Incontro con Glauco di Sabatino


Emozioni in Jazz
Glauco di Sabatino racconta la passione per la batteria e l’amore per un genere musicale che torna in auge.
La musica trasmette messaggi più o meno complessi, diverse emozioni. Da sempre ha accompagnato sentimenti, ideali e speranze di intere generazioni. In ogni suono non si cerca solo un momento di svago, ma un modo di essere e in tal senso generi musicali diversi hanno inciso con le loro caratteristiche in molti aspetti della cultura del nostro tempo. Oggi dire Jazz vuol dire evidenziare un reale intreccio di combinazioni di diverse civiltà, dalle quali si sono sviluppate nuove forme di espressività musicali destinate a cambiare la storia della musica. Il Jazz è una musica dalle caratteristiche originali, ha raccolto sempre molti consensi anche su territorio di provincia, ce lo confermano con una esibizione live i tre cultori della musica di grande talento e di grande forza comunicativa che compongono il “Mark Trio” che di recente ha accompagnato le serate in noti club abruzzesi. Il trio suona insieme da due anni e ha saputo fondere sonorità pop con la musica jazz attraverso uno stile assolutamente personale. È composto da Glauco Di Sabatino (batteria), Cristiano Vetuschi (chitarra) e Anchise Vetuschi (basso).
Ed è proprio il batterista del Mark Trio, Glauco Di Sabatino, il nostro speciale interlocutore. Figlio d’arte (papà Vincenzo è un pianista e suo fratello Paolo è pianista internazionale e docente alla cattedra “Jazz” al Conservatorio di Perugia), anche Glauco ha studiato pianoforte per poi “convertirsi” alle percussioni.
  
Come nasce la tua passione per la batteria?
La passione per la batteria arriva per gioco. Inizio da autodidatta. Dopo la gavetta con alcuni gruppi locali in giro per l’Abruzzo, arriva la mia prima esperienza importante di tutto rispetto con Goran Kuzminac, cantautore e chitarrista italiano, di origine serba, famoso per aver sviluppato un’ affascinante tecnica con la chitarra di finger-picking.
  
In che modo hai conosciuto Goran Kuzminac?
Lo conosco per caso tramite un impresario comune, Nino Di Berardino. Goran, cercava una band e dal nostro incontro è nata l’idea di collaborazione (che dura tutt’ora); ho registrato con lui il suo ultimo disco, prossimamente avremo una collaborazione in studio.
  
 
       
Insegni? Che tipo di didattica segui?Sono docente di batteria in tre scuole: una marchigiana, il “TAM” di Fermo, all’ “Accademia dello Spettacolo” di Alba Adriatica e in una scuola aperta quest’anno che si chiama “Musica Hdemia”, di Roseto degli Abruzzi. I miei insegnamenti partono dagli studi di base che riguardano la conoscenza delle note classiche fino all’impostazione corretta dello strumento. Provengo dal genere rock, ma ho conosciuto altri mondi e generi musicali grazie anche alla collaborazione con mio fratello Paolo Di Sabatino, il quale, ha avuto molto successo dopo aver collaborato con Antonella Ruggiero che lo ha portato a Sanremo.
  
Chi sono i batteristi a cui ti ispiri?Coloro che mi hanno ispirato sono; Steward Copeland (batterista dei Police) e Jeff Porcaro, (batterista statunitense dei Toto). Per quanto riguarda gli insegnamenti di vita, Christian Meyer, (batterista del gruppo Elio e le Storie Tese). Con Meyer sono cresciuto vedendolo lavorare e attingendo alla sua professionalità e alla sua dedizione a questo lavoro.
  
 
  
Hai suonato con artisti famosi a livello internazionale: quali, tra questi, ti ha lasciato il segno?Senza dubbio Antonella Ruggiero (voce indimenticabile dei Matia Bazar). Dal punto di vista professionale la Ruggiero è stata una conoscenza gratificante. La ritengo un’artista con la “A” maiuscola e di grande caratura. Attualmente sostituisco un suo musicista e la seguo nei suoi concerti. Suonare per Antonella Ruggiero è l’esperienza più intensa che abbia mai fatto.
  
