dall'alto, abbracciando il Tutto, l'Assoluto. Dal Cielo si può vedere come i miserabili esseri umani abbiano tradito lo Spirito, prostituendosi con la Materia. È un processo di caduta necessario, caro alla visione tradizionale di certa Filosofia della Storia. Le Anime Nobili sono le uniche a comprendere in pieno la situazione e, destinate a tener fermo, svolgono la funzione di Testimoni e Custodi del Sacro. Considerazioni queste poi sviluppate da Giordano Bruno (The Prince of Agony) nel Manifesto ideologico dell'OMIAN (1999), una sorta di confraternita spirituale per l'incontro e la riflessione delle Anime Nobili.
 
 
 
La condizione di chi si riconosce in questa visione è estremamente drammatica: una vita in un mondo pressoché estraneo, nel quale si è costretti a un'eroica resistenza e dove il campo di battaglia diventa spesso la propria interiorità, lacerata e assediata. La sensibilità gioca qui un'importanza fondamentale, essendo la discriminante prima per capire chi sono coloro i quali possono cogliere i veri problemi, scaturiti dall'eclissarsi dello Spirito, che attanagliano la nostra epoca. I rimedi essenziali di sopravvivenza e studio sono forniti da Sogno, Immaginazione, Fantasia, Sentimenti, come gli Evol avevano già notato nelle precedenti produzioni.
 
"Fantasia, questa è la via
Alla tua magica terra natia
Nulla v'è che possa fermare
Di un'Anima Nobile il maestoso avanzare"(12)
 
La condizione dell'Anima Nobile, la sua lacerazione interiore, ricorda quella dei seguaci delle Tenebre costretti a vivere in un mondo asservito al Principio della Luce (sebbene in una fase discendente del suo ciclo): anche questo era stato pre-sentito fin dagli esordi.
 
Ma l'erosione della decadenza è sempre più forte, il deserto avanza e la solitudine si fa soffocante. Diventa sempre più difficile trovare camerati, alleati o semplicemente amici. Nella dedica presente in Portraits, Giordano B. Folin afferma: «Personally, I will never try again to take an active part in order to fight it, finding compromises with people who have very few in common with me, as I did in the past».
Così, non riconoscendosi più nella scena musicale in cui operava, Giordano Bruno decide di sciogliere il gruppo. Un gesto drammatico se vogliamo, ma altrettanto necessario.
 
«Penso di averti già detto il mio stato di insofferenza e disagio che avvertivo negli ultimi tempi, a contatto con una scena molto rozza e insensibile al mio pensiero. Inoltre il mio spirito ha subito negli anni un notevole sviluppo, come avrai già notato negli ultimi lavori degli EVOL, aprendosi a nuovi orizzonti»(13).
 
Resta da sottolineare come gli Evol abbiano svolto la propria funzione in modo vincente. Essi hanno rappresentato una proposta storicamente situata di testimonianza e custodia di valori essenziali legati a una certa visione del Mondo. L'opera degli Evol è viva, nel senso che può essere ripercorsa in qualsiasi momento, permettendo a chi sa ben vedere l'accesso a una realtà superiore e indicando una via per non lasciarsi travolgere dalla corrente della modernità. Questo spinge Giordano Bruno ad affermare, quasi con toccante generosità: «Therefore, if you are able to feel something more in our works, if you are touched by something you cannot see with eyes, try to expand your soul and eventually look around for allies»(14).
 
Alla domanda più critica e dolorosa - è possibile far irrompere ancora il Divino nella Realtà? - forse il progetto Evol ci ha fornito una risposta, sia filosofica che pratica. È sì possibile, attraverso l'Arte. E il gruppo di Giordano Bruno ci è riuscito davvero, facendosi strumento del Divino, del Vero.
Rispondendo a questa domanda - diremmo meglio, a questa chiamata -, gli Evol sono stati capaci di innescare altre domande nel cuore degli ascoltatori. «Answers are not so important, questions are. And our creations are just this: questions»(15) perché «le nostre strade si separano, ma il seme della Conoscenza già germoglia in te, e so che tornerai» infatti «la tua essenza Mi appartiene, come un regno al suo sovrano»(16).
 
