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Ken il guerriero - la leggenda di Hokuto

Il successore della divina scuola di Hokuto, Kenshiro, deve affrontare il terribile Souther, il guerriero Nanto protetto dalla stella dell’imperatore, intenzionato a schiavizzare dei bambini per costruire il suo personale e mastodontico mausoleo a forma di piramide. Nonostante l’opposizione delle truppe ribelli capeggiate da Shu il terribile imperatore continua ad imperversare e a rapire bambini. Nemmeno Raoul, il dominatore di fine secolo, riesce a decidersi ad affrontarlo, preoccupato dal fatto che il corpo del guerriero Nanto nasconde un segreto che lo rende invincibile.
Quale sarà il terribile segreto? Riuscirà Kenshiro a scoprirlo e a vincere la battaglia finale?

Primo capitolo della pentalogia intitolata La leggenda del vero salvatore, realizzata in occasione del venticinquesimo anniversario della nascita del personaggio creato dalla mente di Buronson e dalle mani di Tetsuo Hara e distribuito in Italia grazie alla collaborazione della Yamato Video e della Mikado Film. In questo primo lungometraggio si affronta la vicenda dello spietato imperatore di Nanto Souther, dell’Airone bianco Shu e dell’interminabile lotta fratricida della divina scuola di Hokuto. Nulla di nuovo per chi conosce a memoria il manga e l’anime (e mi riferisco a chi, come me, è nato tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80) salvo l’aggiunta di personaggi come Reina che qui riveste un ruolo forte e decisivo (sebbene abbia caratteristiche che ricordano molto da vicino  Thou, la figlia di Rihaku del mare, nella serie tv). 
Un lavoro che si merita la sufficienza, ma non di più. Per chi come me ha un’adorazione infinita verso lo storico anime non sarà rimasto particolarmente colpito da questo tanto atteso film celebrativo dell’eroe di Hokuto. Innanzitutto, trattare in un’ora e mezza uno dei capitoli più struggenti di tutta la serie mi è parso una scelta azzardata, anche perché l’analisi psicologica dei personaggi è stata alquanto desolante (non si accenna alla storia di Souther e del suo rapporto col maestro da lui ucciso inconsapevolmente: qui l’imperatore Nanto non è un uomo che ha rifiutato l’amore perché causa di sofferenze, ma semplicemente uno psicopatico che schiavizza bambini per costruirsi un mausoleo).
Altra nota dolente, i disegni. L’animazione sarà pure molto fluida e i colori brillanti (forse troppo: Kenshiro sembra fatto di lamiera), ma il tratto rimane purtroppo contaminato da una tendenza tipica dei lavori degli ultimi anni, quella cioè di contornare i personaggi da una spessa linea nera che ne accentua la silhouette (vedi anche Full Metal Alchemist) e che ne appiattisce la figura. Una constatazione, questa, che mi ha fatto riflettere, perché per la prima volta in più di vent’anni mi sono chiesto se davvero i “cartoni giapponesi” d’azione stiano diventando tutti uguali (ma dobbiamo tutti credere che non sia così).
Le scene di combattimento sono poche e tutte molto brevi, con l’eccezione della battaglia finale tra Kenshiro e Souther, ripresa alla perfezione dal manga e dall’anime (forse si poteva fare qualcosa in più per il film), con la cinepresa sempre troppo vicina ai corpi, tanto da non far capire molto di quello che sta succedendo durante le leggendarie raffiche di pugni e calci che sono il “fondamento stilistico” di quest’anime.
  
Infine le musiche, epiche e trionfali, più adatte però al genere fantasy (sarebbero state perfette per un film animato su Il signore degli anelli) che non ad un anime che deve la sua nascita ad un progenitore dannato e “tamarro” come Mad Max (George Miller, 1979). Si tira un respiro di sollievo, infatti, quando finalmente riecheggiano prepotenti, verso la fine del film, le note di You wa shock (celebre leitmotiv del Kenshiro incazzato) che sortiscono un  effetto misto tra nostalgia, esaltazione pre-adolescenziale e senso di onnipotenza dovuto all’immedesimazione con Ken, il guerriero menante. 
Un film ispirato alla serie TV, insomma, con tutti i pro e i (molti) contro che si possono sempre trovare in questo tipo di produzioni. Per la celebrazione del quarto di secolo, però mi sarei aspettato qualcosa di più, qualcosa di meglio e non una semplice rivisitazione moderna e un po’ scontata di uno degli anime fondamentali degli anni Ottanta. In un’epoca in cui però sembra che le vecchie glorie siano state messe un po’ da parte è meglio accontentarsi di quel che c’è, dato che la considerazione verso l’animazione giapponese (qui in Italia) corre sempre su filo sottilissimo che sembra debba sempre spezzarsi al minimo sbaglio e alla minima disattenzione. Grido allora ad occhi chiusi “Viva Kenshiro!!” e aspetto fiducioso (e un po’ disilluso) gli altri lungometraggi che, spero, arriveranno.

Voto: sufficiente.

a cura di Giorgio Mazzola