Frontiers di Xavier Gens


Parigi, un gruppo di ragazzi, dopo una rapina, ideata con lo scopo di aiutare un’amica a risolvere una gravidanza indesiderata, vengono braccati dalla polizia, in fuga si dividono, dandosi  appuntamento in un albergo isolato dove diviso il bottino raggiungeranno il confine e quindi Amsterdam, ma i loro piani  cambieranno drasticamente,perchè si imbatteranno in una famiglia molto particolare che gestisce l’albergo  e che utilizza i clienti per soddisfare le loro particolari abitudini alimentari.

Il registro che Xavier Gens,  già regista del buon action Hitman, vuol dare, fin dai titoli di testa a questo survival horror è politico, la violenza e la follia come figlie di una dissoluzione dei valori a favore di un inprinting ideologico che partorisce solo idee deformi, cosi come i figli nati dalla violenza degli uomini membri  di questa folle famiglia “alternativa” su donne, vittime inermi, allo scopo di perpetuare una razza eletta  che di “puro” ha ben poco.
La famiglia  convenzionale deformata nello specchio della pazzia forse spaventa non poco Gens che ci mostra, attraverso il suo sguardo, un amore filiale e familiare affogato nel sangue e nel cannibalismo, atto estremo di affiliazione e rito propiziatorio, carne umana come feticcio, simbolo del dominio e della sottomissione, come Hooper a suo tempo con Non aprite quella porta ci aveva mostrato.
    
L’ispirazione alla  “famiglia della motosega” è palese in ogni fotogramma, così come l’amore per le citazioni sottolinea l’intera pellicola in cui ogni spettatore dal neofita al piu’ smaliziato cinefilo potrà pescare in  pellicole di genere degli anni ’70 e ’80.
Qualcuno potrà affermare che il senso di già visto pervade tutto il film, è vero, ma la rilettura dinamica e visivamente estrema delle iterazioni famiglia/elemento estraneo vengono sviluppate con un senso visivo fresco e al contempo rodato, e con un entusiasmo visivo di raro stile, quasi da poter accomunare l’estro registico di questo ragazzo francese ai primi Raimi e Jackson, senza avere però l’autoironia e il sarcasmo di questi ultimi, ma questo non è elemento indispensabile in pellicole del genere.
Basti ricordare il sequel del cult Non aprite quella porta ed il repentino cambio di registro di Hooper che quasi cartoonizzò la famiglia cannibale, spiazzando gli spettatori, ma mostrando un gusto per l'humour nero che avrebbe in seguito fatto scuola (ne è un esempio Stuart Gordon con il  suo Re-animator).
In Frontiers  è  proprio una mancata e approfondita  caratterizzazione dei personaggi della famiglia, nonno nazista a parte, che rappresenta forse il punto più debole dell’operazione, certamente la bravura degli attori sopperisce alla bidimensionalità di alcuni personaggi, ma l’affidarsi ad una sottolineatura dei caratteri più fisica che psicologica, toglie spessore agli stessi rendendoli poco memorabili. 
  
Per gli amanti del gore e dello splatter non mancheranno scene d’antologia, e sangue ad ettolitri, nella scena finale l’impatto è veramente notevole, anche grazie all’interpretazione di un cast fatto di giovani talenti Karina Testa su tutti eroina mai sottomessa e combattiva tanto quanto il genere richiede.
La fotografia, definita dallo stesso regista “rugginosa”, riesce a trasmettere un senso forte di claustrofobia e a trasudare cromaticamente l’aspetto più viscerale e viscido delle inquietanti  ambientazioni.
In conclusione Frontiers risulta un'ottima pellicola di genere, non assurge a capolavoro, ma lascia il segno, almeno ad un livello più viscerale, ammirevole il tentativo di dare una connotazione politica al racconto, ma lasciata Parigi, e accolti nella nuova  famiglia tutto il prologo si perde nel sangue e nella violenza cupa e senza freni, così da farci sorridere anche di fronte alle follie pseudo-genetiche e alla tenuta da SS del nazi-nonno, e così politica ed ideologie distorte si trasformano in una deforme caricatura che perde di spessore data in pasto al puro intrattenimento, ma almeno un messaggio rimane chiaro e violentemente nitido, una società priva di qualsivoglia valore partorisce mostri ed incubi terribilmente reali.
  
Giudizio: discreto.
    
a cura di Pietro Ferraro
    

Nero Dentro di Giancarlo Ferraris

Il biellese – trapiantato a Perugia – Giancarlo Ferraris ci propone quindici racconti che spaziano nel panorama orrorifico classico. Si va da short stories di due pagine a testi più complessi che raggiungono quindici pagine.
Protagonista assoluta dell’antologia non è tanto la follia, come l’autore suggerisce nella sua introduzione, bensì la morte; personificata in un uomo o in una donna ovvero in un’entità che si trova in luoghi misteriosi.
Prima di scendere in dettagli, occorre spendere alcune considerazioni di stampo generale.
Giancarlo Ferraris adotta uno stile molto leggero, riuscendo a farsi leggere con piacere e senza fatica. In qua e in là, piazza varie pennellate oniriche che non guastano; anzi sortiscono l’effetto di creare quella giusta atmosfera che sarebbe lecito attendersi da un racconto fantastico. Trovo che l’autore abbia avuto il merito di esser stato capace di calare il lettore nella storia, senza bombardarlo con dialoghi inutili.
Non ci sono ripetizioni e, dal punto di vista della scelta delle parole, l’edizione si rivela molto curata. Si segnalano, tuttavia, espressioni che ritornano in vari racconti (tipo “i cieli screziati” o “fu investito…”), ma questo non può che essere un lieve difetto (se tale può definirsi) comune a molti autori (compreso il sottoscritto).
La punteggiatura non è sempre perfetta, specie in taluni elaborati, con l’effetto di inceppare i periodi (non che vi siano molti casi, però questo è uno degli aspetti su cui lo scrittore deve affinarsi). Presenza sistematica di “d” eufoniche e di qualche avverbio di troppo (in delle frasi ne ho contati addirittura tre).
Veniamo ora ai racconti pubblicati. Appare subito chiaro, fin dalle prime pagine, che Ferraris voglia omaggiare i suoi autori preferiti - sia letterari che cinematografici. Si assiste così a citazioni che coinvolgono artisti quali E.A.Poe, Guy de Maupassant, Bran Stoker, implicitamente Robert Bloch (il racconto “L’uomo che beffò la morte” mi ha fatto ritornare in mente il famoso “Quel treno per l’inferno”), ma anche registi (Dario Argento, Charlie Chaplin) e serial killer veramente esistiti (la contessa Bathory). Purtroppo, in alcuni elaborati, le citazioni finiscono con l’inondare l’intero testo; col risultato di dar vita a storie fortemente debitrici rispetto al modello di riferimento. Gli esempi più palesi, sotto questo punto di vista, sono costituiti da “Il Volto del Terrore” (riferimenti a “Dracula”), ma soprattutto “Storia di un incubo” (sorta di “remake” di “William Wilson“ di E.A.Poe). La scelta, se può far piacere a un affezionato della letteratura di fine ‘800 - primi ‘900 (come tale è il sottoscritto), rischia di stuccare coloro che sono assuefatti dalla narrativa commerciale e che giudicano un racconto con il parametro dell’originalità. Ferraris, infatti, si dimostra legato alla narrativa citata e allestisce un campionario di figure classiche. In prima linea, come già detto, abbiamo la morte - sia nelle vesti di una dama diafana, che di un traghettatore moderno, o di un commerciante ovvero di un custode di luoghi misteriosi – a cui si affiancano vampiri tradizionali (da uccidere con paletti, luce solare e crocefissi), fantasmi vendicatori, case infestate e demoni.
È evidente un certo gusto (e interesse) per l’occulto e i misteri che gravitano attorno alla vita. In altre parole, si cerca di rispondere alla domanda: cosa c’è oltre la soglia che separa la realtà dall’ignoto, ovvero la vita dalla morte?
Per individuare dei difetti, direi che i finali spesso non sono all’altezza di quanto di buono sia stato scritto in precedenza. Non perché siano scritti male, ma in quanto – salvo tre-quattro eccezioni – li ho trovati intuibili (“Mister Lee”, “L’uomo che beffò la morte”, “Sole di Tenebre”) e talvolta telefonati (“Un taxi nella notte”, “Storia di un incubo”).
Quindi per concludere, siamo alle prese con un’antologia che piacerà più agli appassionati di narrativa di fine ‘800 (se può far piacere all’autore, leggendo questi testi – anche se preferisco un taglio alla H.P. Lovecraft o alla W.H. Hodgson - mi son trovato a casa e non cederò l’antologia per nessuna ragione, respingendo le pressioni del “capo”) che a coloro che sono fans di Stephen King, Joe Lansdale e compagnia.
Veniamo ora ai singoli racconti. Ad avviso di chi scrive, i due più riusciti sono “Il Custode dei Silenzi” e “Il dodicesimo cerchio”. Nel primo, un fantasma - che aleggia in un cimitero – rivela, a un marito vedovo, i segreti inconfessabili dei cadaveri che sono stati sepolti nel camposanto. L’uomo scoprirà così una verità, che non avrebbe mai sospettato, sul conto di sua moglie.
Nel secondo, un emissario della morte spiega a un individuo il senso dei dodici dischi neri presenti su un orologio privo di numeri. Ognuno di essi rappresenta un momento fondamentale della vita di ciascun uomo, il protagonista ne ha già consumati undici…
Di rilievo un altro plotoncino di elaborati, tra i quali “Mister Lee” (incentrato su una cravatta assassina; il nome Lee è un omaggio all’attore Christopher Lee), “Una donna chiamata M” (un ragazzo si innamora della morte in persona), “Lui, il Mostro” (di spessore soprattutto per il background che Ferraris riesce a dipingere, distribuendo in pochissimi caratteri omaggi a “Profondo Rosso”, “Psyco” e altro ancora), “Ricordo di uno Spettro” (un orrore che emerge dal mare, per consumare la sua vendetta)  e “Storia di un Incubo” (versione di “William Wilson” che, forse, avrebbe beneficiato in misura esponenziale di un epilogo meno telefonato).
Meno incisivi gli altri otto racconti. Tra essi, sono forse da salvare “Sole di Tenebre” (sorta di “Amityville Horror” seppure con profonde differenze, ma con in comune l’elemento della casa infestata dagli spiriti di persone assassinate, che fanno pressione sugli umani per spingerli a commettere delitti della medesima specie), “Quello strano sorriso rosso” (interessante la prima parte, scivola nel già visto nella seconda in cui, peraltro, vi sono dialoghi in stile cinematografico) e “Il volto del terrore” (buonissimo sino alla conclusione, dove l’autore pare aver perso lo smalto proponendo un epilogo troppo frettoloso).
Non mi hanno entusiasmato gli altri cinque, alcuni dei quali – a mio modesto avviso – affetti da buchi narrativi (mi riferisco a “Un taxi nella notte” e “Plenilunio a carnevale”) o troppo banali (“L’uomo che beffò la morte”).
In conclusione, un prodotto più che sufficiente che aiuterà Ferraris a crescere. Confermato nella mia “biblioteca del brivido”.