The rest is History…
 
 
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(1) Il demotape citato rappresentò poi il nucleo del primo album The Saga of the Horned King (1995), mentre il secondo demotape dal titolo The Dark Dreamquest part I (1994) fu ripreso nel secondo album Dreamquest (1996). Entrambi i nastri sono stati poi raccolti nella ristampa su CD Dies Irae (2001).
(2) Aggiungiamo noi che oggi, di filosofi, ce ne occorrono sempre meno. Piuttosto, invece di automi del pensiero, individui speculanti che si perdono chissà dove, servono persone capaci di cogliere e contemplare ciò che sta oltre la realtà materiale e che sappiano poi tradurlo in qualche modo. Ci si riferisce alla figura di un Pontifex insomma; che risolva la frattura presente nella nostra epoca. Ci permettiamo di dire che un primo carattere "intellettualmente" rivoluzionario della figura - e dunque della funzione - del leader di Evol è stato proprio questo.
(3) Sottolineatura nostra.
(4) Non vorremmo essere irriverenti nei confronti della storica band norvegese, ma bisogna tener conto dell'"irrazionalità" dei fatti che colpirono la scena - musicale e non… - di quei luoghi. Inoltre il progetto Evol ha dimostrato di essere sorretto da ben altra ricerca interiore.
(5) Si noti fin da ora, come poi diremo, l'importanza di questo concetto nella speculazione che regge i temi trattati da Evol.
(6) Ci si passi l'ironia… Il Polo Metafisico in questione può esser denominato come Nero, Negativo, Oscurità, Tenebre, e in molti altri modi.
(7) Gli Evol proponevano un black metal melodico accompagnato da voce femminile, largo utilizzo di tastiere e parti più violente. Quasi a rappresentare i due momenti dell'esperienza vitale, quello attivo e quello contemplativo.
(8) EVOL, The Return of the Horned King, da The Tale of the Horned King, 1993. Sottolineature nostre.
(9) Ibidem.
(10) Va qui ricordato che alcuni aspetti "diversi" del Cristianesimo delle origini o delle religioni semitiche in generale rivelano invece la presenza di caratteri eroici (si veda il fenomeno delle Crociate o il concetto di Guerra Santa, interessante anche per la distinzione fra una Piccola e una Grande Guerra Santa). Una certa Storia delle Religioni ha individuato in questi l'influenza di forme di religiosità diverse, ovvero di quelle legate al ceppo iperboreo o indo-europeo.
(11) EVOL, …verso la Città del Tramonto, da Dreamquest, 1996.
(12) EVOL, Portraits, da Portraits, 1999.
(13) Da una lettera privata inviata da Giordano Bruno all'Autore dell'articolo.
(14) Dalla dedica in EVOL, Dies Irae, 2001.
(15) Ibidem.
(16) EVOL, …verso la Città del Tramonto, da Dreamquest, 1996.
      
   
INTERVISTA CON PRINCE OF AGONY, LEADER DEGLI EVOL
PRIMAVERA 1995
 
La presente intervista è inedita; preparata per una fanzine di metal estremo, non vide mai pubblicazione.
 
Hail Prince of Agony! Presentaci il tuo gruppo, le vostre opere e i progetti futuri!
Ho formato gli EVOL nel primo mese del 1993. La line-up è: Prince of Agony (synth/vox), Lord of Sorrow (guitars/bass), Princess of Disease (female vox). Fino ad ora abbiamo creato due demos, The Tale of the Horned King e The Dark Dreamquest part I. A giorni dovrebbe uscire il nostro debut-CD tramite Adipocere Records. Il titolo è The Saga of the Horned King.
 
Qual è il significato del vostro nome?
EVOL rappresenta il Principio Nero, il Male Assoluto, forgiatore di tutte le anime Oscure dell'Universo. Ho voluto indicarLo con questo nome perché ne rappresenta meglio l'Universalità. Nella nostra cultura Lo chiamiamo Satana, ma altre tradizioni hanno nomi diversi per esprimerLo. Così EVOL può essere assunto da tutti i Fratelli Neri, nella speranza che i dissidi tra noi cessino per far posto alla vera battaglia contro i seguaci della luce.
 
È stato difficile trovare persone con la tua stessa attitudine con le quali avviare una collaborazione di questo tipo?
Senza dubbio è difficile trovare dei Fratelli Neri. Infatti noi abbiamo problemi di line-up proprio per questo. Non possiamo suonare dal vivo, perché ci mancano dei membri fissi per poter realizzare un tour. Se mai dovessero aggiungersi nuovi membri agli EVOL, dovranno essere dei veri Seguaci delle Tenebre.
 
Puoi parlarci dell'ideologia che sta dietro al gruppo e del tuo interesse nei confronti dell'Occulto?
I motivi per cui suoniamo sono molteplici. Quello meno importante è il piacere della musica. Io vedo la musica che noi facciamo come un mezzo per poter esprimere ciò che ci caratterizza nel profondo delle nostre Essenze ed inoltre uno strumento che permette a chi ascolta di ampliare le proprie facoltà interiori al fine di raggiungere una consapevolezza autentica circa la Realtà che ci circonda e ci permea. La nostra musica è innanzitutto rivolta verso un pubblico elitario. Sono consapevole che possa piacere a molte persone, ma solo le Anime Superiori potranno coglierne i più profondi significati e esserne maggiormente influenzate.
Per quanto riguarda il mio interesse per l'Occulto, esso è grande. Io sto muovendo i primi passi nel terreno della Filosofia, il cui scopo è appunto la Ricerca di Ciò che è occulto (alla vita di tutti i giorni).
 
