Michèle, a capo di
un’azienda di videogiochi, una sera viene aggredita e violentata nella sua casa
da uno sconosciuto con il passamontagna. Non si reca dalla polizia ma cerca da
sola di scoprire chi sia il colpevole, pensando che possa trattarsi di uno dei
suoi dipendenti.
Carnage (id., 2011) di Roman Polanski e Maps to the Stars (id., 2014) di David Cronenberg, sono tra i film
più caustici e spietati realizzati negli ultimi anni. A produrli è stato Saïd
Ben Saïd, che nel 2012 ha anche offerto a Brian De Palma, altro
cineasta non proprio allineato, la possibilità di tornare dietro la macchina da
presa con lo sfortunato, ma bellissimo, Passion
(id.). Come se non bastasse, l’illuminato produttore franco-algerino ha pensato
bene di mettere sotto contratto Paul Verhoeven (si vocifera di un secondo
progetto in cantiere), autore che in quanto a spietatezza artistica non è
secondo a nessuno. E così, a dieci anni di distanza dal controverso Black Book (Zwartboek), il regista di RoboCop
(id., 1987) e Basic Istinct (id.,
1992) ha girato Elle (id.), la cui
sceneggiatura (scritta da David Birke) è stata tratta dal romanzo «Oh …»
(2012) di Philippe Dijan. Risulta subito evidente l’intenzione di realizzare un
film non classificabile, che spiazza lo spettatore, convinto di trovarsi di
fronte un thriller erotico o un rape & revenge. L’identità del colpevole
(chiamiamolo così) è facile da indovinare e nonostante la protagonista, Michèle
(interpretata da Isabelle Huppert: inutile lodarla) si armi di un martello e di
uno potente spray al peperoncino, è altrettanto intuibile che Verhoeven non è
interessato a mettere in scena la vendetta (la donna si limita a immaginarla) o
a elaborare sequenze cariche di suspense. Cosicché a un certo punto il pensiero
non va soltanto a Hitchcock, ma anche a certi enigmatici puzzle surrealisti e
antiborghesi, intrisi di perfidia e umore nerissimo, firmati Luis Buñuel. Che il film di
Verhoeven sia, sin dal titolo, la risposta femminile (e un omaggio) a El - Lui (El, 1953), uno dei tanti capolavori del maestro spagnolo? Certo, le
somiglianze tra le due opere non sono molte, e Verhoeven non è Buñuel. Ha spesso il passo
pesante e non sempre riesce a essere distaccato e ironico, in modo da rendere
sopportabile la storia che racconta. In compenso pochi altri saprebbero
allestire un teatro della crudeltà con altrettanto coraggio, esagerando con la
carne al fuoco (digressioni erotiche, riferimenti religiosi, patologie
assortite) ma riuscendo infine ad amalgamare magistralmente il tutto. E, cosa
non scontata, filmando e montando con rara perizia. Il nitore del quadro che ne
risulta finisce comunque per far scaturire una riflessione: il mondo (o una
parte di esso) è davvero come lo dipinge Verhoeven (roba da invocare
l’apocalisse) o la feroce, sottile componente satirica di Elle risiede proprio nella reazione che suscita?
Giudizio:
***
- Titolo: Elle
- Regia: Paul Verhoeven
- Sceneggiatura: David Birke (dal Romanzo “Oh …” di Philippe Dijan)
- Fotografia: Stéphane Fontaine
- Montaggio: Job ter Burg
- Musiche: Anne Dudley
- Scenografia: Laurent Ott
- Produzione: Saïd Ben Saïd, Michel Merkt
- Anno: 2016
- Paese di produzione: Francia, Belgio, Germania
- Durata: 130’
- Cast: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Charles Berling, Anne Consigny, Virginie Efira, Vimala Pons, Alice Isaaz, Jonas Bloquet.
(a cura di Roberto Frini)