SCHEDA LIBRO
Titolo: Nero Dentro
Autore: Giancarlo Ferraris
Codice ISBN: 978-88-7418-486-6
Formato: 12x19,5 - 96 pagine
Collana: I Ridotti di Interrete 7
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Prospettiva Editrice
Prezzo di copertina: 10,00 Euro

a cura di Matteo Mancini

Black Flag di Valerio Evangelisti

Dopo Metallo urlante, ecco il secondo episodio della saga (vi farà seguito Antracite) dedicata al palero messicano. Evangelisti struttura il romanzo dividendolo in tre parti intrecciate tra loro, su piani temporali diversi. Abbiamo il passato, ambientato nel far west; il presente, caratterizzato dal prologo e dall’epilogo con fatti che si svolgono in centro America; e un futuro (3.000 d.c.) che si alterna col passato, dipingendo una Terra distrutta e preda di violenze di ogni tipo.
Il cuore del romanzo (nonché parte preponderante) è costituito dalle vicende in cui si trova coinvolto Pantera. Tradito da chi gli aveva commissionato un assassinio, il "nostro" si troverà costretto a cooperare con coloro che avrebbe dovuto uccidere, ovvero un gruppo di sanguinari sudisti. Presto, però, il messicano stringerà un accordo con un militare affetto da licantropia, con una prostituta irlandese e con un decrepito indiano, per ribellarsi al gruppo e ritornare in città per vendicarsi.
La storia parte lentamente, ma cresce alla distanza; scendendo in un vortice di violenza che sconfina nel pulp (evirazioni, espressioni politicamente scorrette e altri tocchi grotteschi).
Notevoli le pennellate oniriche, con lupi mannari che imbracciano fucili, e spiriti dal volto animale che si stagliano nel cielo notturno.
La vera forza del romanzo, però, sta nel tessuto che si cela sotto la superficie delle cose. Evangelisti non si limita a proporre un’opera di intrattenimento, ma fa ruotare tutto sul raffreddamento dei rapporti umani (rappresentato dal metallo che invade i corpi umani: il licantropo ha il ferro nelle vene, l’eroina del futuro ha parti metalliche impiantate nella sottocute) da cui si genera una violenza che si trasforma in un orrore puro (terrificanti, da questo punto di vista, la strage degli yankees e soprattutto quella che si svolge in futuro, nei nidi della Terra). Gustosi (e tipicamente sci-fi) i riferimenti alla schizofrenia di gruppo, vista come una distorsione psichica popolare determinata da contesti ambientali in cui l’unica forma di relazione è la violenza. Non mancano frecciate alla società americana e una citazione a Blade Runner (nella parte finale, quando si parla di androidi).
In definitiva un’opera che condensa tutti i generi di intrattenimento, miscelando western a fantascienza (ci sono androidi e si parla di viaggi lunari) e horror (licantropi e demoni) al fantasy (riti magici, con corse in strade misteriose attorniate da lupi bianchi), il tutto senza dimenticare il messaggio su cui l’autore intende far ragionare il lettore più attento.
Ottime le caratterizzazioni dei personaggi, con un pugno di soggetti l’uno più interessante dell’altro.
Lo stile scorrevole rende piacevole la lettura. Non disturba l’intreccio, caratterizzato dall’unione di tre vicende svoltesi in epoche molto diverse tra loro.
Un’opera da consigliare a chi intenda andare oltre al commerciale, senza però annoiarsi con storie pesanti e poco affascinanti. Meno maturo e più votato all’intrattenimento rispetto al successivo Antracite, ma comunque un bel libro. Voto: 7.5
 
SCHEDA LIBRO
Titolo: Black Flag
Autore: Valerio Evangelisti
Codice ISBN: 9788806194376
Formato: 12x19,5 - 220 pagine
Collana: Stile libero
Anno di pubblicazione: 2002
Editore: Einaudi Stile Libero
Prezzo di copertina: 11,00 Euro

a cura di Matteo Mancini

Il divo di Paolo Sorrentino

Trama: c'è un uomo che soffre di terribili emicranie e arriva anche a contornarsi il volto con l'agopuntura pur di lenire il dolore. È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti ne Il divo.
Siamo negli Anni Ottanta e quest'uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l'ennesima presidenza del Consiglio. L'uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la mafia. Processo dal quale verrà assolto. (fonte: Mymovies).

Poco più di un anno fa Quentin Tarantino criticò il cinema italiano accusandolo di essere povero di idee, di raccontare sempre le solite storie di ragazzi in crescita, coppie in crisi e dementi in vacanza.
Il divo di Paolo Sorrentino sembra realizzato proprio per reagire alle osservazioni critiche del regista americano. Il divo è l'antitesi della decadenza del nostro cinema. Il divo è un film originale, tecnicamente e artisticamente ineccepibile, in cui tutti gli aspetti sembrano curati al meglio, dalla scelta del cast (dai protagonisti ai figuranti) alla colonna sonora e la fotografia.

  
Non una inquadratura banale, non un dialogo prolisso, non un momento evitabile, Il divo sembra il risultato di anni di lavorazione e post produzione durante i quali siano stati fatti tagli, rimontaggi e raffinamenti. Invece Il divo è solo il film di un autore onesto e intelligente, frutto di una produzione intelligente.
Il divo non è un biopic su Andreotti, ma - come è giusto che sia al cinema - il ritratto cinematografico della politica italiana di qualche anno fa attraverso il focus sul personaggio più rappresentativo.
 
La performance di Servillo (il divo di questo anno cinematografico) è talmente perfetta da far scomparire l'attore dietro la maschera. Il protagonista del film, quindi, non è l'attore e nemmeno il personaggio reale da lui interpretato ma la figura grottesca di Andreotti talmente caratterizzata da diventare una maschera della commedia dell'arte.
Andreotti - come Balanzone o Mr. Sgrooge - si muove in un contesto che di reale ha solo i riferimenti biografici e i nomi dei personaggi.
Questa virtualizzazione della realtà, come in uno scenario di second life, ricorda l'Italia degli anni '80 e '90, ma ne è soprattutto la sublimazione filmica.
Paolo Sorrentino, in definitiva, ha realizzato un ritratto di un periodo storico utilizzando i colori del cinema, le atmosfere dei gangster movies, i tempi del poliziesco e le inquadrature della commedia all'Italiana.
Paolo Sorrentino ha realizzato un capolavoro che cancella il triste passato recente del nostro cinema.
Quentin, guardalo!
 
a cura di Ferdinando Carcavallo
fonte: Kinemazone 

Anima Nera di Fabio Monteduro

La storia ci insegna che si sono consumati eventi talmente terribili da superare la fantasia di qualsiasi scrittore. Oggi crediamo di aver superato del tutto questi orrori, eppure come disse Primo Levi, "è già accaduto, potrebbe accadere ancora".
 
Il quesito di questo romanzo è interessante: cosa è il male e come si manifesta?
Tutto ha inizio in una baita fatiscente in alta montagna, dove, bloccati da una tempesta di neve durante un'escursione, cinque ragazzi cercano di sopravvivere, in attesa dei soccorsi. Sembrerebbe una comitiva aggregata per caso, ma in questa storia nulla avviene a caso. Ogni evento si sviluppa seguendo un disegno ben preciso. Protagonista del romanzo è un ragazzo come tanti, insegnante di storia alla ricerca di una cattedra vacante che, inaspettatamente, riceve un'eredità dal nonno, col quale i rapporti, un tempo sereni, si erano fatti freddi. Di qui parte un viaggio vorticoso nel passato, un percorso di ricostruzione millimetrico, un puzzle ricomposto attraverso tracce, fotografie, lettere e testimonianze.

Gli indirizzi ricollocati nel giusto scenario condurranno alla fine a una soluzione terribile, in un epilogo da brivido, dove il possibile e l'impossibile, il fantasioso e il reale, si fondono tra loro, lasciando il lettore con la consapevolezza che ciò che legge è in realtà possibile e che anzi è già avvenuto, sotto ai suoi occhi, e che lui nemmeno se ne è accorto.
Da leggere tutto d'un fiato, capace di generare inquietudine. Anima Nera è un thriller di classe, un piccolo capolavoro che merita a pieno titolo il suo posto d'onore negli scaffali di ogni libreria.
Sito dell'autore: www.fabiomonteduro.altervista.org
Sito della casa editrice: www.statale11editrice.it  
 
Titolo: Anima Nera
Codice ISBN: 978-88-89535-31-8
Prezzo: 12,00 Euro

La Bambola di Cristallo di Barbara Baraldi

Un Giallo Mondadori dalle agghiaccianti tinte orrorifiche.

Mi sono avvicinato a questo libro con la curiosità, da lettore incallito, di scoprire una nuova autrice e questa mia scelta è stata premiata: Barbara Baraldi mi ha convinto in pieno.
Ma andiamo con ordine.
Questo Giallo Mondadori (anche se ha sfumature decisamente horror, soprattutto nella seconda storia) consta di due romanzi brevi e di un racconto.
Il primo, che da anche il titolo al libro, è una storia fatta di violenza, di ossessioni, di prevaricazioni, di follia, di solitudine.
Raccontare la storia sarebbe un vero delitto.
Posso solo sbottonarmi dicendo che i personaggi sono ben delineati e dal forte impatto emotivo.
Il plot narrativo con tutti i suoi intrecci, rimandi e citazioni (soprattutto queste ultime strappano più di un sorriso di approvazione) è coinvolgente e costruito con dovizia di particolari.
L’unico disappunto che ho avuto alla fine della lettura è che la cosiddetta “Bambola di cristallo” è un po’ messa in secondo piano rispetto al resto ma credo che l’autrice abbia già in testa una prosecuzione della storia quindi... dovremo attendere.
Il secondo romanzo breve ”Il giardino dei bambini perduti” è (a mio avviso) il vero capolavoro del libro.
Bellissime e suggestive le ambientazioni nella campagna emiliana. E per chi l’ha conosciuta (io ho avuto questa "fortuna") posso dire che in Italia non esiste posto più gotico e oscuro dove ambientare un racconto.
L’autrice ha saputo costruire con mestiere quel silenzio innaturale dei boschi e dei terreni coltivati che sin dall’alba dei tempi ha creato negli uomini paure ancestrali e notti insonni.
Quindi angoscia e terrore a palate con una saggio uso delle parole e delle descrizioni.
La storia coinvolge sin dalle prime battute ed è aperta ad un finale a sorpresa (agghiacciante).
Meglio di così.
Il racconto finale è un buon Noir di azione adatto ad una lettura fluida e veloce.
La Baraldi merita attenzione.
Bando alle esterofilie e alle americanate e diamole una chance.

a cura di Eduardo Vitolo

Jenifer: istinto assassino di Dario Argento


Poliziotto in piena crisi esistenziale incontra Jenifer ragazza deforme e la salva da un folle che sta per ucciderla; tra i due nascerà una sorta di morbosa attrazione che sfocerà in un incubo surreale dai  risvolti terrificanti.
Dario Argento con questa pellicola conferma la fase splatter che sta attraversando e ultimamente contraddistingue le sue opere.
Insieme al discutibile La terza madre questa pellicola estremizza alcuni clichè tanto cari al genere horror e utilizza una visione più disturbante che inquietante, spingendo su un ritorno emotivo più di stomaco che psicologico.
Argento proviene dal thriller e Jenifer rappresenta un terreno alquanto insidioso per un regista avvezzo a tematiche psicologiche e tensive tipiche dei genere.
La scelta di utilizzare uno script ibrido, a metà strada tra fantasia e realtà, facilita il compito al regista che si inserisce in questo doppio registro fornendoci vari spunti di discussione nonostante la storia in se non brilli per originalità, innumerevoli le citazioni e adatte al timbro narrativo peculiare dei film sui freak.
Dal capolavoro di Tod Browning all’ottimo Il tunnel dell’orrore di Hooper  la deformità come stato mentale più che fisico ritorna in questo film per tramutarlo in una sorta di fiaba nera ben radicata nell’odierna società e contestualizzata in maniera più che realistica.
Jenifer, cannibale metropolitano, raccoglie in se la bellezza della mostruosità che molte volte ci affascina spingendoci oltre il limite estremo del lecito forzandoci a rivalutare i nostri canoni estetici e a nutrire una morbosità latente ma insita nell’animo umano.
E’ chiaro che questa fase creativa di Argento rispecchia comunque una trasformazione a livello visivo della società contemporanea che trasforma lo spettatore ormai assopito da una miriade di input estremi e non filtrati in un sonnolento e annoiato fruitore di violenza difficile da destare.
Come Henenlotter ci ricordava  con il suo Basketcase, storia di Bradley e del suo mostruoso e deforme fratello siamese Belial  che si rivela non solo semplice appendice ma parte consistente e traviata della psiche del giovane, che anche con un’operazione chirurgica atta a togliere la parte “malata” rimane forte e indissolubile il legame con essa. 
  