Progetti futuri?In febbraio sono iniziate le prove a Piacenza per una tournée estiva con shining stars che è un tributo nazionale agli Heart Wind and Fire. Insieme con mio fratello Paolo sto registrando un disco di musiche di Gardel con la partecipazione di Michele Placido, Caterina Vertova e Paola Turci. In marzo inizierà la nostra tournée. Suoneremo nei migliori Jazz Club italiani con i “Sinthesis Trio” di Paolo Di Sabatino.
Sito ufficiale di Glauco di Sabatino: www.glaucodisabatino.it

a cura di Carina Spurio

Scomparso Mitch Mitchell


E' morto Mitch Mitchell, batterista di Jimi Hendrix, veva appena concluso un tour americano in ricordo del più grande chitarrista della storia del rock

Mitch Mitchell, l'ex batterista inglese di Jimi Hendrix, è stato trovato morto mercoledì sera nella sua stanza d'albergo a Portland, nello Stato dell'Oregon (Usa). Aveva 62 anni. Il musicista aveva appena concluso un tour americano nato come tributo al Jimi Hendrix Experience, il gruppo di cui Mitchell aveva fatto parte negli anni Sessanta insieme con il bassista inglese Noel Redding (morto nel 2003). Le cause del decesso restano per ora sconosciute, ha precisato Bob Merlis, agente del tour «Experience Hendrix», nato come progetto di 18 concerti in altrettante città statunitensi per celebrare il grande chitarrista americano morto nel 1970.
Sul sito ufficiale di Jimi Hendrix, dove si afferma che le cause del decesso sono naturali, è apparso un messaggio di cordoglio di Janie Hendrix, sorella del leggendario chitarrista e manager del tour «Experience Hendrix». «Siamo tutti costernati, distrutti dalla notizia della morte del carissimo Mitch. Era un uomo meraviglioso, un musicista geniale e un vero amico, il cui ricordo porteremo per sempre nel nostro cuore».
 

Non è un paese per vecchi di Ethan Coen e Joel Coen

Il cacciatore di antilocapre Llewelyn Moss è impegnato in una delle sue battute giornaliere quando, a un certo punto, in una zona desertica, si accorge della presenza di alcuni camioncini. Avvicinatosi si rende conto di essere di fronte a quel che rimane di una sparatoria avvenuta per uno scambio di droga fallito. L’unico superstite della strage riesce a comunicargli dove si trova l’uomo che è scappato coi soldi. Moss segue le sue tracce e lo trova, morto poco lontano da lì, con in mano una valigia contenente del denaro. La cifra è considerevole (almeno 2 milioni di dollari) e il cacciatore non ci pensa due volte a prenderla con sé. Non sa che però, da quel momento in poi, attirerà su di sé la furia di vari delinquenti a caccia del denaro da lui ritrovato. Uno su tutti, lo psicopatico Anton Chigur, uno spietato killer che decide della sorte delle sue vittime con il lancio di una monetina. Una vicenda complessa che l’ormai stanco e quasi pensionato sceriffo Ed Tom Bell dovràdi cercare di risolvere.

Tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi è il premio Oscar 2008 come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista (Javier Bardem). E’ inoltre vincitore di due Golden Globe 2008 (miglior attore non protagonista – sempre Bardem – e miglior sceneggiatura non originale).
Regia dei fratelli Cohen che, con il loro stile inconfondibile, ritornano al dramma poliziesco già trattato con successo 12 anni prima con il meravigliosoFargo, la cui violenza, però, risulta molto più ammorbidita rispetto alla nuova pellicola. Certo i parallelismi con il film ambientato nelle nevi sono molteplici: i luoghi deserti; inetti alle prese con situazioni molto più grandi di loro; investigatori particolari e ridicoli a causa di caratteristiche fisiche spiccatamente anomale (Ed Tom Bell è troppo vecchio e stanco; Marge Gunderson, il capo della polizia in Fargo è incinta ed è molto goffa a causa del pancione); violenza così esplicita ed eccessiva tanto da perdere completamente  il senso del tragico. 
Già, perché i Cohen sono così: eccessivi al punto tale da diventare surreali anche nelle situazioni di maggior aderenza alle dinamiche realistiche: un esempio su tutti, il killer Anton Chigur, silenzioso, terrificante, cinico, astuto e senza pietà, ma con un comportamento talmente fuori dal mondo e dalle movenze talmente ridicole che lo fanno sembrare un moderno Charlot assetato di sangue che non uccide le sue vittime con una normale arma da fuoco, ma con una bombola d’ossigeno che spara aria compressa in grado di penetrare i crani delle persone come se usasse pallottole. La violenza, la suspence e la paura sembrano essere la regola, eppure sono innumerevoli le situazioni in cui lo spettatore non sa se deve ridere per gli eccessi rappresentati o se deve sconvolgersi per l’assenza di una logica che possa in qualche modo salvare l’astruso caos che caratterizza tutta la vicenda. Ci si sente braccati da un senso di inadeguatezza perenne (i protagonisti nei confronti della vicenda, con tutti i loro flashback che li separano dal mondo reale; la violenza che si manifesta in maniera brutale, ma che nel contempo ci sconvolge a causa della sua disarmante banalità…).
La banalità del male, appunto, per dirla alla Hannah Arendt, è qui rappresentata in tutta la sua sconvolgente realtà ed è talmente intrisa di violenza che sembra quasi essere la parodia di se stessa, grazie anche al contorno di sangue raggrumato e a fiotti, analizzato così da vicino come neanche il peggiore dei voyeur avrebbe saputo fare. Un film dei Cohen, insomma, né più né meno, con tutti suoi interrogativi e con tutte le sue sorprese che lo rende, sì, quasi inaccessibile ai più, ma che è in grado di comunicare pienamente al pubblico sentimenti autentici che riemergono come per magia da un’atavica memoria.
Giudizio: ottimo.
  