  
 
Quali bands preferite e con quali siete in buoni rapporti?
In linea di massima ci piacciono tutte le bands che riescano ad accendere il nostro Animo. Posso citarne qualcuna: Moonspell, Rotting Christ, Emperor, Burzum e molti altri per quanto riguarda i Fratelli di Fede. Poi ascoltiamo molto volentieri anche altre musiche che stimolino le nostre capacità intuitive come ad esempio Dead Can Dance, In The Nursery, Tiamat, … Non cito le opere di musica classica altrimenti non basterebbe la tua 'zine. Siamo in buoni rapporti con molte bands sia italiane che estere.
  
Cosa ne pensi del fatto che grazie alla diffusione del black molte persone considerino l'Occultismo o il Satanismo un trend? Non pensi che tutto ciò oltre ad essere una cosa personale non sia per tutti?
Io penso che chiunque sia cosciente di appartenere al grande Principio Negativo sia autorizzato ad immergersi in questo ambito musicale. Però non posso impedire in alcun modo che stupide persone trendy ascoltino la mia musica. Per loro la punizione verrà in altri momenti. L'Eternità è un buon giudice.
 
Sei soddisfatto della città in cui vivi? Siete in buoni rapporti con altri gruppi di Padova?
Non avrei nulla da dire circa la città in cui vivo. Il problema non è il luogo, bensì il Tempo, l'epoca in cui vivo. Ma sono convinto che presto verrà il nostro riscatto. Non tengo in nessuna considerazione le bands padovane. Per me è come se non esistessero.
  
Farete dei concerti? Puoi descriverci un'eventuale vostra performance?
Come ho già detto, sarà molto difficile una nostra apparizione live. Se mai dovesse succedere, il pubblico ci vedrà come siamo nelle nostre foto.
 
Se vi venisse offerto di suonare in un centro sociale, accettereste?
Non penso che loro accetterebbero. Loro predicano la non-violenza, il culto della vita. Noi viviamo per la Morte e la supremazia del suo Culto.
 
Ascolti solo black o anche altri generi musicali?
A dire la verità negli ultimi tempi ascolto molta musica atmosferica e classica.
  
Cosa ne pensi della Church of Satan (LaVey) di San Francisco e dell'Inner Circle (Burzum, Dark Throne, Emperor, Mayhem e Thorns) Norvegese?
Tra i due c'è un vero e proprio abisso! La Church of Satan non ha niente a che spartire con il Culto del Male. Predicano l'Individualismo. L'Inner Circle è molto più coerente con il nostro Culto.
 
L'intervista è finita! Vuoi aggiungere altro?
Le cose da aggiungere sarebbero troppe, per cui mi limito ad un semplice «Hail Darkness!!!»
      
     
INTERVISTA CON GIORDANO BRUNO
(THE PRINCE OF AGONY), LEADER DEGLI EVOL
PRIMAVERA 1998
 
La presente intervista fu pubblicata dalla fanzine sarda di musica gotica-elettronica-industriale-neo folk Into the Darkness, numero 4, Ottobre 1999. Si ringraziano, per la disponibilità nonché per l'amicizia dimostrata, Francesca Mulas e Giacomo Pisano.
  
Hail Prince of Agony! Puoi fare una breve cronistoria della vostra esperienza artistica e spiegare perché avete scelto questo nome?
Dunque, ho formato gli Evol nel gennaio 1993, ormai cinque anni fa. Samael von Martin (the Lord of Sorrow) fu il primo ad entrare nel progetto. Poi, durante l'estate 1993 venne anche Suspiria (the Princess of Disease). Fino ad ora abbiamo dato alle stampe due demo-tapes (The Tale of the Horned King e The Dark Dreamquest part I), entrambi sold-out. Inoltre, grazie alla preziosa collaborazione con l'etichetta francese Adipocere Records, abbiamo pubblicato tre album (The Saga of the Horned King, Dreamquest ed Ancient Abbey). Presto uscirà anche il nostro quarto lavoro, Portraits, che sarà accompagnato da un mio libro di racconti (Frammenti). Questo perché tutte le liriche del nuovo album sono ispirate da personaggi e mondi da me creati nel corso della mia breve esistenza. Per quanto riguarda il nome del gruppo, EVOL indica il Principio Nero dell'Esistenza, la Forza Cosmica che tende per natura a disgregare il Tutto, al contrario del principio della Luce (LOVE), il quale tende a unificare. Il motivo per cui ho scelto questo nome è abbastanza semplice. Viviamo in un'epoca di decadenza, in costante allontanamento dalla naturalità delle nostre anime. Le nobili essenze hanno bisogno di riscatto, di trovare una speranza, di lottare contro la decadenza. EVOL può fornire questa speranza, facendo intravedere alle anime nobili una nuova epoca di rinascita.
  