Jenifer usa la sua mostruosa e deforme sensualità per catturare le sue prede e come una bambina in cerca di protezione attira a se uomini in difficoltà affettive, con una propensione alla protezione del prossimo, non per niente la sua vittima è un poliziotto, la provenienza di questa “sirena” sui generis rimane avvolta nell’oscurità, ma non passa minuto che la domanda non si affacci nella mente dello spettatore senza, giustamente, avere una risposta.
Jenifer si appropria di un immaginario filmico ben radicato e provvisto di una propria mitologia, lo condensa, e Argento lo fa suo donandogli quella capacità visiva di sorprendere visivamente lo spettatore senza aver alcun aiuto dalla sceneggiatura piatta e senza guizzi. Certo siamo lontani dall’Argento sperimentatore e sorprendente nelle soluzioni visive, ma visto il prodotto e la quasi totale assenza di qualsivoglia censura non si può non apprezzare anche questa piccola opera che rispecchia appieno il momento artistico di un maestro del genere.
  
Il comparto tecnico è, come in molti prodotti made in USA, ottimo per un prodotto concepito soltanto per l’home video.
Gli effetti speciali sono di altissima qualità affidati a due veterani del calibro di Howard Berger e Greg Nicotero, già apprezzati in pellicole come Dal tramonto all’alba e Sin city.
Un’ultima curiosità, la colonna sonora di Jenifer è stata affidata a Claudio Simonetti ex-leader dei Goblin band che ha musicato la maggior parte dei capolavori di Dario Argento e che qui rivisita in maniera minimalista e nostalgica alcuni suoi cavalli di battaglia.
 
Masters of horror vol.1
Jenifer: istinto assassino di Dario Argento
 
Giudizio: discreto 

a cura di Pietro Ferraro

Melissa Parker e l'incendio perfetto di Danilo Arona

L’ho finito da qualche mese ma un senso di inquietudine e di angoscia serpeggia ancora sotterraneo tra le pieghe oscure dei miei pensieri.
Appena letto non ho dormito per un paio di notti.
Erano anni che un libro non mi spaventava e mi assorbiva così tanto.
Una frase mi martellava tra la veglia (tanta!) e il sonno (poco!) osservando il lume, precauzionalmente acceso accanto al letto.
“Possibile sia tutto vero?”
“E’ accaduto realmente?”
Ma partiamo dall’inizio:
Lo scrittore alessandrino Danilo Arona, noto ricercatore di fatti misteriosi e paurosi nella sua terra natia (da lui ribattezzata “Bassavilla”) si imbatte, attraverso una serie di coincidenze quantomeno strane, nella leggenda metropolitana di Melissa, un fantasma che sembra infestare di notte un tratto della autostrada che collega Milano a Bassavilla.
Scavando a fondo scopre che sono state fatte diverse denuncie ai Carabinieri e all'Anas (ed esistono testimonianze quantomeno agghiaccianti) della presenza del fantasma di una donna (a quanto si dice extracomunitaria, morta investita da un tir) che ogni notte attende un passaggio o un aiuto a lato della carreggiata .
Segni distintivi: un giubotto rosso e capelli biondi.
Da qui una serie di fatti che entrano a far parte, tra la cronaca e la fiction, di uno dei misteri più affascinanti che si siano visti di recente nella rete (terra di misteri per antonomasia).
Il libro godibilissimo e scorrevole, è strutturato in modo che sembri più un saggio che un vero e proprio romanzo. L'ho divorato in una sola serata.
Poi la paura e la decisione di accendere un lume sul comodino perchè le ombre della mia stanza sembravano fin troppo vive.
Sconsigliato agli impressionabili.
Consigliato agli amanti dell'horror.
SCHEDA LIBRO
Titolo: Melissa Parker e l'incendio perfetto
Autore: Danilo Arona
Codice ISBN: 978-88-7527-035-3
Anno di pubblicazione: settembre 2008
Editore: Dino Audino
Prezzo di copertina: 10,00 Euro

a cura di Eduardo Vitolo

Nuova Scena Rock Salernitana


Salerno Anno Zero: La Nuova Scena Rock Salernitana
Un reportage sulla "Nuova Scena Rock Salernitana". Termine coniato dal sottoscritto per una serie di articoli, interviste e live report pubblicati su vari periodici locali.
  
Era sulla bocca di tutti ma nessuno aveva il coraggio di pronunciarlo ad alta voce. Era nei discorsi di tanti ma, per paura o forse per disillusione, si tentava si sussurrarlo piano, in modo che soltanto in pochi potessero esserne testimoni. Con questa citazione dal vago sapore Fightclubiano (dal noto film del regista americano David Fincher) possiamo sbilanciarci e annunciare che il tempo dei proclami e dei fatti è finalmente giunto: a Salerno e provincia è nata una nuova scena musicale fatta di giovani e meno giovani, di coraggiosi e di folli, di idee e di progetti. Più di una volta mi erano giunte voci flebili di una sorta di rinascita della musica rock, nei suoi vari generi, nell’interland salernitano e non solo con l’organizzazione di festival, concerti e happening in vari posti nevralgici, adatti ad un certo tipo di proposta. Armato di taccuino e penna (le armi del buon giornalista) mi sono inoltrato in un sottobosco culturale fatto di centri sociali nell’estrema e degradata periferia metropolitana (vedi l’asilo politico) fino a locali fumosi e sconosciuti sotto le viscere della rumorosa Piazza Largo campo (uno su tutti il locale di musica dal vivo underground denominato Iroko ove il fine settimana si esibiscono la maggior parte delle band presenti in questo articolo). Alla fine sono entrato in contatto con un mondo ricco di colori e sfumature diverse che avevo incontrato, per ora, solo in città emancipate come Roma o Milano. Insomma c’è una scena che palpita, che vive, che si rigenera giorno dopo giorno e che muove i suoi passi sicuri con la portata di un bulldozer in mezzo ad un campo minato fatto di incertezze e ostacoli. E’ la Nuova Scena Rock Salernitana. Direi subito di iniziare a fare qualche nome in modo da stuzzicare e interessare i nostri lettori. La prima band che da subito mi ha colpito in positivo sono i 3rd, un quintetto proveniente da Salerno formatosi nel 98 dalle ceneri di una band storica degli anni 90, i Delirio. I nostri propongono un modern rock ricco di influenze diverse che vanno dal Grunge di Seattle al pesante Thrash metal sempre di scuola americana. Di recente si sono esibiti anche sul famoso canale tematico Rock Tv sulla piattaforma Sky. Sicuramente un gruppo in forte ascesa. Sul sito www.3rdweb.it troverete notizie anche sul loro ultimo cd intitolato “D-Day”. Stessa sorte benigna è toccata ai compaesani Kernel Zero, che proprio in questi mesi hanno pubblicato il nuovo lavoro “3 hours of silence before death” su un’etichetta discografica giapponese. Il quintetto si presenta soprattutto dal vivo in maniera agguerrita mischiando generi pesanti come l’HC e il Metal guadagnandosi una schiera di estimatori non solo nel sud d’Italia ma anche all’estero visto che proprio questa estate partiranno per un tour europeo con varie date. Fabio Calluori è un chitarrista di grande spessore artistico e tecnico. Il suo estro creativo viene messo a disposizione di due progetti musicali ormai di caratura internazionale come Heimdall e Nude. Gli Heimdall sono un classico gruppo Heavy Metal dalle forti tinte epiche e ossianiche. Il loro primo cd “The Temple of Theil” ha riscosso un notevole successo in paesi lontani come quello tedesco e giapponese. L’ultimo “Hard as Iron”, del 2004, ha confermato la freschezza compositiva dei nostri abbinata ad una raggiunta maturità d’intenti. Nel 2006 è da registrare invece l’abbandono dello storico cantante Giacomo Piercaldo. Straordinario l’altro progetto Dark Wave elettronico dei Nude, influenzato da band blasonate come The Cure, Mission, Bauhaus etc. con venature pop alla  Depeche Mode. La loro unica uscita del 2001 “Cities and Faces” è un piccolo gioiellino che ha come tema ispiratore proprio la città di Salerno. Per i nostri una città vuota, angosciosamente metropolitana che incute senso di alienazione e depressione fino a provocare sentimenti di ansia e disillusione. Consigliato ai lettori più attenti. Finito qui? Assolutamente no! Questa è solo la punta dell’iceberg. Ecco una lista di nomi da considerarsi incompleta: Circle of Witches, stoner rock band sullo stile Black Sabbath e i più moderni inglesi Cathedral. Naadir, un progetto che fonde il ritmo contagioso del Funk con la rabbia tellurica dell’Hc. Ancora Zat, Gruppo HC, Punk anarchico come definito dagli stessi ragazzi della band. E poi Allcool, Rifugio Zena 94, Cursed 17th, Lothlorien, Guernica, Toys Orchestra, Crawler, Malatja, La Condizione danzante, Lord’Rock tutte band attive con un cd in uscita per piccole etichette o autoproduzioni. E in provincia? Un nome su cui puntare di sicuro l’attenzione sono i da’namaste (si scrive tutto minuscolo), ensemble formato i 2/4 dal gentil sesso di provenienza Nocera Inf/Pagani. Il genere proposto è un indie rock cantato in italiano che ha come muse ispiratrici gli italianissimi Marlene Kuntz ma anche gruppi americani come Tool e Sonic Youth. Ma i da’namaste hanno uno stile tutto loro che gli ha fruttato una serie di importanti riconoscimenti in diverse manifestazioni musicali in tutta la penisola. Proprio in questi giorni dovrebbe uscire il loro nuovo cd. Cercateli sul web. Di grande interesse anche la Rock Band di Palma Campania Lord’s Rock dediti ad uno stile totalmente devoto agli anni 70 e a band storiche come Doors, Pink Floyd, Led Zeppelin. L’intervista al talentuoso batterista Salvatore, sempre in questo numero, ci aprirà le porte di una band che ha tutte le carte in regola per sfondare. E a Sarno? Una scena musicale vera e propria (di rock o quant’altro) non è mai esistito. Del resto l’assenza di locali o strutture idonee a portare avanti un progetto artistico sono sempre latitante sul territorio sarnese. Ma qualche piccolo artista individualista e coraggioso col tempo è venuto fuori anche se i risultati sono stati spesso alterni causa la scarsezza di mezzi a disposizione. Tra i più meritevoli citiamo la leggenda locale Void’daughter nati all’inizio degli anni 90 in seguito all’hype grunge della lontana Seattle .
Quindi un gruppo incondizionatamente rock, che nella indifferenza generale (tranne i più informati e curiosi come il sottoscritto) produssero un demo che li portò fino ad Arezzo Wave. Si urlò al miracolo, ma le porte della meravigliosa manifestazione Toscana si chiusero impietosamente davanti alle aspirazioni di successo dei Voids. Ma dopo tanti anni la speranza non è morta poiché la band esiste ancora con il solo Max Franco traslocato a Pisa per esigenze di vita.