Scomparso Richard Wright


È morto Richard Wright, uno dei padri dei Pink Floyd. Era malato da tempo di cancro.

E' morto a 65 anni Richard Wright, uno dei fondatori - insieme a Roger Waters, Syd Barrett e Nick Mason - della storica band dei Pink Floyd. Il decesso del tastierista, che aveva un cancro, è stato annunciato dalla famiglia.
Wright aveva incontrato Waters, Mason e Barrett (che uscì dal gruppo dopo circa due anni) dove insieme fondarono prima un altro gruppo che si chiamava Sigma 6, diventato poi successivamente Pink Floyd.
Wright è l'autore di alcune canzoni come The Great Gig In The Sky, Us And Them e On the Run nel disco del 1973 The Dark Side Of The Moon, che sono entrate nella storia del rock. Lasciò la band agli inizi degli anni '80 per dedicarsi all'attività di solista, per poi rientrare nel gruppo per partecipare al nuovo cd A Momentary Lapse of Reason, all'indomani della dolorosa separazione, nel 1985, tra Roger Waters e il resto del gruppo, capitanato da David Gilmour, il virtuoso chitarrista subentrato nel 1968 a Syd Barrett. Wright ha dato anche un contributo importante alla nascita dell'ultimo grande album dei Pink Floyd, The Division Bell.
 

Non prendere impegni stasera


Non prendere impegni stasera sembra un chiaro  invito a tenersi una serata libera e andare al cinema ed in effetti, io che ho ascoltato il richiamo, ne sono uscita soddisfatta; anche se, ovviamente, il titolo ha ben altro significato…
Gianluca Maria Tavarelli apre il suo quinto lungometraggio con una malinconica quanto bellissima sequenza sul groviglio di strade, di fili del tram e di binari ferroviari della città (Roma) che fa da connettivo tra i personaggi di cui racconta la storia; i nomi degli attori (è un cast molto “conosciuto”) scorrono tra i coriandoli luminosi della notte, tra le macchine che sfrecciano sull’asfalto, tra la gente in attesa del mezzo che li riporterà a casa, accompagnati dalla canzone di De Andrè. Mentre la musica si spegne, un campo lungo mostra un ponte su cui c’è un uomo, vestito di nero, che si butta giù nell’acqua ma lo vediamo da lontano e quindi  non si capisce chi è; una scritta in basso riporta la data (il 23 dicembre) e dice: IO CHE NON CE LA FACCIO PIU’ . Ma chi è l’”io” in questione? Perchè non ce la fa più? Ovvio che a non farcela più sia l’uomo che sta cercando il suicidio; ma un pochino anche io- spettatrice che lo sto guardando e magari sono io che non ce la faccio più. Tavarelli  specifica uno stato d’animo visivo: l’uomo che si è buttato nelle acque, tanto bene non deve stare; poi aggiunge la sovrascritta che conferma quanto l’immagine in campo lungo ci mostra, ma allo stesso tempo ce la  avvicina con quell’”IO” messo ad inizio frase: è l’”io “ che ora interessa, perché è lasciato troppo in sospeso, e quindi ora si vogliono avere delle risposte su chi, cosa e come di questa situazione.
Dopo questa scritta, il film inizia il lungo flash back che ripercorre le cause scatenanti di questo stato d’animo, come in una seduta psicoanalitica quando si deve ritornare alle origini della propria malattia, e si torna indietro a tre mesi prima (altra scritta: settembre) per cominciare a parlare e trovare un soggetto. La storia non ci offre solo una motivazione al malessere, ma molti di più, perché Tavarelli -che è anche lo sceneggiatore-  costruisce una storia plurale, parla di cinque diversi personaggi che si trovano ad affrontare tradimento, psicosi e paure, malattie fisiche e mentali manovrando le fila delle storie come in un film a episodi, ma che qui si succedono ritmicamente senza cartelli intermedi. C’è Alessandro (Andrea Renzi) che soffre di claustrofobia, ha una paura folle di salire sull’ascensore del suo ufficio e piuttosto di andare da uno psicologo ricorre alla chiromanzia. Giorgio (Alessandro Gassman) non riesce a superare la rottura con la sua ex fidanzata, Alessia (Francesca Inaudi), e scarica tutta la sua rabbia su chiunque gli capiti davanti, dal camionista alla cliente in fila alla cassa. C’è Andrea (Luca Zingaretti) che tradisce la moglie con Veronica, una commessa ventisettenne (Micaela Ramazzotti) ma non riesce a decidere in quale delle due relazioni restare; e Nanni (Valerio Rinasco), che si perde nell’amore per una donna già fidanzata, Paola (Donatella Finocchiaro). Alle malattie mentali subentrano quelle fisiche e Pietro (Giorgio Tirabassi) deve lottare contro un tumore, ripensare tutta la sua vita e abbandonare quella nomea da viveur che aveva, come l’amica Cinzia (Paola Cortellesi) gli ricorda.
  
