Randy “The Ram” Robinson (Mickey Rourke) è un
lottatore professionista che alla fine degli anni ’80 era al culmine
della popolarità. A vent’anni di distanza lavora part-time come
magazziniere e come commesso per un supermercato, dedicandosi ai
combattimenti, per i pochi fan rimasti, solo nei week-end, esibendosi in
tristissime palestre di licei. E’ un uomo fallito, ridotto in povertà e
con il fisico stanco e ammaccato per le troppe botte prese. Un giorno,
al termine di un umiliante combattimento in cui riporta gravi ferite,
viene colto da un infarto e trasportato d’urgenza all’ospedale. Si
risveglierà con un bypass al cuore e con l’assoluto divieto da parte del
medico di continuare a combattere e di assumere steroidi. A questo
punto Randy vuole dare una svolta alla sua vita: dopo aver deciso di
farla finita per sempre con il wrestling tenta di recuperare i rapporti
con la figlia Stephanie (Evan Rachel Wood) che aveva abbandonato
quand’era piccola e che nutre per lui solo disprezzo; e tenta anche di
avvicinarsi alla non più giovanissima ballerina di lap-dance Cassidy
(Marisa Tomei), per la quale nutre un sincero affetto. Ma la vita
sregolata che aveva condotto fino a quel momento non consente all’uomo
di vivere in pace: una sera, dopo essersi ubriacato e dopo aver fatto
sesso con una sconosciuta, crolla addormentato in casa e si dimentica
dell’appuntamento che era riuscito a fissare con la figlia (la quale si
era nuovamente avvicinata al padre dopo un incontro precedente). Il
rapporto tra i due è definitivamente spezzato, per la disperazione e il
rammarico del genitore. In più Cassidy, madre sola di un figlio di nove
anni, non riesce a fidarsi dell’affetto sincero dell’ex lottatore.
Disperato e senza alcun motivo per il quale vivere Ram decide di
combattere ugualmente contro l’Ayatollah, (l’avversario fortissimo che
aveva sconfitto vent’anni prima) rischiando forse definitivamente la sua
vita sul ring...
Vincitore di due Golden
Globe (migliore attore in un film drammatico a Mickey Rourke; miglior
canzone originale a Bruce Springsteen); Leone d’oro a Venezia per Mickey
Rourke. Dall’uscita nelle sale il film ha finora ottenuto un incasso di
40 milioni di dollari.
Darren Aronofsky mette in scena un film struggente, crudo e a tratti
freddo, nella sua analisi impietosa dell’insostenibile impotenza
dell’essere umano nei confronti del fallimento della vita.
Un film interpretato non a caso da Rourke, un attore che negli anni ha conosciuto un periodo di declino lavorativo, ma anche fisico (le numerose plastiche facciali per arginare i danni causati dalla boxe, sua grande passione, forse un modo per rendere esplicita la sua esigenza di autodistruzione); e anche Marisa Tomei, con i suoi quasi 45 anni che la rendono ormai una “neo-ex-giovane” (ma sempre bellissima) sembra incarnare pienamente lo spirito meta-cinematografico della pellicola.
Un film interpretato non a caso da Rourke, un attore che negli anni ha conosciuto un periodo di declino lavorativo, ma anche fisico (le numerose plastiche facciali per arginare i danni causati dalla boxe, sua grande passione, forse un modo per rendere esplicita la sua esigenza di autodistruzione); e anche Marisa Tomei, con i suoi quasi 45 anni che la rendono ormai una “neo-ex-giovane” (ma sempre bellissima) sembra incarnare pienamente lo spirito meta-cinematografico della pellicola.
Con The Wrestler è in scena la vita. Forse
viene illustrato lo scenario peggiore, il percorso che tutti sperano di
non dover affrontare mai; ma sicuramente non si eccede, non si va mai
oltre la pura rappresentazione di una vicenda strettamente ancorata al
reale. Un elemento valorizzato ulteriormente dalle tecniche di ripresa,
con una macchina a mano fortemente somatizzata che strizza un occhio a
Lars Von Trier (Dancer in the Dark, 2000; Dogville,
2003) e il suo Dogma 95. Non c’è via d’uscita per The Ram, tutto è
finito e sembra inutile anche il voler ricominciare da capo perché ormai
il suo modo di vivere e pensare è danneggiato per sempre, come il suo
fisico che si muove stanco e appesantito. La fotografia di Maryse
Alberti è fredda, chirurgica e molto chiara, ma in realtà non c’è luce
al fondo del tunnel: i due terzi del film, infatti, sono girati in
semisoggettiva di Randy, le cui gigantesche spalle coprono gran parte
del campo visivo: una metafora perfetta, a mio parere,
dell’impossibilità di guardare oltre, di poter superare l’impasse
comportamentale che sembra aver bloccato il lottatore per sempre
all’interno del ring. Perché Randy non sa vivere, non riesce ad
inserirsi nella vita di tutti i giorni intrappolato com’è nel suo
personaggio che esalta la folla (è per questo che detesta sentirsi
chiamare col suo vero nome, Robin); e la semisoggettiva sembra anche
beffarsi di lui, seguendolo come se stesse sempre per entrare nel ring,
pronto ad affrontare un nuovo combattimento (anche quando in realtà si
appresta ad entrare nel reparto gastronomia nel quale è addetto alle
vendite).
Il brano di Bruce Springsteen, The Wrestler, esprime una rassegnazione e una malinconia profonda che colpiscono direttamente allo stomaco, accompagnando la vicenda con un tocco deciso, ma mai invadente.
Il brano di Bruce Springsteen, The Wrestler, esprime una rassegnazione e una malinconia profonda che colpiscono direttamente allo stomaco, accompagnando la vicenda con un tocco deciso, ma mai invadente.
Giudizio: quasi ottimo.
a cura di Giorgio Mazzola