Negli anni Settanta Cronenberg era un regista conosciuto e stimato soprattutto dai cinefili e dagli amanti dell'orrore più estremo e viscerale. Molti critici lo ritenevano al massimo un discreto autore di b-movies. Ora invece è considerato all'unanimità un maestro del cinema. Destino che condivide con altri registi thriller/horror della sua generazione (Carpenter, Romero, Craven) e di quelle successive (Ferrara, Raimi, Cameron e finanche Peter Jackson). E' però uno dei pochi che non ha mai accettato compromessi e non si è quasi mai piegato alle logiche della produzione hollywoodiana (l’unica parziale eccezione è stata La mosca, del 1987, uno dei suoi film di maggiore successo). Anche se quest'ultimo film, A History of Violence, superficialmente potrebbe sembrare un nero/gangsteristico che segue la scia dei successi di Tarantino.
Se il cinema di Cronenberg da sempre si regge sulla mutazione (del corpo e della mente) e sull'ambiguità, in questo caso ancora più esplicita è l'identità schizofrenica del protagonista (come in Inseparabili, ad esempio) e, a un livello più sotteso, l'ambiguità nell'esibizione della violenza. Perché se da una parte gli eccessi splatter possono sembrare forzati e furbi, dall'altra giocano sull'assuefazione del pubblico, fino a portare a un'identificazione "straniante" (infatti il personaggio è una sorta di giustiziere all'inizio e poi si rivela un ex-psicopatico più cattivo dei cattivi) e a una sorta di pulizia morale dello spettatore; o almeno dello spettatore che di fronte alle "prodezze" del personaggio si sente, a conti fatto, più o meno inconsciamente colpevole. Il finale è splendido e nello stesso tempo quanto di più prevedibile sia immaginabile, poiché ormai siamo abituati a considerare che il male spesso trova rifugio proprio nella "normalità" della famiglia.
Molti recensori hanno lodato le interpretazioni del protagonista Viggo Mortensen e dei cattivi Ed Harris e William Hurt. Ma se quest'ultimo recita sopra le righe per alzare il tono grottesco del film e stemperare il "realismo" di certe situazioni, Mortensen, Harris e Maria Bello sono misurati e oscuri come sempre gli attori di Cronenberg; anche quelli dei primi film, nomi spesso di seconda fila che non ricevevano certo tante lodi dalla critica.
Giudizio: molto buono.
a cura di Roberto Frini