Sono persone al bivio, provate e scosse nell’intimo, che si trovano tanto sole a dover affrontare le loro difficoltà quanto vicine sono nello sforzo di vincere la loro battaglia e scorgere una qualsiasi lucina che indichi la strada: sono tanti “IO” che hanno dei motivi abbastanza validi agli occhi di chiunque per dire che questa vita è uno schifo. Poiché però, ricordando Kundera,  non ci sono date due o tre vite per poter confrontare le diverse scelte, i personaggi devono fare i conti con questo dato di fatto e scegliere se vincere il loro male oppure lasciarsi travolgere e sopraffare. La narrazione plurale si districa bene tra i differenti casi e riesce a lasciare spazio ad ognuno. Il soggetto lo si è trovato ed è tutto  maschile: Tavarelli ha parlato del malessere interiore attraverso protagonisti maschili, sviscerando quello che loro hanno dentro. Ed è un bene così: il regista-sceneggiatore non ha peccato di onniscienza e non si è sentito così presuntuoso da parlare anche di altri psichi, cosa che avrebbe forzato la buona tenuta della vicenda, appesantendola inutilmente. All’inizio però eravamo stati avvertiti: è un uomo che si butta nel fiume e quindi sono occhi maschili che vivranno tale stato di malessere.
La storia ci dà quindi tante buone ragioni per arrivare a dire “Io che non e la faccio più”, senza mai scadere nella banalità del dolore ma anzi raggiungendo una certa tragicità che altri film appena usciti lasciano nel cassetto (e mi riferisco a Il bacio che aspettavo).  E quando il calendario ritorna al 23 dicembre, si avrà una sorpresa nel scoprire chi è l’uomo di nero vestito che cerca la morte nel fiume e che, appunto a sorpresa, non è nessuno dei personaggi che abbiamo incontrato, ma un passante, uno dei tanti che camminano per le strade di Roma e che anche lui, sebbene noi non ne sappiamo nulla, avrà avuto le sue ragioni per arrivare a pensare di non potercela più fare.
  