Ho notato, inoltre, che in occasione dell'uscita del vostro nuovo mini-CD avete leggermente modificato il logo che prima presentava al suo interno un pentagramma. Perché questa scelta? "Evoluzione" o "Mimetismo"? O cos'altro?
Il pentagramma all'interno del nostro logo rappresentava senza dubbio una limitazione dei nostri orizzonti teoretici. Mi sono sempre definito un mercenario dell'Oscurità, fin dai primissimi lavori. Questo perché ho sempre saputo che la risposta alle domande fondamentali che un'anima nobile si pone non risiedono in una fazione particolare, bensì nell'Universale, di cui i singoli particolari fanno parte. All'inizio della nostra produzione artistica, il Satanismo ha rappresentato un momento importante della nostra evoluzione; ora abbiamo bisogno di allargare il campo di ricerca.
Non abbiamo cambiato fazione, questo, spero, sia chiaro. Ci siamo "semplicemente" elevati ad un piano superiore. Ora il nostro interesse principale si rivolge alla Realtà considerata come un Tutto composto da due Forze Cosmiche opposte l'una all'altra. Personalmente, io spero che il mio messaggio venga recepito da tutte le anime nobili che ascoltano la nostra musica, di qualsiasi fazione esse siano.
  
A proposito del nuovo mini-CD, puoi spendere qualche parola sulla vostra nuova opera che non ho avuto ancora la possibilità di ascoltare?
"Ancient Abbey" non è un semplice advanced-CD, in attesa del nuovo album. All'interno di questa release ci sono due pezzi che saranno inclusi anche in Portraits. Nonostante ciò, queste canzoni saranno molto diverse, infatti, per quanto riguarda Ancient Abbey, il mixaggio sarà completamente differente, mentre Das gemiedene Schloß sarà tradotta in italiano (con il titolo Il Castello Evitato), avrà un cantato alla fine e poggerà su una base di pianoforte arrangiata e suonata dall'organista Roberto Scarpa Meylougan. Poi il mini-CD contiene il pezzo Witchlord, che non verrà incluso nel nuovo album, e la cover di Claudio Simonetti/Goblin, Phenomena. Infine abbiamo deciso di includere anche la versione originale di Prologue (Waiting for His coming), poiché ormai è diventata una rarità.
  
Ho notato che avete varie volte fatto riferimento a Simonetti e ai Goblin. Vi sentite influenzati da questi personaggi? Quali sono altri artisti che vi hanno influenzato o ispirato?
Simonetti e i Goblin sono il gruppo favorito da Samael von Martin, quindi è logico che le loro composizioni possiedono una certa influenza sulle nostre creazioni. Sempre dal punto di vista musicale, siamo influenzati da gruppi storici quali Celtic Frost, primi Bathory, e tutti i gruppi Heavy Metal che hanno lasciato un'impronta indelebile sulla nostra generazione. Ma noi ascoltiamo molto anche altri generi musicali, senza alcun pregiudizio o limitazione. Forse è questo il segreto della nostra originalità, in confronto alla maggior parte dei gruppi black attuali, troppo spesso simili gli uni agli altri.
  
Cosa ne pensi degli ultimi fatti accaduti nella "scena black metal" qui in Italia? E come vedi l'attuale "scena" mondiale?
Guarda, ultimamente devo confessarti che non seguo più molto da vicino la scena italiana o mondiale. Purtroppo devo constatare che il medesimo veleno che infesta la società attuale ha contagiato anche la scena black, ed il Satanismo in generale. C'è tanta ignoranza e superficialità. L'immagine conta più dei contenuti, anche perché questi ultimi sono compresi da una minoranza di eletti. Non sono più in grado di distinguere la scena black dalla società in genere. Così, mi limito a ricercare in qualsiasi ambiente le anime nobili, gli spiriti eletti, che soli possono comprendere le vere problematiche che affliggono la nostra epoca.
  
