La giovane Mia
lavora in un bar degli studi Warner e vorrebbe fare l'attrice. A una festa
conosce il pianista jazz Sebastian, che spera di riuscire ad aprire un suo
locale. I due cominciano a frequentarsi e pian pian piano si innamorano,
aiutandosi a vicenda nel cercare di realizzare i propri sogni.
La recente
cerimonia degli Oscar ha con ogni probabilità consegnato alla storia un film
come La La Land che, per chi non lo sapesse, è stato il vincitore del
premio più ambito ma solo per una manciata di secondi.
Questo nonostante
si tratti di uno dei tanti titoli americani recenti di cui tra qualche anno
pochi si ricorderanno.
Va detto che il
musical di Damien Chazelle (autore qualche anno fa di Whiplash) di
statuette ne ha vinte comunque ben sei, e stupisce soprattutto quella data alla
migliore scenografia, che non ci pare né originale né particolarmente inventiva
(a meno di non voler considerare tale qualche bidone della spazzatura dipinto
con colori vivaci).
Bisogna ammettere
in ogni caso che La La Land almeno un pregio ce l'ha. Quello cioè di
sancire una volta per tutte l'ipocrisia di molto cinema contemporaneo, che
finge di omaggiare il proprio passato ma poi lo attualizza con cinica
disinvoltura, come accade oggigiorno con i famigerati reboot. Categoria di cui
potrebbe far parte anche il film di Chazelle, che sembra la copia/rivisitazione
sbiadita dell'inarrivabile Un sogno lungo un giorno (One From the
Heart, 1982), che all'epoca non dimentichiamolo fu un clamoroso insuccesso,
con innesti dell'altro capolavoro postmoderno di Coppola Cotton Club
(id, 1984).
Il problema quindi
non sarebbe tanto la pochezza della vicenda narrata (con dialoghi che in alcuni
momenti sfiorano il ridicolo) e nemmeno l'intenzione di stupire lo spettatore
attraverso la ricercatezza visiva (entrambe caratteristiche peculiari del
geniale OftH), più artefatta che davvero ispirata ma, se non altro, meno
kitsch e sovrabbondante di alcuni precedenti tentativi di riproporre la
commedia musicale (il pessimo Moulin Rouge, ad esempio). Certi difetti
strutturali sono ormai una consuetudine, non il frutto della sperimentazione di
un autore geniale come Coppola, e non si può far altro che rilevarli come il
sintomo evidente di una serie di carenze che riguardano l'aspetto produttivo e
di scrittura. Crediamo però che sia una deriva difficile da arginare.
Ciò che casomai
sarebbe da sottolineare, se interessasse a qualcuno, è il patetico tentativo di
spacciare La La Land per un film sul “sogno” e la “follia”, che alla
fine si risolve nella solita aspirazione al successo e ad avere un cospicuo
conto in banca. Forse anche per questo il risultato è un'opera piacevole in
alcuni, rari momenti, ma che di sognante e, soprattutto, di folle, ha ben poco.
Sull'omaggio alla
Hollywood che fu, tanto sbandierato, s'è già scritto. Quanto al jazz, può darsi
che gli appassionati trovino interessanti i riferimenti musicali e le
esibizioni del protagonista. Il profano con buona memoria ricorderà invece la
magica e malinconica atmosfera notturna dei locali fumosi ricreata nel
bellissimo Round Midnight – A mezzanotte circa, diretto nel 1986 da
Bertrand Tavernier.
Giudizio: **
a cura di Roberto Frini