a cura di Eduardo Vitolo 

La terza madre di Dario Argento

Nei pressi del cimitero di Viterbo viene dissotterrata un’antica urna incatenata ad una bara, contenente una tunica e oggetti preziosi appartenuti alla Mater Lacrimarium, la Terza Madre (dopo la Suspiriorum e la Tenebrarum). La scoperta di questa bara risveglia la malvagia strega e la violenza estrema comincia a diffondersi in tutta la città di Roma, contagiando tutti i suoi abitanti in un totale  delirio omicida. Sarah Mandy (Asia Argento), compagna e assistente di Michael Pierce (il curatore del Museo d’Arte Antica di Roma) è braccata dalla terza Madre e quindi, con l’aiuto del fantasma di sua madre Elisa (una strega bianca uccisa dalla Mater Suspiriorum a Friburgo), dello studioso di esoterismo De Witt e del commissario Marchi  dovrà affrontarla a viso aperto.
Presente al 60mo Festival di Cannes, finalmente l’ultimo capitolo della trilogia delle madri ha visto la luce, dopo una fase embrionale durata più di vent’anni. “Il più duro dei tre”, secondo il parere dello stesso Argento, che finalmente ritrova tutta la famiglia riunita all’opera.
Giunto a questo punto mi rendo conto che non ho nulla di positivo da dire, ma proprio nulla. Con Suspiria (e ancor più con Inferno) ho assistito ad una inesorabile discesa di qualità del frutto del “genio” di Dario Argento, ma  nulla riesce a raggiungere il grado di bassezza di quest’ultima fatica, tanto attesa e celebrata. Non c’è nulla che vada, neanche un frame, niente che possa farmi pensare che quello a cui ho assistito sia un film degno di essere preso in considerazione.
Una trama masticata e sputata ormai all’inverosimile che perde di ogni sostanza di fronte all’evidente stanchezza che la permea assieme a tutta la sua imbarazzante mediocrità. Una sceneggiatura talmente povera e ridicola che sembra essere stata partorita dagli studenti di un corso di cinema delle scuole medie (Sarah figlia di strega, proprio come Harry Potter…). Personaggi ai limiti delle macchiette, che godono del loro essere banali stereotipi (la scettica che non crede alla stregoneria ma che è figlia di una strega, l’esorcista, quello che ci crede “perché non c’è solo quello che vediamo”, il figlioletto che vuole la cioccolata a letto e che viene inesorabilmente rapito…). Situazioni ai limiti della comicità spiccia, come le apparizioni della strega bianca, madre di Sarah, che vedono una Daria Nicolodi fare da guida alla figlia (“sottilissimo” gioco di metateatro) esibendosi in esilaranti emanazioni di luce propria alla Obi-Wan Kenobi. La sabba di streghe sempre più simil- bordello e con due o tre comparse a riempire gli spazi bui. “Topoi Argentei” che ormai hanno del ridicolo (la ricerca di dati nelle biblioteche in cui c’è tutto, ma proprio tutto, con tanto di voce narrante “stupendamente” esibita dalla bella Asia; la leggenda trita e ritrita delle tre madri; e poi “L’insuperabile” inserto a fumetti che fa da supporto visivo, talmente banale, superfluo ed esplicito che sembra preso dai polizieschi della Settimana Enigmistica). E poi le immancabili scene splatter (sempre gratuite e brutali) senza le quali non ci sarebbe neanche un piccolo motivo per continuare la visione del film (dato che quello è un “marchio stilistico” del buon Dario). Non riesco a passar sopra neanche alla fotografia, limpida, lucida, solare, come neanche la migliore delle fiction nostrane ha saputo esaltare: ecco che allora la famosa scena della madre che uccide il suo bambino gettandolo dal Ponte Milvio è, graficamente, “quasi bella” come le pubblicità della Barilla di vent’anni fa...
E poi la continua, persistente, fastidiosa e totale assenza di suspance, uccisa ogni minuto dal trionfo dell’esplicito, dell’illustrato e del detto, con le situazioni che devono per forza essere spiegate in ogni minimo dettaglio da voci narranti che sortiscono un effetto quasi urticante nella loro imbarazzante mediocrità. Durante la visione si ha proprio voglia di chiamare uno dei preti esorcisti/supereroi di cui il film è farcito per far uscire da Dario il fantasma malefico che l’ha rimbambito a tal punto.
Preferisco non accanirmi sulle musiche (banali, ovvie, scontate, ammazza-atmosfera, di contorno…) perché altrimenti più che una recensione questa inizia a sembrare un tiro al bersaglio…
Rimango deluso e, fatemelo dire, incazzato, persino guardando il finale, quando Sarah e il commissario Marchi riemergono dalle profondità della terra vincitori sul male, con la tetra, stupida e totalmente superflua risata della Argento che fa il verso ai finali “memorabili” di certi pretenziosi b-movie americani con velleità da Oscar (vedi Speed, Jan De Bont,  1994). 
      
Giudizio: molto scarso.
    

Gotem e il diabolico viaggio di Nicola Lancia


Un viaggio esemplare, che porterà il protagonista ad una evoluzione spirituale sorprendente. Un viaggio davvero particolare, perché protagonista di questo cammino dantesco che passa in rassegna i principali gironi infernali è proprio il principe del male, Gotem, il figlio di Lucifero, già leggenda prima ancora di nascere perché destinato a liberare il suo popolo e a dannare per sempre la specie umana.
Ma se di Dante in questo libro se ne trovano infiniti rimandi e suggestioni, non si tratta di una ripresa pedissequa degli schemi della commedia. Gli inferi descritti da Nicola Lancia appaiono del tutto originali e pensati per l'educazione del principe del male, accompagnato dai due grandi diabolici Satanna e mefisto.
E' nel percorso del piccolo Gotem che filtra l'eterna lotta tra bene e male, da questo secondo punto di vista c'è spazio per la rabbia e l'odio, ma anche per la tristezza e la gioia, la nostalgia e la pietà e in questo mondo la ferocia è anche degli arcangeli.
Insomma i sentimenti sono gli stessi, e forse il bene e il male sono concetti molto più relativi di quanto non si creda. Forse un grande principe è colui che sa padroneggiarli tutti, superandoli alla scoperta di un destino superiore, rispettando in questo il ruolo che Dio ha voluto assegnargli, nel bene o nel male.

L'autore.Nicola Lancia è nato a Roma il 5 settembre del 1974, Studente in scienze infermieristiche, attualmente vive ad Avezzano (AQ), dove lavora come operatore socio-sanitario presso l'unità operativa di Pronto Soccorso dell'ospedale. Gotem e il diabolico viaggio e la sua prima pubblicazione. 

Io sono una donna fedele di Alberto Carbone

Esiste davvero l’amore eterno? E se il principe azzurro si rivelasse essere in realtà rosa, o addirittura fucsia? Come ci si sente dopo il fatidico “sì”? Un po’ thriller, un po’ rosa e molto comico...
E’ sconsigliata la lettura: prima, durante e dopo il matrimonio.

La storia brillante e ironica di una donna sposata che vive il conflitto interiore tra monogamia e opportunità extraconiugali in un intreccio fatto di colpi di scena, gag e situazioni umoristiche.

Ambientato in un contesto geografico che oscilla tra il centro storico di Genova e la dinamica Barcellona, Io sono una donna fedele è una lettura divertente che al tempo stesso offre interessanti spunti di riflessione.
Una mattina, il marito di Sara Pedretti ha un incidente che mette in serio pericolo le sue capacità copulatorie. Questo evento catapulterà la donna in una realtà a lei estranea, costringendola a districarsi tra omosessuali non convinti, fotoreporter vendicativi, avvocati rampanti e donne gelose. Il tutto condito dai consigli di uno psicoterapeuta amante degli scacchi.
 
Per maggiori informazioni, riferimenti e recensioni: www.narrativa.info
 
SCHEDA LIBRO
Titolo: Io sono una donna fedele
Autore: Alberto Carbone
Codice ISBN: 88-95071-04-02
Formato: 13X21 - 172 pagine
Collana: Tamburi
Anno di pubblicazione: 2007
Editore: Alcyone
Prezzo di copertina: 12,00 Euro 

Il Destinatario di Paolo Virone


E’ una sera come tante altre: la giovane Laura pulisce la cucina, Steven litiga con il suo amico per l’utilizzo dello stereo e fuori non si sente volare una mosca. Ad un certo punto però si sente suonare il campanello della porta d’ingresso: un uomo misterioso ha lasciato sullo zerbino una busta e Laura la apre prontamente per vedere cosa contiene. E’ un DVD, anonimo, senza copertina: la ragazza lo inserisce prontamente nel lettore e parte un filmato allucinante e psichedelico. La giovane viene investita dalla sua potenza e rimane come ipnotizzata. Una volta finito il tremendo spettacolo, si alza in piedi e afferra un coltello...

Il regista Paolo Virone dirige un film tratto da un suo racconto, con la sceneggiatura di Alessio Biagioni. Un lavoro ben strutturato, con un montaggio intelligente e puntuale e una storia che, sebbene non sia un esempio di originalità estrema, ha un ritmo accattivante e piacevole ed esprime sensazioni forti specialmente nella sequenza del simil-esorcismo della protagonista femminile di fronte al video.

Solo alcune note negative:
- la scadente recitazione degli interpreti maschili (Alessia Lombardo è invece talentuosa); l’eccesso di monologhi interiori che rendono banali le situazioni eliminando così la suspance; 
- l’interminabile scena iniziale, con una serie infinita di campi/controcampi e reaction shock a supporto di un dialogo assolutamente superfluo e marginale.
 