Puoi spiegare brevemente il concetto filosofico che sta alla base degli EVOL? Quanto hanno inciso nel vostro percorso occultismo e satanismo, spesso considerati alla base del "movimento black metal"?
Non è facile esprimere in breve dei concetti che hanno richiesto anni di ricerca, e che non sono ancora completi. Ad ogni modo, farò il possibile per essere chiaro e comprensibile. Il nucleo fondamentale della mia concezione teoretica risiede nel riconoscimento dell'Essere come un Tutto composto da due Principi opposti ed in rapporto dialettico reciproco tale per cui dal loro scontro ha origine il movimento storico. Ogni essere individuale partecipa in grado diverso al Tutto. Gli esseri umani condividono lo stesso destino di ogni altra cosa esistente. Anche gli umani possiedono quindi gradi diversi di partecipazione al Tutto, e di conseguenza hanno compiti diversi. Le anime nobili dovrebbero essere destinate alla guida del genere umano, manifestando la loro natura nella contemplazione del Tutto. Questo è possibile solo in una società in cui la maggioranza degli uomini serve un'oligarchia d'animo. Le diverse società umane riflettono, poi, il rapporto dialettico dei Princìpi Cosmici e quindi si basano sulla Guerra. Però l'umanità, essendo per natura imperfetta, tende inesorabilmente alla decadenza e, presto o tardi, verrà spazzata via. L'epoca contemporanea esprime la tragicità dell'esistenza umana, in cui si è attuato un rovesciamento sociale irreversibile in cui i nobili sono costretti a servire, mentre i servi hanno la possibilità di governare. Ai pochi nobili rimasti non resta altro che l'immaginazione, la fantasia, per sfuggire alla mediocrità imperante. L'epoca attuale è però destinata a sua volta ad esaurirsi in una grande catastrofe che permetterà al genere umano, o ad altre forme di vita cosciente, di dare inizio ad un nuovo ciclo di rinascita. Il Satanismo ha rivestito un ruolo importante nella nostra prima produzione artistica, poiché quello era il periodo della ribellione, della ricerca di alleati nella lotta contro la decadenza, imputata in quel periodo ai seguaci della Luce. Però il cammino teoretico è proseguito, e quella medesima decadenza è risultata affliggere anche gli stessi seguaci delle Tenebre. Il Satanismo è pur sempre un limite, mentre io guardo al Tutto, inscindibile unità di Luce e Tenebra. L'occultismo non ha niente a che fare con il Satanismo. Si tratta di una forma di sapere iniziatico, che studia le affinità tra i vari elementi all'interno del Tutto. Questo può interessare chiunque possieda un minimo di sensibilità estetica.
  
La line-up originaria consisteva in tre membri. Come stanno ora le cose? Avete finalmente trovato dei degni compagni di strada?
Il trio originario degli EVOL esiste ancora (idea del Triumvirato), ma al momento attuale è stato affiancato da due nobili figure, Demian de Saba (batteria) e T-Rex (basso), le quali potrebbero essere definite come Centurioni di EVOL.
  
E per quanto riguarda la vostra attività live? Siete più apprezzati in Italia o all'estero?
Sinceramente, il pubblico estero è senza dubbio più interessato alla nostra attività musicale. Ogni volta che suoniamo in un altro paese sia accolti con grande interesse ed onore. Anche in Italia ci sono molti nostri sostenitori, però vediamo anche molte persone distaccate, solo perché siamo un gruppo Italiano, e non, magari, Norvegese. Inoltre vorrei fare un appunto sui locali. All'estero c'è molta più professionalità, i gruppi sono pagati in base al loro valore artistico, e vengono trattati con rispetto, come è giusto che sia. In Italia, purtroppo, i gestori si comportano in maniera inaccettabile. Sembra quasi che ti facciano un favore se vai a suonare nel loro locale. Spesso i gruppi non sono pagati, e vengono trattati male. Io penso che tutto ciò non sia giusto, però la colpa non è solo dei gestori. Se i gruppi che suonano non accettassero situazioni così umilianti, le cose cambierebbero.
  
L'intervista finisce qui. Grazie per la tua disponibilità! Vuoi aggiungere altro?
Grazie a te per questa intervista. Chiunque voglia contattarci, lo può fare scrivendo all'indirizzo: EVOL, c/o Giordano B. Folin, c.p. 451, 35100 Padova, aggiungendo un bollo per la risposta.
     
      
INTERVISTA CON GIORDANO BRUNO
(THE PRINCE OF AGONY), LEADER DEGLI EVOL
AUTUNNO 2001
  
In occasione di questo articolo "retrospettivo" Giordano Bruno ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
 
Ormai non è più un mistero: gli EVOL non esistono più. Dopo le registrazioni dell'album Portraits hai deciso di porre la parola "fine" a questa esperienza musicale. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a sciogliere il gruppo?
Inadeguatezza, spaesamento, disagio. I giorni passano, le stagioni passano. Non ci si può mai fermare, si può solo guardare indietro e sospirare. Non è bene ostinarsi nella fissità illusoria di un effimero moderato successo. Esaurita era la spinta sinergica che ci caratterizzava. Questo era l’unico sentiero da seguire. Non ho rimpianti.
 
