Capitato casualmente in casa di una famiglia di contadini, un giovane entra in contatto con degli zombi. Il trauma lo conduce in una clinica psichiatrica. (Fonte: Ibs)
Il film che Giorgio Ferroni diresse nel 1972 è tratto dal racconto “I Wurdalak” di Aleksej Tolstoj. Non è la prima volta che il cinema italiano prende spunto da questo racconto. Lo fece già Mario Bava nell’episodio omonimo di I tre volti della paura, con Boris Karloff. Le differenze tra le due versioni saltano all’occhio e la dicono lunga sull’originalità con cui Ferroni affronta il genere. Diversamente da Bava, Ferroni dà poca importanza all’eleganza visiva del suo film, che anzi in certi momenti sembra addirittura scialbo e tirato via. Ma bisogna tener conto dell’epoca in cui è realizzato, e dell’influenza che sul genere (sia dal punto di vista stilistico che tematico) aveva avuto il capolavoro di Romero La notte dei morti viventi, tra l’altro citato apertamente da Ferroni nella scena della madre e della bambina. Anche qui si parla di morti che ritornano, d’altra parte, anche se è del tutto assente la motivazione scientifica e la lettura sociologica e politica di Romero. Prevale invece la dimensione allucinatoria e, se vogliamo, psicologica. Prevale, soprattutto, una luminosità pallida, più importante del buio e delle ombre, una luce fredda che sembra simbolizzare l’aridità e la crudeltà umana. Il protagonista, interpretato da un ottimo Gabriel Garko, giunge in una sperduta fattoria e scopre il mistero dei Wurdalak, morti che hanno paura della solitudine e che tornano per uccidere i propri cari e condurli nell’oltretomba. Ma è tutto vero o è soltanto frutto della sua follia? Il finale, raggelante, in cui l’uomo uccide la ragazza che lo ama (Agostina Belli), mantiene l’ambiguità. Come detto, ne La notte dei diavoli è evidente l’influenza romeriana ma anche quella de L’invasione degli ultracorpi ed è altrettanto evidente che il film di Ferroni ha poi a sua volta ispirato una gran quantità di pellicole del terrore, da L’ululato di Joe Dante a La casa di Sam Raimi. Gli effetti speciali, non proprio raffinati, non fanno che accentuare l’atmosfera angosciante, che raggiunge l’apice nell’insistita, pre-fulciana attenzione con cui Ferroni segue la decomposizione dei Wurdalak.
a cura di Roberto Frini