Giudizio: Sufficiente.  

a cura di Giorgio Mazzola

Percezione dei mondi sottili


Spesso chi ha la capacità di percepire la presenza di altri livelli vibrazionali non si accorge seduta stante della sua particolarità. La maggior parte delle volte, queste percezioni nascono e si sviluppano con le altre, fin dalla nascita dell’individuo sensibile. Il tutto seguendo leggi naturali, semplicemente. La presenza di queste facoltà viene accentuata nell’età adolescenziale, ma rimane una costante nell’intera vita del suddetto. In questi casi non si hanno alcun tipo di disturbi psichici o comportamentali, vivendo l’integrazione con le diverse realtà come unico esempio di vita vissuta, nella normalità che questo comporta. Lo scontro con la realtà differente di altri individui è forte nella tarda infanzia e nel primo stadio dell’adolescenza. Viene risolta non parlandone, più questo avviene, più i contatti assumono sfumature tenui ed il tutto viene spostato di un piano nella scala emotiva. Questo da la possibilità di mantenere un equilibrio stabile e la socializzazione con altri individui. La mente ha la capacità di dare maggiore o minore importanza ad un fatto a seconda del contesto e della convenienza, ma il nostro inconscio continua la registrazione dei fatti vissuti nella nostra memoria storica, instancabilmente. Per spiegare questo concetto basti pensare ai sottofondi musicali. La sinfonia c’è, se si vuole fare caso ad essa abbiamo la possibilità di apprenderla e riprodurla. Se la nostra attenzione è spostata su altro, non viene nemmeno recepita al momento, ma ci si ritrova a fischiettarla giorni dopo senza ricordarsi in che occasione è stata ascoltata. In entrambi i casi il volume e la sinfonia erano i medesimi. Saper gestire i propri livelli di coscienza è fondamentale per un corretto sviluppo animico, senza forzature. Il naturale equilibrio, fa in modo che più sensi si sviluppino all’unanime, dando vita a personalità ipersensibili, appunto. Persone dotate di grande fermezza, pronte a lottare per i propri ideali, che soffrono terribilmente per le ingiustizie vissute anche non necessariamente in prima persona. Essi conoscono la grande gioia così come la disperazione, ma la maggior parte delle volte le incredibili energie che si muovono con loro non vengono alla luce nella loro interezza, e difficilmente chi gli sta attorno comprende ciò che realmente stanno provando. Un intero universo può svilupparsi in un piccolo corpo. Esempi di persone sensibili si trovano tra i grandi maestri, apparentemente sempre quieti, in alcuni eroi e in alcuni martiri, così come nelle persone all’apparenza più banali. Diversi modi di vivere le stesse emozioni, ma cosa importante, sempre modi corretti. Non esiste un prontuario della sensibilità, e bisogna diffidare da chi spaccia l’abc della crescita animica come fosse una regola matematica. Non esistono regole fisse, ma l’intuito ed il nostro cuore sanno ogni volta ciò che è giusto, ascoltano la nostra anima e la servono amorevolmente. Non esistono situazioni contrarie, sarebbero innaturali. Gli individui sensibili sanno che la vita è la vera maestra, ed essa non chiede nulla. Poniamo l’esempio di mettere nella stessa stanza tre persone ed un’anima non incarnata. Una delle persone non è “sensibile” e non prova alcuna emozione. Le altre due hanno sviluppato delle particolari doti per cui sentono la presenza, ma in modo diverso. Una di loro ha freddo, la pelle d’oca e vede un nastro di luce rossa discendere fino a scomparire sotto il pavimento. L’altra si sente toccare e subito dopo vede una sagoma di luce giallo/verde che lo scruta immobile dall’angolo della parete. Subito si penserebbe a dei ciarlatani. Ma non è così. Nessuno ancora può con certezza spiegare perché questo avvenga. Si possono solo fare delle supposizioni. In base ad alcune personali esperienze ho formulato un’ipotesi basata sui mezzi di comunicazione. Innanzitutto dividiamo in tre grandi gruppi i metodi di comunicazione:
 
- comunicazione materiale;
- comunicazione emotiva;
- comunicazione animica.
 
Il nostro fisico ha sviluppato degli apparati specifici perché la comunicazione immediata avvenga. Per comunicazione immediata intendo ad esempio la parola o la scrittura. Con simboli e vibrazioni diamo una determinata informazione che verrà recepita esattamente come noi abbiamo voluto. Per poter emettere determinate vibrazioni sonore ci affidiamo alle corde vocali e per interpretarle ci affidiamo all’apparato uditivo ed al nostro cervello. La scrittura e la simbologia vengono prodotte usando gli arti ed interpretate dal cervello grazie alla vista.Questi modi di comunicare possono rientrare in un primo grande gruppo, possiamo posizionarlo in basso e chiamarlo “comunicazione materiale”, propria del corpo fisico. Ci permette di comunicare con altri esseri simili a noi. Nel mezzo si trovano i gesti, le espressioni ma anche l’arte. Una comunicazione leggermente più astratta, più interpretabile che è basata sulle emozioni. Per poterla comprendere bisogna aver sviluppato un certo grado di sensibilità, più la nostra capacità di recepire gli sguardi, gli stati d’animo delle persone e degli ambienti circostanti è forte, più il nostro grado di coscienza è centrato. Con essa, non solo si comprendono meglio le persone e ciò che realmente intendono, anche quando usano parole sbagliate, ma si può comunicare ad esempio con gli animali, con i neonati e con le piante. Perché questa comunicazione avvenga bisogna che ai sensi del tatto, dell’udito e della vista si aggiunga anche il corretto utilizzo del corpo emotivo. Uno stesso gesto cambia di significato e di intensità a seconda di quello che il comunicante sta provando e dal grado di sensibilità del ricevente. Questo grande gruppo posizionato nel centro della nostra piramide può essere chiamato “comunicazione emotiva”, propria del corpo emotivo. Nel vertice c’è una comunicazione che si potrebbe definire concettuale, telepatica. Non necessitano parole o gesti. Dentro noi sboccia l’intenzione e il concetto della comunicazione del comunicante, senza necessità di interagire con i propri corpi. Si possono prendere d’esempio le nostre comunicazioni interne. Se vediamo una penna sul tavolo, dentro di noi non abbiamo bisogno di formulare le parole che spieghino cos’è, a cosa serve, come si usa, che sensazione proviamo toccandola, se ci piace oppure no. La nostra memoria comunica tutte queste informazioni alla nostra mente che le comunica al corpo emotivo, e noi abbiamo la conoscenza dell’utilità e della funzionalità dell’oggetto, e possiamo formulare delle proprie impressioni. Tutto questo senza nemmeno una parola ed in modo immediato. Se questa comunicazione viene trasportata su un piano più elevato ecco nascere una comunicazione nuova, concettuale. È una “comunicazione animica” perché è quella che due anime usano per comunicare, non avendo altri mezzi a disposizione. La mente ci aiuta a decifrare ciò che l’anima ha recepito, attraverso suoni, immagini e sensazioni da noi prodotte seguendo determinati stimoli, perché purtroppo non siamo ancora in grado di usare al meglio questo tipo di comunicazione. Riportato alle persone, potrebbe essere la spiegazione del fatto di conoscere profondamente qualcuno che prima non si era mai incontrato o addirittura la magia dell’innamoramento. Questa è il tipo di comunicazione usata dai due sensitivi nell’esempio sopra esposto, ed in questo modo è spiegato il loro diverso metodo di interpretazione. L’anima di entrambi ha captato il messaggio “ciao sono qui, non ho nulla di importante da dirti volevo solo che tu ti accorgessi di me”. Effettivamente entrambi hanno ben interpretato gli impulsi dell’anima, ma usando simboli diversi. 
  
Con questa suddivisione si può notare che più ci dirigiamo al vertice della nostra piramide delle comunicazioni, più la vibrazione usata è leggera e più la capacità di interpretare è difficile. La difficoltà è dovuta ai nostri preconcetti, al materialismo imposto dalla società ed al nostro legame alle basse vibrazioni, proprie dell’uomo moderno. I vari simboli usati dalla nostra mente per farci captare il messaggio sono quelli che ha registrato la nostra memoria storica, questo supporta il fatto che la visione è differente per ogni individuo sensibile. Per chiarire meglio questo concetto prendiamo ora d’esempio la figura a sinistra:
i soggetti adulti vedranno due corpi e nient’altro, 
i bambini di 9 anni delfini e nient’altro, 
a seconda delle immagini registrate nella nostra memoria. 
Eppure l’immagine che stiamo guardando è la medesima.



a cura di Barbara

Speciale Goblin

Nel periodo d’oro degli anni 70/80, quando l’horror e il thriller veniva sostenuto con dignitose e coraggiose produzioni filmiche, compositori italiani come Ennio Morricone, Pino Donaggio, Riz Ortolani  e Fabio Frizzi realizzavano colonne sonore destinate a lasciare il segno. Tra loro circolavano anche gruppi musicali che si sarebbero poi accostati al mondo del cinema attraverso la loro musica.
In Italia, una delle band che meglio ha saputo avvicinare il suo stile musicale con l’ambiente cinematografico è sicuramente quella composta da: Claudio Simonetti, Fabio Pignatelli, Massimo Morante e Agostino Marangolo ovvero i mitici Goblin.
Specializzati in colonne sonore di film perlopiù horror/thriller, i Goblin da quello storico 1975 (Profondo Rosso) in poi grazie alla loro sorprendente maestria e alla fiducia del regista romano Dario Argento realizzarono memorabili colonne sonore che vennero poi ristampate in tutti i paesi del globo.
I Goblin dunque, hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi, un pezzo di storia italiana nel mondo del cinema horror e non: a loro va quindi l’omaggio di questo doveroso speciale.
 
  
LA STORIA DEI GOBLIN
In quegli anni Claudio Simonetti (tastiere, figlio del celebre maestro Enrico), Walter Martino (batteria) e Massimo Giorgi (basso e voce) sono i componenti principali della band Il Ritratto di Dorian Gray. Il trio romano inizialmente è anche affiancato da Luciano Regoli (cantante), Fernando Fera e Roberto Gardin alle chitarre. Il gruppo, nella capitale, ottiene quasi subito una certa popolarità (la formazione è tra le prime a suonare rock sinfonico in Italia), la loro tecnica è assai efficace, ricca di sperimentazioni sonore, e i brani composti sono delle vere e proprie “suitese” di parecchi minuti. Nonostante la loro validità però, il gruppo non riesce a incidere nulla e, dopo alcuni concerti e l’esibizione al Festival di Caracalla (1971), la band si scioglie.
 
1973: OLIVER
Claudio Simonetti, Massimo Morante e Giancarlo Sorbello, partono per Londra dove riescono a fissare un appuntamento con il famoso fonico produttore Eddie Odford per fargli ascoltare alcuni loro pezzi. Odford, impressionato positivamente dai loro demo, decide di produrre l’album non appena terminata la tourneè americana con gli Yes.
Nel frattempo Claudio e Massimo ingaggiano il cantante inglese Clive Haynes, conosciuto nella metropolitana di Londra e, quando rientrano a Roma, includono nel gruppo il bassista Fabio Pignatelli e il batterista Carlo Bordini: gli Oliver sono così definitivamente formati.
La band, dopo alcuni mesi di prove, riparte per Londra in attesa di registrare il fatidico album ma Odford prolunga la tournee degli Yes e così gli Oliver rimangono da soli a Londra facendo alcuni concerti e registrando delle sessions.
Il tempo passa inesorabilmente e il successo sperato per gli Oliver non arriva. Così il gruppo, profondamente deluso, ritorna in Italia lasciando però il cantante Clive in Inghilterra.
 