Cosa ti è rimasto dopo tutti questi anni? Sei soddisfatto del cammino tracciato dal tuo gruppo?
EVOL ha rappresentato per me un periodo fondamentale della vita, una tappa ricca di soddisfazioni ed esperienze indimenticabili. Tal periodo è coinciso anche con parallele vicissitudini che mi hanno assieme permesso di sviluppare il mio pensiero e di coltivare la mia anima. EVOL poi mi ha permesso di esprimere ciò che doveva essere espresso. Non vi è nulla che non sia profondamente sentito e vissuto in ciò che ho creato in quegli anni. Raro evento nel panorama musicale, quello in cui si verifica la perfetta coincidenza tra vissuto esistenziale e creazione artistica. Il cammino intrapreso è stato segnato dalla granitica presenza del destino. Non poteva essere altrimenti, il suo inizio, il percorso e l’inevitabile fine. Ma esso stesso è una tappa della mia personale spirale esistenziale e ripensandoci grande sarà sempre l’emozione e la nostalgia. Così tanto è stato detto e fatto. Così tante speranze sono state sofferte in quei giorni. E i sogni, i mondi, le idee, fioccavano come manna dai cieli. Ora la strada continua, e con un occhio avanti ed uno sui propri passi, si va, si va. Ogni istante è prezioso, ogni singolo istante, nel momento in cui in passato si tramuta, assume il valore della gemma più rara. Tale è la via dell’Anima Nobile. Un eterno andare, errare, per sentieri talora impervi e contorti, talaltra pianeggianti e retti. Ma l’intera nostra esistenza non è forse più simile nel suo insieme ad una scala a chiocciola, che scende sempre più verso il basso? E questo scendere è peraltro un eterno a-scendere nel nostro personale destino. Così, in un fatale paradosso, ci si muove, anche stando immobili, scissi tra fato e desiderio, “in girum imus nocte et consumimur igni”(1)
 
Pensi che il messaggio di EVOL sia stato recepito da molti? Ti ritieni soddisfatto della risposta di chi si è avvicinato alla vostra musica?
Ritengo che molte persone, entrando in contatto con le nostre creazioni, abbiano avvertito qualcosa di insolito, una presenza che spesso non alberga nei prodotti musicali comuni. Uno strano senso di spaesamento, vertigine, una piccola contrazione dei muscoli addominali, l’accelerare impercettibile del battito cardiaco, il respiro che d’un tratto si fa più corto. Questo ritengo. Pochi sono in grado di comprendere fino in fondo ciò che attraverso EVOL viene espresso. Troppo personale. Troppo me stesso. Ma, attraverso me, qualcos’altro si affaccia su questo sfortunato mondo. Qualcosa di strisciante, di onnipresente, ma non esplicito. Qualcosa di cui tutti fanno parte, ma che da pochi è vissuto fino in fondo. Niente a che vedere con il Male; il Male non ne è che una parte, un necessario seguace anch’Esso sottomesso da invisibili finimenti d’oro e argento. E ritengo sia questo il grande merito di EVOL. E sia anche ben chiaro, in questo io non ho merito. Io non sono che un mezzo. Ce ne sono altri, molti altri, di mezzi atti e adoprati a si nobil scopo. Molte persone hanno avvertito questo e non hanno potuto ignorare l’evento. Quando si manifesta, non si può guardare “altrove”, perché ovunque lo sguardo posi, eccolo apparire.
  
Se mi è lecito chiederlo: torneranno, un giorno, gli EVOL? O si riaffacceranno in un'altra forma?
Non posso decidere cosa il futuro ci riservi. Non posso nemmanco escludere nulla. Ciò che è certo è che l’adesso è tale per cui EVOL non può cantare nulla di nuovo, ma esclusivamente gli antichi fasti.
  
Avete in passato fatto riferimento allo scrittore H.P. Lovecraft. Puoi spendere qualche parola su questo oscuro personaggio?
Fu senza dubbio alcuno, un grande personaggio. Attraverso la sua penna, si affaccia alla finestra del mondo tanta parte di quel Vero che noi tutti andiamo cercando. Ed inquietante e scuro e angoscioso il senso che lascia nel lettore. Poiché la frattura tra Ciò che è e Ciò che dovrebbe essere, tra il Vissuto ed il Tutto, è così scomposta e vasta che l’uomo d’oro non ha che da soffrire e tanto. Lo Sconosciuto, affiorante nei sogni (che altro non sono se non la vita artistica degli artisti), fa paura, o meglio, fa paura il riconoscimento della propria finitudine, della necessaria inadeguatezza, della Caduta. Lovecraft, il razionale uomo Lovecraft, fu scelto dall’Arte per tale missione. Morì, ahinoi, in sofferenza e malattia, così com’era poi intellettualmente sempre vissuto. Un eterno ringraziamento va a lui ed a tutti quelli come lui, che hanno portato, loro malgrado, la Croce sulle spalle e non hanno cercato di sottrarsi al destino che li voleva lì in quel tempo e spazio.
  
