Ponyo sulla scogliera di Miyazaki Hayao


Sosuke è un bambino di cinque anni che vive con la madre in una casa in cima ad una scogliera, non lontano da un grazioso villaggio di mare. Un giorno trova per caso sul bagnasciuga una pesciolina con la testa dalle fattezze umane incastrata in un barattolo di vetro, scampato per miracolo alle reti dei pescatori. Sosuke, dopo averla liberata, le dà un nome, Ponyo, e la porta con sé dopo averla messa in un secchiello pieno d’acqua. Lo stregone marino Fujimoto però, il padre di Ponyo che una volta era umano, riporta la figlia con sé nella sua casa sott’acqua. Laggiù la piccola riesce a bere l’Acqua della Vita e tenta di fuggire dalla casa di suo padre con l’intento di ritrovare Sosuke in superficie. Ma, durante la fuga, Ponyo versa un po’ dell’Acqua della Vita in mare provocando così un violento tsunami fatto di onde gigantesche a forma di pesce, sulle quali la piccola corre spensierata, ma che devastano completamente il grazioso villaggio marino. Ponyo vuole a tutti i costi rimanere accanto a Sosuke, ma Fujimoto non sembra intenzionato a lasciare che sua figlia diventi un’umana a tutti gli effetti. Riuscirà a riportarla con sé in mare? E che ne sarà del villaggio, continuamente investito dalle onde gigantesche lanciate dallo stregone? 
   
Uscito in Italia per la Lucky Red il 20 marzo 2009 (quasi nove mesi dopo la prima giapponese) Ponyo sulla scogliera ha già incassato circa 237 mila euro in tutto il nostro paese (sesto posto tra i film più visti) ed è reduce dalla partecipazione alla 65esima  Mostra del cinema di Venezia.
Il 67enne Miyazaki torna alla regia di un lungometraggio animato a quattro anni di distanza dal suo ultimo lavoro, Il castello errante di Howl (Hauru no Ugoku Shiro, 2004) e due anni dopo l’uscita del primo film del figlio Goro, I racconti di Terramare (Gedo Senki, 2006), con lo Studio Ghibli sempre a sostegno delle straordinarie invenzioni e dell’immaginazione del maestro Miya-san.
 
A 67 anni Miyazaki Hayao ritorna con quello che forse sarà il suo ultimo film, dato che, come ha recentemente affermato «Ho raggiunto un’età in cui posso contare con le dita gli anni che mi rimangono da vivere… e quando sarò lassù sarò probabilmente riunito a mia madre: cosa potrò mai raccontarle?». Un ritorno, dunque, che però sembra portare con sé anche i pensieri e le riflessioni di un uomo arrivato al fatidico momento dei bilanci. Gli elementi autobiografici hanno sempre contraddistinto le opere del maestro, ma mai come in questo film si respira una nostalgia per l’infanzia così forte, espressa in maniera evidente dai continui richiami alla figura materna che Miyazaki perse troppo presto (Lisa,  Gran Mamare e la vecchia Yoshie sono tutti aspetti che descrivono sua madre: una donna forte, premurosa, ma che nella malattia divenne un po’ scorbutica a causa dell’immobilità forzata). Bambini e figure femminili come protagonisti: un film di Miyazaki a tutti gli effetti che, però, forse, per la prima volta, vuole essere dichiaratamente un prodotto per l’infanzia: a differenza delle protagoniste Mei e Satsuki de Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro, 1988) che trovavano nello spirito della foresta Totoro un fedele compagno che potesse distrarle dal dolore causato dall’assenza della madre malata (ancora l’elemento autobiografico che ritorna); o a differenza di Kiki (Kiki’s Delivery Service – Majo no Takkyubin, 1989) che si ritrova da sola nella grande città, ma supportata dalla magia e dalla gente che l’accoglie calorosamente; a differenza di questi lavori, dicevo, Miyazaki mette in scena una vicenda in cui i bambini finalmente si trovano in una posizione tale da poter decidere delle proprie sorti autonomamente, divenendo così i principali fautori del proprio destino (una naturale evoluzione della figura di Chihiro de La città incanatataSen to Chihiro no Kamikakushi, 2001- la quale si trova nella condizione di dover sopravvivere nel gigantesco villaggio termale, con tutte le sue regole talvolta incomprensibili, ma con in mente sempre un obiettivo impostole, però, da qualcun altro).  
  
Un esplicito richiamo all’infanzia, una dichiarazione d’intenti che si intuisce anche dalle particolari decisioni prese per quanto riguarda la messa in scena: il sacrificio di qualche frame che rende l’animazione meno fluida rispetto agli ultimi lavori e che richiama lo stile tipico (anche per esigenze economiche) delle produzioni seriali del passato; la volontà di utilizzare sfondi acquerellati e molto meno particolareggiati (che ricordano molto da vicino le illustrazioni dei libri per l’infanzia), ma mai banali; la volontà ferma da parte di Miyazaki di non utilizzare la computer grafica (un altro espediente per non “raffreddare” l’animazione), ma di affidarsi totalmente alle capacità degli animatori guidati ogni giorno dal suo severissimo sguardo.
 
Un film gradevole, ben realizzato, in cui il mutamento sembra essere la chiave di lettura ottimale: Ponyo è una pesciolina che diventa un essere umano; Sosuke è un bambino che si comporta come un adulto; Fujimoto è un uomo che ha deciso di diventare un pesce; il mondo marino che ha deciso di fondersi con quello terrestre grazie alla volontà di una bambina, capace di correre sulle onde del mare in tempesta.
 
Miyazaki è tornato, ma forse solo per un saluto. Si respira la malinconia di chi si accinge a firmare l’ultimo lavoro. E proprio grazie alla sequenza mozzafiato di Ponyo che corre felice sullo tsunami inseguendo Sosuke nell’automobile guidata dalla spericolata Lisa, torniamo a sognare e a commuoverci, ripensando alla famosa corsa di Lupin nella sua 500 potenziata (Lupin III, Il castello di CagliostroRupan Sansei: Kariosutoro no Shiro, 1979) o alle incursioni della principessa Mononoke nei boschi medievali giapponesi (La principessa Mononoke - Mononoke Hime, 1997). Non me la sento di dire che altri film non verranno, perché, a mio parere, Miyazaki Hayao, nonostante i suoi quasi 70 anni, ha ancora molto da dire: il bambino che c’è in lui è ancora vivissimo.
 
Giudizio: molto buono.

a cura di Giorgio Mazzola