1973/74: CHERRY FIVE
In quel periodo gli Oliver riescono a far ascoltare i loro brani alla Cinevox (la casa discografica specializzata in colonne sonore) e per buona sorte ottengono così un contratto.
Il cantante Clive Haynes viene sostituito da Tony Tartarini e il nome della band viene cambiato in Cherry Five che riesce finalmente a incidere il primo album (Cherry Five, album omonimo prodotto nel 1974 dalla Cinevox in vinile e dalla Vinyl magic in cd nel 1993, cantato in inglese).
 
1974: GOBLIN
Nei primi anni con la Cinevox Record i Cherry Five hanno dei cambiamenti di formazione. Tony Tartarini e Carlo Bordini escono di scena mentre il nome Goblin viene adottato per questioni commerciali dato che era già uscito il primo album dei Cherry Five e si volle fare una distinzione per non disorientare il pubblico. Nel 1974 la prima formazione dei Goblin è così composta: Claudio Simonetti (tastiere), Walter Martino (batteria), Fabio Pignatelli (basso) e Massimo Morante (chitarra).
 
1975: GOBILN E DARIO ARGENTO
In quegli anni il regista romano Dario Argento sta lavorando al suo nuovo film Profondo Rosso e per la colonna sonora è in cerca di una partitura rock. Il regista incontra i Goblin presso gli uffici della Cinevox e, nell’arco di una sola notte, nasce il tema principale del film che porterà i Goblin al successo mondiale. La colonna sonora di Profondo Rosso, infatti, grazie anche ai memorabili pezzi di Giorgio Gaslini (famoso jazzista e compositore orchestrale) e alla potenzialità della pellicola, ottiene un grandissimo successo vendendo nel mondo più di un milione di copie e viene ristampata praticamente in tutti i paesi del globo.
 
1976/77: ROLLER E SUSPIRIA
Maurizio Guarini (tastiere) e Agostino Marangolo (batteria) entrano nei Goblin nel 1976. Walter Martino, in procinto di entrare nei Libra viene così sostituito da Agostino e il gruppo, con questa nuova formazione, incide Roller, l’album più progressive e secondo molti il capolavoro della band. I bellissimi brani Roller, Snip Snap, Goblin e Dr. Frankenstein vengono utilizzati per il film di George Romero Martin - Wampyr.
Nello stesso anno i Goblin compongono un altro album progressive ovvero la colonna sonora di Perché si uccidono ma per quell’occasione il gruppo si fa chiamare Reale Impero Britannico.
La perfetta sintonia tra i Goblin e il regista Dario Argento nel 1977 ottiene nuovamente brillanti risultati e così in quell’anno esce Suspiria, l’album più sperimentale della band.
Sempre nel ’77 esce anche La via della droga, splendida colonna sonora (poco conosciuta) ristampata dalla Cinevox nel 1999.
 
1978: IL BAGAROZZO MARK
La defezione di Guarini è ormai prossima e il gruppo incide il primo album cantato (in italiano) Il fantastico viaggio del bagarozzo Mark dove Morante, oltre a esordire come voce, è anche autore dei testi. L’album, pur non essendo legato a nessun film (come del resto anche Roller) verrà comunque utilizzato in parte (giusto un paio di brani - La danza e Notte) per le pellicole Wampyr (George Romero) e L’altro inferno (Bruno Mattei).
Nonostante l’album sia una pietra miliare nella discografia dei Goblin (ormai praticamente introvabile) questo lavoro rimane il loro più grande fallimento commerciale che li porterà inevitabilmente allo scioglimento.
 
1978/80: DA ZOMBI A CONTAMINATION
È il periodo più intenso per il gruppo: dopo il flop con Il fantastico viaggio del bagarozzo Mark la band si riprende tornando a comporre musica per film. Vengono così prodotte le colonne sonore per Zombi, Amo non amo, Patrick, Squadra Antimafia, Squadra Antigangsters e Contamination. Tra tutte spicca sicuramente Zombi (capolavoro ineguagliabile!) dove i Goblin dimostrano di passare da un genere musicale ad un altro con grande spigliatezza: dal rock elettrico con effetti elettronici di Zombi all'hard rock di Zaratozom, dal charleston di Torte in faccia a brani con venature jazzate come Zombi (supermarket).
Da Amo non amo in poi il chitarrista è Carlo Pennisi, al posto di Morante che tenta la carriera solista realizzando l’album Abbasso.
Il 1978 segna dunque lo scioglimento dei Goblin anche se il gruppo non ha mai avuto una vera e propria rottura. Verso la fine del ’78, infatti, ognuno dei componenti si occupa di altre attività musicali oltre a quella dei Goblin. Il rock comincia a cedere il passo alla dance e molti altri gruppi come il loro si dividono. Dopo la morte del padre, Claudio sente la necessità di avere altri sbocchi, avvicinandosi alla disco music mentre Massimo vuole continuare la carriera di cantante. Marangolo, Pignatelli e Guarini non hanno più nulla da dire e così le loro strade si separarono. Il marchio “Goblin” non viene reclamato da nessuno e se ne appropria Pignatelli in virtù di una clausola legale presente nel vecchio contratto. I Goblin, dunque, non si sono mai ufficialmente sciolti.
 
1982: TENEBRE
È il primo album dopo lo scioglimento (non ufficiale) del gruppo dove Agostino Marangolo viene sostituito dalle batterie elettroniche di Simonetti. Tenebre segna dunque la presa di potere della musica elettronica e, infatti, con questo album si ha una vera e propria svolta del loro sound.
Grandiose e memorabili le tracks Tenebre, Gemini, Flashing e Lesbo che confermano l’assoluta sintonia tra i musicisti e il regista romano Dario Argento: la musica è trascinante e zeppa di particolari sonorità. Il brano Tenebre è stato realizzato con una batteria elettronica mentre per le parole “Paura, paura…” Claudio si è servito di un “Vocoder”.
 
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1984: PHENOMENA
Nonostante Simonetti continui a intraprendere la carriera solista e Pignatelli insista ad usare il marchio Goblin (ottenuto in virtù di una clausola legale presente nel vecchio contratto), i due musicisti collaborano insieme nella realizzazione della colonna sonora di Phenomena, il nuovo film di Dario Argento.
L’eccezionale brano Phenomena, arricchito dalla voce del soprano italo-americano Pina Magri è composto da Simonetti mentre il ritmato Sleepwalking, il delicato Jennifer’s friends e l’elettronico The wind vengono scritti da Claudio in collaborazione con Fabio Pignatelli.
Malgrado il lodevole sforzo compiuto dai due compositori, Argento purtroppo non lascia sufficiente spazio alla loro musica (infarcendo la pellicola con pezzi di Motorhead, Iron Maiden, Bill Wyman & Terry Taylor, Simon Boswell) e così il dolcissimo brano Jennifer di Pignatelli viene usato in pochissime scene e, incredibile ma vero, il grandioso Jennifer’s Friends, non viene neanche utilizzato nel film!!
Come per Tenebre anche in questo nuovo lavoro i musicisti si servono di sintetizzatori e computers che rivelano chiaramente il loro salto concreto nella musica elettronica.
 
1985: DÈMONI
Lamberto Bava insieme al regista/produttore Dario Argento sono alle prese con la realizzazione di Dèmoni, pellicola altamente splatter, di grande successo, che segna in Italia l’avvento dei demoni: creature infere particolarmente mostruose e violente, partorite dalla mente visionaria di Argento e realizzate dall’effettista Sergio Stivaletti.
Per le musiche viene chiamato Claudio Simonetti che realizza egregiamente gran parte dei brani presenti nella pellicola.
Capolavoro sorprendente, ricco di sonorità, e decisamente originale è Demon, primo brano che apre un album infarcito di brani perlopiù heavy metal (Motley Crue, Scorpions, Saxon, Accept) estremamente efficaci e di qualità. La presenza musicale di Simonetti nel film è fermamente essenziale: brani come Killing, ritmato e graffiante quanto basta, Threat, cupo e spettrale, Out of time, trascinante e malinconico, The evil one, tetro e fasciante, affermano senza ombra di dubbio l’eccezionale maestria di questo straordinario musicista.
 
1988: OPERA
Claudio Simonetti viene nuovamente incaricato per comporre le musiche di Opera, nuova fatica del regista romano Dario Argento.
Come per Phenomena e Demoni Argento utilizza anche brani di altri autori quali Bill Wyman & Terry Taylor, Roger Eno e Brian Eno lasciando fuori alcuni pezzi che Simonetti ha egregiamente composto.
Dolcissimo e poetico Opera, brano d’apertura dell’album che rievoca in parte lo stile di Phenomena e altrettanto eccellenti i pezzi Crows, Confusion e Cosmo.
 
1989: LA CHIESA
E’ il periodo in cui Argento e Michele Soavi stanno lavorando a un nuovo film. Il progetto è La chiesa, pellicola diretta dal giovane Michele Soavi e prodotta da Dario Argento dove per le musiche vengono incaricati principalmente Fabio Pignatelli e Keith Emerson.
Le nuove sonorità di Pignatelli sono pressoché essenziali per la pellicola, ricche di atmosfera trascinante, e inverosimilmente lugubri nella loro stupenda enfasi. La chiesa, secondo brando dell’album, è un capolavoro mistico innovativo che ha il potere di evocare i meravigliosi affreschi alchimistici che il film, tra l’altro, riproduce sapientemente. Altri brani di rilievo sono Possessione, inquietante, surreale, straordinariamente demoniaco e Lotte, miracoloso, profondo, evocativo.
Con La chiesa, Pignatelli mette in netta evidenza  il suo eccezionale talento musicale dimostrandosi ancora una volta un compositore di estrema classe.
 
2000: NONHOSONNO
E’ l’anno che segna il ritorno dei Goblin al completo, dopo ben 22 anni di tormentata attesa. L’occasione, naturalmente, arriva con il nuovo film di Dario Argento Nonhosonno.
Con l’originale formazione (Agostino Marangolo: batteria, Massimo Morante: chitarra, Fabio Pignatelli: basso e Claudio Simonetti: tastiere), i Goblin tentano, nonostante l’avvento delle nuove tecnologie, di mantenere il loro “sound” e contemporaneamente creare sonorità diverse. E ci riescono alla grande senza perdere minimamente il loro pregevole smalto.
Un ritorno memorabile che segna composizioni magistrali quali Non Ho Sonno, brano d’apertura dell’album, capolavoro assoluto di estrema forza trascinante e suprema originalità, Killer On The Train, vigoroso e ricco di stupende sonorità, Endless Love, divinamente passionale e intenso, Arpeggio-End Title, sperimentale e coinvolgente, Ulisse, malinconico e struggente, Death Farm, potente e superlativo.
Dario Argento lascia nuovamente spazio alle musiche e ancora una volta, la perfetta sintonia tra il gruppo e il regista da i suoi stupendi risultati.
 
2005/2006: BACK TO THE GOBLIN 2005
Dopo gli ennesimi contrasti tra i membri della band, Claudio Simonetti lascia nuovamente il gruppo.