Alla domanda iniziale si ha una risposta e  l’”IO” ottiene un volto, ma è un volto nuovo, uno di quelli incontrati per caso sulla strada e contro il quale ci si è finiti addosso come per caso e di cui non si sa nulla. Non è però un semplice deus- ex- machina quello usato da Tavarelli perché oltre a costruire la tensione attorno alla domanda su quell’io iniziale e quindi ad essere origine e inizio della trama, lo sconosciuto che si butta nel Tevere è anche il mezzo visivo per considerare la condizione umana del dolore, tanto più personale e vissuta individualmente, quanto più è esperienza condivisa e di tutti.
Il dramma è individuale e collettivo e la richiesta che il chirurgo fa a Pietro, di tenersi libero la sera, dopo l’operazione, è un invito a comprendere il proprio dolore nella condivisione con gli altri. Il film lancia questi suggerimenti, senza sbavare in alcun modo nel moralismo e nel pietismo, e dà loro risalto aprendo pause narrative dedicate alla città e lasciando così spazio per raccogliere le riflessioni e non farsele sfuggire.
È un dramma che svela l’Italia malata non dall’alto, ma da dentro il malessere che il singolo deve affrontare e lo fa con la grazia e la forza di chi guarda, magari senza capire, ma guarda. È un film che lascia il dolceamaro in testa e nello stomaco. Da vedere, per pensare.

Giudizio: buono.

a cura di Elena Cappelletti

Dossier Chupacabra

Il Chupacabra è una misteriosa creatura che sembra cibarsi del sangue delle sue vittime; per lo più ovini e capre (da qui il nome "succiacapre"). Il numero di animali trovati morti in circostanze misteriose è ormai salito ad alcune migliaia. La prima vittima animale di questa presunta creatura misteriosa fu ritrovata a Puerto Rico nel 1994.
  
Effetti sulle Vittime: Le carcasse presentano uno strano foro sul collo, di circa 1 cm di diametro e di 7-8 cm di profondità, dai bordi assolutamente netti disposti generalmente a triangolo. Il foro scende nel collo o nella mascella inferiore delle vittime fino a salire al cervelletto.
Intorno a esso mancano ferite lacero contuse che possano far pensare all’impronta di una mascella serrata.
Pare che dall’orifizio venga estratto buona parte, se non tutto, del sangue dell’animale. Tra gli indizi che fanno pensare alla firma del fantomatico Chupacabra sono da segnalare le varie lacerazioni a forma di artiglio riscontrate lungo tutto il corpo delle vittime. La cosa più interessante, e spesso ricorrente, è l’assenza della rigidità cadaverica o, nei pochi casi in cui essa viene riscontrata, la presenza di un sangue che non coagula per parecchi giorni.
  
Morfologia: Ben poche sono state le occasioni in cui il Chupacabra è stato visto. In alcuni casi è stato eseguito un identikit, basandosi sulle testimonianze di chi affermava di averne visto, magari di sfuggita, un esemplare.
Le testimonianze parlano di una creatura bipede, a volte descritta con le ali di un pipistrello, dell'altezza di un metro e trenta circa. La testa viene definita, per lo più, ovale e con grandi occhi rossi. Quasi tutte gli intervistati riferiscono che il Chupacabra avrebbe arti superiori e inferiori con tre dita dotate di artigli, e una bocca con canini sporgenti e una lingua appuntita.
C’è inoltre chi sostiene che sia dotato di una cresta dorsale ad aculei.
L’essere pare essere ricoperto di un pelo grigiastro. Sembra inoltre procedere a balzi, facendo forza su zampe capaci di lasciare impronte di circa 10 centimetri simili a quelle di un canide.
La creatura sarebbe capace di correre piuttosto in fretta e addirittura di saltare da alberi alti fino 8 m. Alcuni testimoni hanno riferito che gli occhi della creatura sarebbero in grado di illuminare il terreno circostante, irradiando una luce biancastra paragonabile a quella di una torcia.
Gli studiosi di criptozologia affermano che si possa escludere che si tratti di un cane selvatico, poiché la successione delle impronte ritrovate sarebbe quella di un bipede e non di un quadrupede.
Un'altra leggenda metropolitana attinente al Chupacabra lo vorrebbe caratterizzato da un'intelligenza superiore a quella animale, poiché in molti casi sarebbe stato in grado di aprire porte per accedere all'interno di ovili e allevamenti. 

 
  
Territorio di caccia: Dopo i primi casi verificatesi a Puerto Rico, il Chupacabra è stato segnalato in Guatemala, dove avrebbe attaccato con le stesse modalità gli allevamenti locali, in Messico, a Miami e in Costa Rica. Molto recentemente si è parlato di tracce di Chupacabra persino in Russia.
  
