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Un angelo per Satana di Camillo Mastrocinque

L’artista Roberto Merigi viene incaricato dal conte di Montebruno di restaurare una statua recuperata dalle acque del lago. La statua ritrae l’antenata di Harriet, nipote del conte appena tornata in paese, la quale comincia a comportarsi in maniera strana. Il succedersi di morti violente induce la superstiziosa popolazione del luogo a ritenere che la donna sia portatrice di una maledizione. Prima che la folla inferocita uccida Harriet, Merigi riesce a smascherare il vero colpevole.
Un angelo per Satana dimostra, forse più ogni altro film del terrore nostrano, che il genere in Italia si è sviluppato anche dal melodramma e dal romanzo d’appendice e dalla volontà di alcuni produttori e registi di opporsi al neorealismo dilagante. Il film di Mastrocinque potrebbe in effetti essere definito un film di neo-irrealismo e sfrutta le stesse ambientazioni rurali e paesane che tanto funzionavano all'epoca, solo con un’ottica leggermente diversa. Come in gran parte degli horror italici (e non solo degli horror, se è per questo), le donne sono le vere protagoniste, vittime e carnefici nello stesso tempo, e il personaggio di Harriet impersonato da una sfolgorante Barbara Steele (crudele e vulnerabile, tentatrice e succube, con i bellissimi occhi scuri che mandano lampi, offre un’interpretazione memorabile) ne è un esempio perfetto, poiché il suo sdoppiamento della personalità, alla Jekyll e Hyde, riassume in sé il fascino ammaliatore e il mistero femminile. Harriet è infatti spinta a commettere atti malvagi dal conte, ma il conte è a sua volta dominato dalla volontà vendicatrice di Ilda, governante della casa e sua amante. Mastrocinque dirige il film con mano sicura, anche se non si può dire che la vicenda riesca ad essere particolarmente terrorizzante o evocativa. Le scene migliori sono due: quella in cui per la prima volta affiora il lato malvagio di Harriet e il sensuale, ardito incontro tra Harriet e il pazzo, fustigato per aver osato alzare lo sguardo sul corpo nudo della donna.
  
a cura di Roberto Frini