Back To The Goblin 2005 è l’album che segna la prima produzione indipendente dei Goblin che li ritroviamo in questa occasione così (ri)composti: FabioPignatelli (Bass/Keyboards), Massimo Morante (Guitars), MaurizioGuarini (Keyboards) e Agostino Marangolo (Drums).
Un progetto completamente indipendente e coraggioso con una distribuzione autonoma (senza la Cinevox quindi) principalmente on-line: il cd infatti è possibile acquistarlo soltanto dal sito ufficiale www.goblinhome.com.
L’album è uno splendido esempio di tecnica e qualità, in bilico tra rock/progressive purissimo e pop: otto tracce strumentali, intarsiati di buio e splendore, eseguite con lo stesso talento e spessore che li contraddistingue da sempre: un potente muro di suono propulso dagli arditi castelli ritmici di Marangolo e Pignatelli, speziato dai riff turbinanti e dagli assoli ruggenti sfoderati dalla chitarra di Morante, e pittato dalle tastiere magniloquenti di Guarini.

Back To The Goblin 2005 probabilmente rimane il miglior album rock/progressive uscito in Italia da tempo immemore.
 
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DISCOGRAFIA ESSENZIALE
  • PROFONDO ROSSO (1975) Goblin e Giorgio Gaslini
  • ROLLER (1976)
  • SUSPIRIA (1977)
  • IL FANTASTICO VIAGGIO DEL "BAGAROZZO" MARK (1978)
  • ZOMBI (1978) / DAWN OF THE DEAD (1979)
  • AMO NON AMO (1979)
  • SQUADRA ANTIGANGSTERS (1979)
  • PATRICK (1979)
  • GREATEST HITS (1979)
  • CONTAMINATION (1980)
  • GOBLIN (French compilation) (1982)
  • VOLO (1982)
  • TENEBRE (1982) Simonetti-Pignatelli-Morante
  • NOTTURNO (1983)
  • PHENOMENA (1984) / CREEPERS (1985)
  • DÈMONI (1985)
  • ZOMBI / TENEBRE
  • GREATEST HITS (CD) (1987) 15-track version
  • OPERA (1988)
  • LA CHIESA (1989)
  • THE GOBLIN COLLECTION 1975-1989 (1995)
  • SOLAMENTE NERO (1996)
  • PROFONDO ROSSO - The Complete Edition (1996)
  • TENEBRE - The Complete Original Motion Picture Soundtrack (1997)
  • PHENOMENA - The Complete Original Motion Picture Soundtrack (1997)
  • BUIO OMEGA - The Complete Original Motion Picture Soundtrack (1997)
  • SUSPIRIA - The Complete Original Motion Picture Soundtrack (1997)
  • ECCITANTE! GOBLIN (1997)
  • ZOMBI - The Complete Original Motion Picture Soundtrack (1998)
  • SOUNDTRACKS VOLUME II (1998)
  • SOUNDTRACKS VOLUME III (1998)
  • ITALIAN HORROR SHOWCASE (1998)
  • THE ORIGINAL REMIXES COLLECTION VOLUME 1 (1998)
  • LA VIA DELLA DROGA (1999)
  • NOTTURNO - The Original Motion Picture Soundtrack (1999)
  • SQUADRA ANTIGANGSTERS - Original Motion Picture Soundtrack (1999)
  • NONHOSONNO (2000)
  • BACK TO THE GOBLIN 2005 (2005-2006)
BIOGRAFIE
 
Claudio Simonetti
Compositore, arrangiatore, tastierista e produttore discografico, Claudio Simonetti nasce a San Paolo (Brasile) il 19 Febbraio 1952 sotto il segno dell'Acquario e studia composizione e pianoforte al conservatorio di Santa Cecilia in Roma.
1972: con una grande predilezione verso il "rock", Claudio inizia asuonare con il gruppo IL RITRATTO DI DORIAN GRAY con il quale partecipa al festival pop di Caracalla a Roma.
1974: forma il gruppo Oliver con il quale si trasferisce a Londra per una serie di concerti.
1975: al ritorno in Italia il gruppo cambia nome in GOBLIN e Simonetti entra ufficialmente nel mondo discografico componendo ed incidendo la colonna sonora, ormai leggendaria, del film "PROFONDO ROSSO" di Darioargento che vende oltre 3 milioni di copie.
1976: incide il secondo album dei GOBLIN: "ROLLER".
1977: compone le musiche di "SUSPIRIA" di Argento con i GOBLIN.
1978: con i GOBLIN realizza "ZOMBI" (DAWN OF THE DEAD) diretta da George Romero, record di incassi in USA e con l'album "IL FANTASTICOVIAGGIO DEL BAGAROZZO MARK" il gruppo si scioglie definitivamente. Così, Simonetti inizia la sua attività discografica come solista e produttore. Sempre nel 1978 compone le musiche per il gruppo EASY GOING che con il brano "BABY I LOVE YOU", tratto dal loro primo album prodotto con Giancarlo Meo, apre con successo la strada della DANCE ITALIANA all'estero.
1979: sempre con la "Dance" Simonetti raggiunge i vertici delle classifiche americane con il brano "GIVE ME A BREAK" e il primo album di VIVIEN VEE.
1980: compone il fortunatissimo brano "GIOCA JOUER" di CLAUDIO CECCHETTO sigla del Festival di Sanremo del 1980 che produce con Giancarlo Meo.
1981: Claudio entra nel mercato francese con i brani "WALKMAN" e "KASSO" (Disco d'Oro 1981) ed è sceso primo album come solista che contiene tutti brani presenti nella trasmissione di Gianno Boncompagni "SOTTO LE STELLE" e che si intitola semplicemente: "CLAUDIO SIMONETTI".
1982: Simonetti, con Morante e Pignatelli, due ex componenti dei GOBLIN compone la colonna sonora del film "TENEBRE" di Dario Argento.
1984: la sua carriera di musicista ha uno dei momenti più prestigiosi quando, a Gennaio, viene chiamato per comporre le musiche e dirigere una grande orchestra formata da 50 giovani musicisti nella trasmissione "BUON COMPLEANNO TV", presentata da Pippo Baudo, dove la Rai festeggiai suoi trent'anni di attività con la partecipazione dei più grandi nomi dello spettacolo. Da questo programma il disco "I LOVE THE PIANO" e "JAMAICAN STYLE" che escono anche in USA con la Salsoul Records. Nello stesso anno continua la collaborazione con Argento con "PHENOMENA" e con il regista Ruggero Deodato con il film "INFERNO IN DIRETTA".
1985: compone le musiche per il film prodotto da Argento "DEMONI" diretto da Lamberto Bava e sempre con Ruggero Deodato compone le musiche per il film "CAMPING DEL TERRORE".
1986/87: Simonetti partecipa al programma "PRONTO, E' LA RAI?" come musicista e animatore con Giancarlo Magalli e Simona Marchini.
1988: compone le musiche per il film "OPERA" di Dario Argento.
1989: partecipa al programma con Giancarlo Magalli "DOMANI SPOSI" in onda tutti i giorni su Rai Uno.
1991: dopo vari concerti dal vivo, Simonetti, col suo gruppo realizza un album dal titolo: "SIMONETTI HORROR PROJECT" contenente le nuove versioni dei brani di film di Argento tra i quali: "PROFONDO ROSSO" - "SUSPIRIA" - TENEBRE e "PHENOMENA". L'album, dopo aver venduto 100.000 copie a soli due mesi dalla sua uscita, raggiunge i primi posti delle classifiche italiane ed esce anche in Usa e in Europa. Inoltre "SIMONETTI HORROR PROJECT" è anche disponibile in un HOME VIDEO della durata di 67 minuti che contiene tutti i 10 brani dell'album girati in un teatro dove Simonetti e il suo gruppo si esibiscono con vari effetti e immagini tratte dai film horror.
1992: esce l'album "HORROR PROJECT II-DAYS OF CONFUSION" con nuovi brani horror.
1995: esce l'album dal titolo: "X-TERROR FILES" dove Simonetti ripropone una nuova raccolta di successi "Horror & Thriller" del cinema e della televisione. L'album contiene, oltre ai successi dei film di Argento, anche brani quali: "X-FILES" - "HALLOWEEN" - "BLADE RUNNER" - "1997: FUGA DA NE YORK" - "GAMMA", tutti riarrangiati con una veste completamente nuova. "X-TERROR FILES" raggiunge le 350.000 copie vendute nei primi tre mesi di uscita entrando nei primi posti delle classifiche dei dischi più venduti.
1997: ispirato al rock progressive degli anni settanta esce il CD "CLASSICS IN ROCK" contenente 14 brani scelti tra i più belli dellamusica classica e completamente riarrangiati. "PER ELISA" - "CHIARO DILUNA" - "TOCCATA E FUGA" - "BOLERO" - "AREA SULLA 4a CORDA" - "IL VOLODEL CALABRONE" sono alcuni fra i titoli dei brani dell'album. Nello stesso anno compone le musiche per i film Usa "THE VERSACE MURDER" del regista e produttore Menahem Golan ed esce con il CD "THE END OF MILLENIUM", un "Greatest Hits" con l'aggiunta di sei brani nuovi.
1998: esce in Italia il CD di "THE VERSACE MURDER" contenente 26 brani tratti dal film.
1999: in veste di tastierista e produttore Simonetti forma il gruppo dei DAEMONIA con Nicola Di Staso: chitarra, Federico Amorosi: basso, Titta Tani: batteria, con il quale registra il CD "DARIO ARGENTO TRIBUTE".
2000: esce il CD "DARIO ARGENTO TRIBUTE" distribuito dalla S4/Sony. Il CD contiene gli ultimissimi arrangiamenti in chiave rock, con l'aggiunta di una grande orchestra sinfonica, dei brani più significativi tratti dalle colonne sonore di Dario Argento. Con i DAEMONIA Simonetti registra un album live con una grande orchestra e a novembre suona al CULT-CON 2000 a New York in un concerto organizzato dai fans americani.
2001: Claudio dopo aver partecipato a vari festivals internazionali del cinema del Fantastico, come giurato (Barcellona, Bruxelles, Roma, Seul, Skopje), incontra a Barcellona Dario Argento il quale gli propone di ricostituire il leggendario gruppo dei GOBLIN per il suo nuovo film: "NON HO SONNO". Con la band al completo: Massimo Morante alla chitarra, Fabio Pignatelli al basso, Agostino Marangolo alla batteria e Claudio Simonetti alle tastiere, i GOBLIN compongono e suonano la colonna sonora del film mantenendo inalterate le vecchie sonorità abbinate alle nuove tecnologie.

Sito ufficiale: www.claudiosimonetti.com
 
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Agostino Marangolo
Agostino Marangolo è nato a Catania il 25/6/1953, sotto il segno del cancro. Ha cominciato ad appassionarsi alla batteria all’età di 11 anni. Il fratello Antonio suona il pianoforte, il sax tenore e soprano, mentre il padre è anch’egli batterista a tempo perso. Dopo aver suonato in alcuni gruppetti di amici e parenti, Ago e il fratello riescono a far capire al padre di avere intenzioni serie con la musica. L’ambiente certo non è dei migliori.