A partire dall'album Dreamquest hai abbandonato il face-painting per la maschera. C'è un motivo particolare che ti ha spinto verso questa scelta? Cosa pensi delle maschere, questi oggetti che, come ebbe a dire un altro musicista che li indossa, intrigano più che spaventare?
Senza dubbio, non una questione di voler incutere paura nel cuore di chi guarda. Ma sempre parte di quel distacco, quel senso di distanza tra la cosa e l’idea di essa. Tra l’oggetto ed il soggetto. E le mille maschere altro non sono che le infinite facce del Tutto. La maschera, nella sua immota fissità, rappresenta a prima vista una certezza, ma sotto, si sa, qualcosa d’altro attende ed osserva. La maschera genera nell’osservatore la vertigine delle infinite possibilità, del nascondimento dell’altro, della possibilità eternamente frustrata della ri-velazione. Infatti, sotto una maschera eccone un’altra, ed un’altra, ed un’altra.
 
Secondo me l'esperienza EVOL ha sempre dato voce a una radicale e puntuale critica della modernità. Esiste, secondo te, qualcosa che permetta di arginare i moti scomposti del caos? Come resistere? E come permettere al Divino, all'Assoluto, di affacciarsi nuovamente?
Bizzarro è quel Caos che procede regolare verso un fine. Noi viviamo nel paradosso. La nostra epoca è segnata da questo Caos legalizzato. Quali immensi progressi, quali stupefacenti scoperte ci accompagnano ogni giorno. E le nostre vite non sono tutte forse più ricche, comode, belle? Siamo riusciti, miei signori, ad elevare di un bel po’ la nostra cara vita, riuscendo a rimanere in questo corpo per un discreto numero di anni. Ma cosa direbbe la marvigliosa farfalla, che un sol giorno vive, ma irradiando si tanta bellezza e grazia? Siamo come falene, così indaffarate e intente a svolazzare attorno alla “notturna lampa”, da ignorare completamente l’oscurità che ci avviluppa. Procediamo in un’apparente linea retta verso un fondo che appare sempre alla medesima distanza. Un gorgo che ci attrae a sé in un mortale abbraccio. Il Divino, paradosso dei paradossi, ci accompagna sempre, poiché mai un Dio può morire. Il Divino è morto “per noi”, ma non in sé. Così le poche Anime d’Oro cercano invano ciò che non può essere trovato. Siamo faville e come tali avvampiamo ed un istante dopo non più siamo. Veloci come il batter di ciglia, il nostro passaggio non lascia che rifiuti. Solo un Dio ci può salvare e la Sua volontà colpirà senza che noi ce ne accorgiamo. Sarà come svegliarsi da un sogno che non riusciamo a ricordare, e finalmente un altro sogno inizierà.
 
Che cosa rappresenta per te il Passato? Può essere utile un suo recupero? Ed entro quali termini?
Il Passato è così bello. E’ perfetto, non muta, è sicuro e fermo. Ed è lì che più chiaramente scorgiamo la presenza dell’Uno. La Verità si mostra a noi dal Passato, ma è una Verità immobile, avvolta nel sudario della morte, ricoperta da una coltre di ghiaccio. Recuperare il Passato è come voler resuscitare un morto, ma il ricordo è così dolce e caldo. E un dovere è cantare le sue glorie, poiché il Passato è ricolmo di Eroi, che hanno combattuto e perso la loro guerra contro il Destino avverso. Onore andrà ai caduti e ai vinti in egual misura, poiché si canterà il loro eroismo, la loro nobiltà, non il risultato effimero che già nella tomba giace.
 
Il nome del gruppo rappresenta l'inversione della parola che in inglese significa anche "amore" e allo stesso tempo ricorda il vocabolo evil. Nonostante questa visione piuttosto nera, in passato hai affermato che l'amore esiste: sia come naturale pulsione verso il proprio principio d'origine che come sentimento che lega anime affini. Ma può, secondo te, in quest'epoca di disgrazia sussistere il vero amore? Un amore puro e completo che, quasi niccianamente, si dona?
L’Amore fa parte di noi in quanto figli e ci accompagna sempre. La tensione, il desiderio, l’ammirazione per ciò che ci fece si accompagna tristemente assieme al necessario dolore scaturente dall’impossibilità di raggiungerlo. Non ci si sottrae all’Amore, si può però viverlo con eroico sentimento. E proprio in epoche quali la presente, nelle Anime Nobili s’accende il sentimento, in quanto sempre più lontane dalla materna patria e più pressante si fa l’esigenza di reciproco aiuto. Ma con esso, anche il dolore si fa maggiore, la ferita sempre di più sanguina e s’infetta di putride illusioni. Ed è così che ancora una volta, là dove più arde il desiderio di volare, le ali si fanno sempre più deboli e rachitiche. E dall’Abisso le grida disperate delle Anime innamorate, solo le grida, si elevano alte e chiare.
 