Tracce di Chupacabra in Italia: I primi di dicembre 1996 due contadini trovano nelle campagne di Salve, nella provincia di Lecce, alcuni animali morti. Si tratta di un cane, di un gatto e di quindici galline. Il "killer", come è definito, colpisce e scompare misteriosamente per ben due volte. Un giornale locale, il Quotidiano, il 20 dicembre riporta la notizia parlando di una "belva misteriosa.
Il 22 dicembre viene effettuato un sopralluogo e vengono rilevate impronte di 5 cm di diametro, in contrasto con alcune misurazioni fatte giorni prima dalla Scientifica di Lecce: circa 9 cm. A parte questo, viene riscontrata una profondità variabile, a seconda del tipo di terreno, da 3 a 7 cm.
Dei testimoni riferiscono che le vittime mostravano tre fori sul corpo e non presentavano il rigor mortis anche molte ore dopo la morte.
Durante il sopralluogo, si nota un forte "ronzio" elettrico, dovuto ad una centralina posta nelle vicinanze.
Rilievi simili vengono riscontrati anche nell’altro casolare, ma qui si nota qualcosa di ancora più inquietante. La rete metallica che delimitava la proprietà privata risulta esser stata tranciata di netto e all’interno dell’aia viene trovata una finestra, posta a circa un metro e mezzo di altezza, sfondata. All’interno dell’ovile regna il caos. Quindici galline massacrate, ricoperte da una sostanza verde gelatinosa.
Su alcuni alberi si notano dei profondi segni di artigli e un tralcio di vite completamente divorato.
Anche in questo seconda "scena del delitto" si nota il "ronzio" elettrico di una centralina dell'ENEL.
Un terzo presunto caso si verifica il 20 marzo 1999 a Capo Colonna (Calabria). Dopo una serie di settimane, in cui sono state denunciate stragi di polli (ritrovati sgozzati con il collo, le ali e le zampe intatti), alcuni operai, in servizio presso la centrale di gas dello SNAM, avvistano un grosso felino. In un primo momento si pensa a una tigre, ma le orme ritrovate sembrano più ricordare quelle di un tasso. Interviene l’ufologo Emanuele Labruzzo, il quale decide di confrontare la foto delle orme con altre appartenenti al misterioso Chupacabra.
Labruzzo giunge così alla conclusione che a fare strage di polli a Capo Colonna è stato il Chupacabra.
  
Aggressione ad Uomini: Le aggressioni del Chupacabra, però, non si limiterebbero ai soli animali ma si estenderebbero anche all’uomo. Una prima aggressione sarebbe avvenuta nella città di Gurabo (Puerto Rico) ai danni di Jesus Sanchez. L’uomo ha raccontato di aver sorpreso un Chupacabra che stava tentando di aggredire i suoi animali. Illuminato da una torcia, la creatura avrebbe inseguito l’uomo risultando insensibile ai colpi di machete scagliati da Sanchez.
Altri episodi simili si sarebbero verificati in Costa Rica e Puerto Rico.
Il Chupacabra avrebbe anche ucciso delle persone: un uomo di San Antonio Suchitepéque, in Guatemala, nel 1996, e un altro, nel 1988, a Guarapiranga, nello Stato di San Paolo, in Brasile. Entrambi i cadaveri presentavano gli stessi segni inconfondibli: tre fori sul collo e la quasi totale assenza di sangue, oltre al corpo straziato da artigli. 

 

  
Testimonianze: Le prime osservazioni si sono avute nella cittadina di Orcovis, poi nel centro di Canovanas, e in seguito si sono estese un po' a tutta l'isola di Puerto Rico.
La signora Teide Carballo ha dichiarato al giornalista Manuel Figueroa, inviato del periodico spagnolo Mas Allà e alla tv USA Channel 4, che una creatura ha attaccato i suoi animali, uccidendo 30 galline e due capre. Le bestie mostravano un'incisione sul collo o sul fianco ed erano del tutto prive di sangue. La Carballo ha anche visto il presunto responsabile dei massacri: un essere che si muoveva su due gambe e che le ricordava, per i suoi goffi movimenti, uno "scimmione".
Una coppia cilena racconta di aver avvistato un mostro peloso di grandi dimensioni, apparentemente ibrido di più specie animali, mentre si trovava in vacanza. I testimoni descrivono la creatura con caratteristiche simili a quella avvistata sempre in Cile il 5 gennaio 2004 dall’autista Juan Berrios. Sono quasi le 6 del mattino del 4 febbraio, quando i coniugi notano una strana creatura eretta sul ciglio della strada. Più che strana, la creatura viene definita "un mostro orrendo dal corpo simile a quello di un canguro, tutto ricoperto di peli e con due grandi occhi rossi e canini sporgenti dalla forma tubolare".
I testimoni raccontano di aver guardato il mostro negli occhi, prima che questo fuggisse dietro i cespugli più vicini.
  