Capelli lunghi+metropoli=droga+violenza. Quando il padre capisce che la Sicilia non è l’ambiente ideale perchè una rock band possa emergere, riesce a metterli in contatto con un produttore della RCA nel ‘69, che dà loro l’opportunità di formare il gruppo Flea on the honey (Antonio, Agostino e il cugino Carlo Pennisi, produttore di Paola Turci e Fabio Pignatelli), incidendo l’album omonimo nel ‘70 e Topi o uomini del ‘73. Nel ‘75, dopo aver inciso l’album omonimo con gli Etna, in un locale romano frequentato assiduamente dai “nostri”, Ago conosce Walter Martino, Claudio Simonetti e Massimo Morante. Egli si unisce al gruppo durante la registrazione di Profondo Rosso, in sostituzione di Martino. È accolto con molto entusiasmo, diviene subito amico di Pignatelli, anch’egli appassionato di jazz-rock; gli altri Goblin sono invece orientati verso il rock progressivo dei Genesis e degli Yes. Agostino suona e inserisce qualche idea nel brano Death dies. Dopo aver inciso pietre miliari, una dietro l’altra, nel campo delle colonne sonore (Suspiria, Zombi), i Goblin fanno un grosso fiasco con l’album Il fantastico viaggio del bagarozzo Mark. Si comincia a litigare sulla direzione da prendere, Marangolo e Pignatelli vogliono continuare a comporre musica da film, mentre Simonetti ha preferito andarsene per conto suo. A questo punto Ago, suo fratello, Pennisi e Guarini incidono Patrick, Buio Omega e Contamination. Il fratello Tony, poi incide Notturno e St. Helene, ma ormai i Goblin non ci sono più. Ago si unisce nel 1980 ai Perigeo, gruppo jazz rock, assieme a Pennisi (chitarra), al leader Giovanni Tommaso, e Danilo Rea (piano); partecipa all’incisione della colonna sonora di L’aldilà di Lucio Fulci per Fabio Frizzi e va in tournée con Alberto Fortis. Successivamente intraprende una soddisfacente carriera di session man.
 
Maurizio Guarini
Maurizio Guarini nasce a Roma il 25/1/1955, sotto il segno dell’acquario. Comincia a strimpellare la chitarra a dieci-undici anni, quindi si unisce ad altri suoi coetanei suonando musica rock negli spettacoli organizzati dalla scuola e infine, passato alle tastiere e al piano elettrico, si è addentrato poco alla volta nell’ambiente jazz. Quando nel 1975 incontra i Goblin ci sono dei diverbi tra Simonetti, Martino e il resto dei componenti e, siccome Profondo rosso riscuote un certo successo, cercano con urgenza dei musicisti che possano rimpiazzare i defezionari per portare avanti la tournée di due mesi dal Nord al Sud dell'Italia. Musicalmente Guarini è influenzato dal rock romantico dei Genesis, e dal rock canterburyano dei Gentle Giant, mentre non ama il cosiddetto rock “duro”. Tutti sanno che ha partecipato alle registrazioni di Roller, ma non tutti sanno che ha partecipato anche a quelle di Suspiria, ma il suo nome non compare, perché dopo aver inciso i brani Guarini ha dei diverbi con l’editore Carlo Bixio riguardo al compenso che gli spetta e per un attimo pensa seriamente di lasciare i Goblin. Collabora in Patrick e Contamination più come amico che come professionista: per questo non compare nei titoli. Dopo la collaborazione con i Goblin “argentiani” incide Volo sulla base di alcuni testi scritti da sua moglie, conosciuta proprio in quest’occasione. Tutti i brani, eccetto Est (che poi ritroveremo in versione leggermente differente in Notturno) sono cantati da Mauro Lusini. Per quel disco si ricostituiscono i Goblin schierati con, oltre Lusini: Fabio Pignatelli al basso, Marco Rinalduzzi alla chitarra, Guarini alle tastiere e Derek Wilson alla batteria. Il brano che dà il titolo all’album, dopo aver fallito la partecipazione al Festival di Sanremo, sarà utilizzato per quattro mesi come sigla finale della trasmissione DiscoRing. Dopo una serie di tournées con i più famosi cantautori italiani, Guarini è chiamato da Pino Donaggio per programmare il suo sequencer nella colonna sonora di Sotto il vestito niente. È l’inizio di un sodalizio artistico che dura tuttora. Come musicista cinematografico ha preso parte anche alle colonne sonore di Shock (1977 dei Libra), Zombi 2 (1979 di Fabio Frizzi) e L’Aldilà (1981 ancora di Frizzi).

 
Massimo Morante
Massimo Morante è nato a Roma il 6/10/1952, sotto il segno della bilancia. Inizia a studiare la chitarra elettrica a quattordici anni. È appassionato di rock-blues, nonché fan del grande Jimi Hendrix. A diciotto anni conosce, tramite amici in comune, Claudio Simonetti e Walter Martino. Nei Goblin ha suonato una chitarra acustica Martin e le chitarre elettriche Fender Stratocoaster, Gibson Les Paul e Custom. È il bello del gruppo. Nell’album Il fantastico viaggio del bagarozzo Mark ha esordito sia come cantante che come autore delle liriche. La sua presenza in Zombi è determinante: tutto il disco, infatti, si basa sulla chitarra elettrica e su quell’acustica. Chitarrista dei Goblin fino al 1978 (ultima collaborazione Zombi e, indirettamente, Wampyr), ha lasciato il gruppo (tornandovi solo nel ‘82 in occasione di Tenebre) per intraprendere una carriera solista durata lo spazio di tre soli album: Abbasso (Cinevox 1979), Corpo a corpo (Zerolandia 1982), ed Esclusivo (Zerolandia 1984). Successivamente ha lavorato come session man per i migliori artisti italiani.

 
Fabio Pignatelli
Fabio Pignatelli è nato a Roma il 30/10/1953 sotto il segno dello scorpione. A undici anni ebbe il primo approccio con la musica suonando la chitarra, ma durò pochi mesi. Poi, a tredici anni, cambiò scuola e iniziò a frequentare un ragazzo che suonava molto bene la chitarra. Erano gli anni ‘66/‘67 e le canzoni che si suonavano erano quelle dei Beatles e dei Rolling Stones e di tutti gli altri gruppi inglesi che in quel periodo andavano per la maggiore, più di altri complessi italiani, (Equipe ‘84, I Corvi ecc.). Alla fine del ‘67 Pignatelli passò alle scuole superiori, e, sempre suonando la chitarra, nelle cantine, ebbe modo di entrare in contatto con i primi gruppi. Si suonavano brani dei Procol Harum e Spencer Davis Group. Verso la metà del ‘68 il bassista del gruppo se ne andò e fu sostituito da Fabio, per il quale, il basso elettrico divenne il suo strumento, pur non abbandonando la chitarra. Alla fine del ‘68 si passò dal beat al pop. Si ascoltavano e si emulavano gli Iron Butterfly, Jimi Hendrix, Cream, ecc. Alla fine del ‘69 Pignatelli fu chiamato nel gruppo Le Rivelazioni (che aveva già inciso un disco!!!) per sostituire il bassista e, da quel momento, Fabio iniziò a lavorare professionalmente con la musica. Il bassista modello era in quel periodo Jack Bruce dei Cream e con il suo gruppo partecipò ai festival di Caracalla, Villa Pamphili, Villa Borghese ecc. suonando le cover dei Cream, Black Sabbath, Uriah Heep e Led Zeppelin, cominciando però a comporre e ad arrangiare brani propri. Nel ‘72 entrò a far parte dei siciliani Flea on the Honey. Con loro fece alcune tournée e concerti finché nel ‘74 entrò a far parte dei Cherry Five. Fu la sua prima esperienza con le tastiere e i gruppi cui si faceva riferimento erano quelli prog-rock (Yes, King Krimson, Genesis) e i bassisti erano Chris Squire, John Wetton ecc. Nel ‘75 si unì ai Goblin dopo la registrazione dell’album Cherry Five. Ora è specializzato in chitarra, basso, arrangiamenti, composizione e programmazione di tastiere e computers. La sua discografia con i Goblin è identica a quella di Simonetti fino a Martin (Wampyr) (versione per il mercato italiano del 1979) di George A. Romero, dopodiché ha registrato per suo conto sulla scia del genere “gobliniano” una serie di brani inediti ai quali si sente molto legato e, sempre con il marchio Goblin, ha composto le colonne sonore di Patrick (1979), Amo non amo (1979), Contamination (1980), St. Helene (1981), Notturno (1981), Tenebre (1982) assieme a Morante e a Simonetti, Phenomena (1984) e La chiesa. Alla sua attività di compositore di colonne sonore alterna una serie di partecipazioni alle tournée dei maggiori cantautori italiani.

 
Walter Martino
Walter Martino è nato a Milano il 18/4/1953, sotto il segno dell’ariete. Si avvicina prestissimo alla musica studiando pianoforte classico, ma, ben presto, si dedica anche alla batteria, lo strumento che più lo emoziona. A diciassette anni conosce Simonetti. In questo periodo Martino suona in un gruppo di rockettari scatenati i quali tentano di emulare le musiche di Jimi Hendrix, dei Cream e di altri gruppi inglesi. Claudio gli propone di suonare insieme e così formano il Ritratto di Dorian Gray un gruppo che cerca di anticipare un discorso musicale tipo rock barocco, portato avanti poi dai Goblin. All’epoca vanno di moda nomi altisonanti per i complessi (allora si chiamavano così) musicali come Il Banco del Mutuo Soccorso, La Premiata Forneria Marconi. Questi giovani musicisti, per non essere da meno pensano di chiamare il loro gruppo con questo nome. Il gruppo si scioglie quando Simonetti parte per il servizio militare, allora Martino continua a suonare con altri gruppi come Raccomandata con Ricevuta di Ritorno e Reale Accademia di Musica. Poi entra a far parte dei Goblin, con i quali compone ed esegue la colonna sonora di Profondo rosso (1975). Durante la fase di missaggio di Profondo rosso è contattato dai Libra, gruppo composto dal chitarrista Nicola di Staso (Daemonia), dal tastierista Sandro Centofanti, dal cantante Federico d’Andrea e dal bassista Dino Kappa. Egli accetta senza pensarci due volte anche perché si sente più portato per il funky-rock-jazz (oggi chiamato “fusion”) che per la “Goblin music”, come la definisce Simonetti. Dopo aver inciso due LP e aver partecipato ad una lunga tournée in America come “spalla” a nomi internazionali come Frank Zappa, nel ‘76 i Libra tornano in Italia, e nel ‘77 vivono un’esperienza analoga a quella dei Goblin, incidendo la colonna sonora del film Shock (Transfert-Suspence-Hypnos) dove per quell’occasione viene chiamato il regista Mario Bava in persona, disco che in Italia non riscuote un grande successo; al contrario, all’estero, le cose vanno diversamente, e ancora oggi il batterista riceve dal Giappone i diritti SIAE di quel disco. Abbandonati i Libra, Martino incide album solisti, diventando nel contempo uno dei batteristi più richiesti dai migliori artisti italiani (Baglioni, Mina, ecc.). Partecipa anche alla composizione delle musiche di Amo non amo (Goblin, 1979), Tenebre (Simonetti, Morante e Pignatelli, 1982) e Phenomena (Simonetti e Pignatelli, 1984). Dopo aver inciso alcuni album con i Program Two (World to Stone, 1985) e a nome suo (Nervi a pezzi, 1988), nel ‘90 forma i Percussion System, proponendo brani di sua composizione.

 
 
Speciale realizzato in collaborazione con Demetrio Cutrupi.