Da tempo colonizzato, il pianeta rosso è stato prescelto quale soluzione alla saturazione del pianeta Terra: 640.000 persone vivono e lavorano su Marte, sfruttandone le ricchissime risorse minerarie. Per assicurare la sopravvivenza umana, un tenente di polizia ed un pericoloso criminale uniranno le forze contro i fantasmi di Marte. (Fonte: Ibs)
Su Fantasmi da Marte, girato nel 2001, si può dire tutto, tranne che non sia un film in puro Carpenter-style. Come ha fatto Dario Argento con Nonhosonno, Carpenter sembra voler omaggiare se stesso. Così ecco i fantasmi che tornano per vendicarsi (e la nebbia, che qui è polvere ed è rossa) di Fog, l’alleanza tra un poliziotto e un bandito di Distretto 13, l’atmosfera sulfurea di Il signore del male. E la città mineraria ormai preda dei somiglia alla Manhattan di 1997 Fuga da New York, la dicotomia umano/non-umano rimanda a La cosa (come pure l’ambientazione marziana desertica), i lunghi combattimenti a Grosso guaio a Chinatown. Certo ci sono anche delle novità: il fatto che la vicenda si svolga in una società matriarcale e che l’eroe sia una donna (Natasha Henstridge), testimonia che Carpenter si guarda intorno e coglie i mutamenti e l’aria che tira (anche a Hollywood, dove diventano sempre più numerosi i film che hanno come protagoniste eroi in gonnella e donne d’azione); il tentativo non sempre riuscito di modernizzare e sveltire lo stile di ripresa, che tuttavia mal si coniuga con la narrazione continuamente rallentata dal cambiamento del punto di vista; l’ambientazione marziana, con Carpenter che, pur avendo raccontato spesse volte storie aliene, per la prima volta si trasferisce su un altro pianeta (e il pianeta rosso è stato al centro dell’attenzione cinematografica sul finire del millennio, con film come Mission to Mars di De Palma e Il pianeta rosso di Hoffman, un interesse che però sembra già esaurito). Ma, aldilà di tutto questo, Fantasmi da Marte è un film con il marchio, si può riconoscere la mano di Carpenter in ogni immagine, in ogni scena, in ogni nota musicale. Anche, naturalmente, nello sforzo iniziale di creare un’atmosfera di terrore e di attesa, che però si dissolve quasi subito perché il regista, come spesso gli è accaduto, racconta una storia fanta-horror ma vorrebbe girare un western, e alla scenografia mineraria sembrano mancare soltanto il saloon e John Wayne per diventare una perfetta cittadina della frontiera. Se ciò può apparire come un difetto, rende però il film curioso e intrigante, approfondendo il quale si può cogliere in controluce non solo il mondo creativo di Carpenter, tenebroso e inquieto e irrisolto, ma anche il (non) senso di molto cinema americano contemporaneo.
a cura di Roberto Frini