Tracce del Chupacabras: L’ufologo Jorge Martin sostiene che almeno due creature sarebbero state catturate. La prima di esse, il 6 novembre 1995. Il fatto sarebbe avvenuto a Hato, nei pressi della cittadina di San Lorenzo.
Un giovane esemplare di Chupacabra sarebbe stato tenuto per sei giorni rinchiuso in una gabbia da un uomo e poi consegnato a un gruppo in uniforme giunto su veicoli 4x4 di colore grigio.
Gli uomini avrebbero portato via la creatura in una scatola fatta di un materiale simile al plexiglas. Secondo Martin, si sarebbe trattato di agenti del Dipartimento all'agricoltura portoricano e di un'agenzia federale statunitense non meglio identificata.
Il secondo essere sarebbe stato preso, verso la fine del ’95, nella zona di El Yunque. Catturato da uomini della Guardia Forestale, sarebbe stato consegnato a dei militari giunti dalla base navale statunitense di Roosevelt Roads, a Caiba, sulla costa dell'isola. Qui, il Chupacabra sarebbe stato caricato su un aereo diretto verso gli USA.
Infine, in un paesino fra Camporico e Canovanas, un Chupacabra sarebbe stato ferito dai colpi di pistola di un poliziotto. I reperti ematici raccolti sulla scena, esaminati su incarico di Martin da un laboratorio professionale americano, avrebbero dato i seguenti risultati:
  • il sangue sarebbe simile a quello umano del gruppo A;
  • l'analisi dei componenti avrebbe rivelato che esso proveniva da una ferita all'intestino;
  • l'analisi genetica mostrerebbe caratteristiche diverse da quelle presenti nel sangue umano e da quelle degli animali conosciuti.
Teorie: Accettando l'idea che il Chupacabra esista davvero, viene da chiedersi di cosa possa trattarsi. Sul punto è stato speso molto inchiostro e fiumi di conferenze, vediamo nel dettaglio le teorie più caldeggiate.
  
IPOTESI EXTRATERRESTRE: Questa ipotesi considera la possibilità che il Chupacabra sia una creatura degli alieni; un loro "animale" oppure un essere creato con la genetica. La sua fisionomia, peraltro, ricorderebbe quella di un "grigio" ma più animalesca. La provenienza extraterrestre può trovare valide basi nell'ondata di avvistamenti UFO registrata nel Centro-Sud America dal 1991 in poi. L'ufologo Jorge Martin ha raccolto molte testimonianze relative a oggetti volanti piramidali visti negli stessi luoghi in cui sono stati ritrovati corpi di animali dissanguati. 
  

IPOTESI TERRESTRE - MUTAZIONE GENETICA: Sull'ingegneria genetica si basa anche l'ipotesi terrestre. Si sostiene la teoria che il Chupacabra concentri in sé un insieme di caratteristiche di diversi animali. Se tali mutazioni dovessero essere naturali avrebbero necessitato di cambiamenti lunghi e graduali, partendo da qualche tipo di animale. Ciò tuttavia non è avvenuto, posto che la comparsa del Chupacabra è stata improvvisa. La possibilità che sia una mutazione artificiale rimane solo in parte credibile. Ci troveremmo, in altre parole, al cospetto di una tesi, poco verosimile considerando i livelli di studio raggiunti dalla ingegneria genetica, masticata molte volte da Hollywood, con il classico animale sottoposto a mutazioni genetiche che sfugge ai suoi creatori.
C’è inoltre chi ha ipotizzato che i chupacabras sarebbero animali comuni (cani randagi, pipistrelli, puma), il cui comportamento sarebbe stato bruscamente modificato da agenti inquinanti.
  