Siamo alla fine… C'è un qualche messaggio che vuoi affidare alla conclusione di quest'intervista?
Ringrazio i pazienti lettori per il loro tempo speso nel leggere qualche migliaio di lettere messe assieme alla rinfusa. Poteva essere scritto tutt’altro, ed il risultato temo sarebbe stato lo stesso. Invito chiunque interessato, a contattarmi. E magari, qualcosa di interessante sarà ancora…
 
 
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(1)“Giriamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”, Idem, Guy Debord, Francia, 1978.
     
   
EVOL
The official definitive biography
 

The story so far…

 
In the beginning of 1993, Giordano Bruno (The Prince of Agony) formed a black metal band, and he called it EVOL, intending with this term the Black Principle of Existence, in a dualistic vision of the Whole. Soon he was joined by Samael von Martin (The Lord of Sorrow) and Suspiria (The Princess of Disease). Their originality was immediately clear, mixing together metal music with evocative keyboard songs and female vocal parts. At the base of their creations there was always a deep thought, reflecting their Noble Souls. The Search for Truth, and the concrete critic against the present age troubled their works since the very beginning. In the first period, they dedicated themselves to the study of Darkness, and in particular of one of Its forms, known as Satanism. But soon, their horizons began to grow, as they realised that the answer to an universal question had to be found in an universal context. Furthermore, the decadence of the present age, ruled by the laws of ignorance and hypocrisy, started to affect also the satanic environment, and so they decided to address their sight to a higher sphere of Existence, where the true values of spontaneity, authenticity and virtue were still alive. Imagination, Fantasy, Art, these were the means they wanted to use in order to express the visions their contemplative essences had, while seeking Truth. In 1997 they were joined by two other souls: Demian de Saba (The Count of Insanity) and T-Rex (The Marquis of Rex Tenebrae). Their mission went on, marching on the path of Truth, without denying their past, and addressing their chants to the Noble Souls, both of Darkness and of Light. Everybody should be unite, in order to fight the Decadence, hoping for a New Age of Rebirth to come. EVOL now belongs to the Ancient Times, their works stand as monuments to the endless searching for Truth and Knowledge. “De Bello Gallico” represents their last tribute to Art and to all the great people who followed them during their adventure. Everything is doomed to perish, but the memory should guide us all, because the Heritage EVOL left is a fundamental path for every Noble Soul in its travel to Wisdom. Nobody is able to foresee the future, but under the ashes the flame is still alive and perhaps one day the Phoenix will fly again. Anger rises from the deep abyss of the soul. Pain is too strong. Solitude too cold. A new path of Nihilism stands in the horizon, closer and closer. The circle has to be closed, whatever the price. The rest is History…
 
 

EVOL’s creations so far…

 
1993, “The Tale of the Horned King”, demo-tape, self produced, sold-out;
1994, “The Dark Dreamquest part I”, demo-tape, Maggot Production, sold-out;
1995, “The Saga of the Horned King”, CD, Adipocere Records;
1996, “Dreamquest”, CD, Adipocere Records;
1998, “Ancient Abbey”, mini-CD, Adipocere Records;
1999, “Portraits”, Adipocere Records;
2000, 7” Picture Ep, Maggot Productions, LIMITED 100 COPIES
2001, “Dies Irae”, CD, reprint of the first two demos + two unreleased tracks, Black Tears of Death
200?, “De Bello Gallico”, double live album, Adipocere Records.
  
 

EVOL’s Empire so far…

 
Giordano Bruno (The Prince of Agony): keyboards and vocals
Suspiria (The Princess of Disease): female vocals
Samael von Martin (The Lord of Sorrow): electric and acoustic guitars
Demian de Saba (The Count of Insanity): drums
T-Rex (The Marquis of Rex Tenebrae): bass
 
 

Gates to EVOL so far…

 
Mail: EVOL, c/o: Giordano B. Folin, c.p.451, 35100 Padova, Italy (IRC required)
Homepage: www.evol.de.vu
Merchandise: Adipocere Records, b.p. 18, 01540 Vonnas, France
 
 

Se il Destino lo vorrà

Ci rincontreremo

Aber das Leben ist Krieg
O. Spengler

L'astro del divino si oscura;
gli dei si nascondono, ma non muoiono mai
Ignis Flos 

a cura di Antonio