IPOTESI MULTIDIMENSIONALE: Eccoci con la più affascinante delle teorie, in base alla quale il chupacabra proverrebbe da dimensioni cosmiche. Questa scuola di pensiero fa leva sul fatto che anche nei secoli passati si sono registrate apparizioni di entità anomale che fecero strage di greggi. Casi verificati:
  1. In Medio Oriente, nel 100 d.C., ci fu un'invasione di bestie orribili che uccisero animali e uomini.
  2. Nei primi anni del 1800, in Scozia e in Inghilterra vi fu una strage di pecore e bovini, tutti uccisi con un morso sul collo e dissanguati.
  3. In Canada, verso la fine del 1800, un essere spaventoso compì una strage di pecore, succhiandone il sangue e lasciando la carne intatta.
  4. Agli inizi del 1900 in Inghilterra fu registrata un’altra moria di pecore, tutte uccise da un essere interessato a dissanguarle e a lasciare intatte le carni.

a cura di Matteo Mancini



Non è un paese per vecchi


Il cacciatore di antilocapre Llewelyn Moss è impegnato in una delle sue battute giornaliere quando, a un certo punto, in una zona desertica, si accorge della presenza di alcuni camioncini. Avvicinatosi si rende conto di essere di fronte a quel che rimane di una sparatoria avvenuta per uno scambio di droga fallito. L’unico superstite della strage riesce a comunicargli dove si trova l’uomo che è scappato coi soldi. Moss segue le sue tracce e lo trova, morto poco lontano da lì, con in mano una valigia contenente del denaro. La cifra è considerevole (almeno 2 milioni di dollari) e il cacciatore non ci pensa due volte a prenderla con sé. Non sa che però, da quel momento in poi, attirerà su di sé la furia di vari delinquenti a caccia del denaro da lui ritrovato. Uno su tutti, lo psicopatico Anton Chigur, uno spietato killer che decide della sorte delle sue vittime con il lancio di una monetina. Una vicenda complessa che l’ormai stanco e quasi pensionato sceriffo Ed Tom Bell dovrà cercare di risolvere.

Tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi è il premio Oscar 2008 come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore non protagonista (Javier Bardem). E’ inoltre vincitore di due Golden Globe 2008 (miglior attore non protagonista – sempre Bardem – e miglior sceneggiatura non originale).
Regia dei fratelli Cohen che, con il loro stile inconfondibile, ritornano al dramma poliziesco già trattato con successo 12 anni prima con il meraviglioso Fargo, la cui violenza, però, risulta molto più ammorbidita rispetto alla nuova pellicola. Certo i parallelismi con il film ambientato nelle nevi sono molteplici: i luoghi deserti; inetti alle prese con situazioni molto più grandi di loro; investigatori particolari e ridicoli a causa di caratteristiche fisiche spiccatamente anomale (Ed Tom Bell è troppo vecchio e stanco; Marge Gunderson, il capo della polizia in Fargo è incinta ed è molto goffa a causa del pancione); violenza così esplicita ed eccessiva tanto da perdere completamente  il senso del tragico.

Già, perché i Cohen sono così: eccessivi al punto tale da diventare surreali anche nelle situazioni di maggior aderenza alle dinamiche realistiche: un esempio su tutti, il killer Anton Chigur, silenzioso, terrificante, cinico, astuto e senza pietà, ma con un comportamento talmente fuori dal mondo e dalle movenze talmente ridicole che lo fanno sembrare un moderno Charlot assetato di sangue che non uccide le sue vittime con una normale arma da fuoco, ma con una bombola d’ossigeno che spara aria compressa in grado di penetrare i crani delle persone come se usasse pallottole. La violenza, la suspence e la paura sembrano essere la regola, eppure sono innumerevoli le situazioni in cui lo spettatore non sa se deve ridere per gli eccessi rappresentati o se deve sconvolgersi per l’assenza di una logica che possa in qualche modo salvare l’astruso caos che caratterizza tutta la vicenda. Ci si sente braccati da un senso di inadeguatezza perenne (i protagonisti nei confronti della vicenda, con tutti i loro flashback che li separano dal mondo reale; la violenza che si manifesta in maniera brutale, ma che nel contempo ci sconvolge a causa della sua disarmante banalità…). 

 La banalità del male, appunto, per dirla alla Hannah Arendt, è qui rappresentata in tutta la sua sconvolgente realtà ed è talmente intrisa di violenza che sembra quasi essere la parodia di se stessa, grazie anche al contorno di sangue raggrumato e a fiotti, analizzato così da vicino come neanche il peggiore dei voyeur avrebbe saputo fare. Un film dei Cohen, insomma, né più né meno, con tutti suoi interrogativi e con tutte le sue sorprese che lo rende, sì, quasi inaccessibile ai più, ma che è in grado di comunicare pienamente al pubblico sentimenti autentici che riemergono come per magia da un’atavica memoria.
  
Giudizio: ottimo.