Henry (Ray Liotta) è un giovane ragazzino
italo-irlandese che vive nei quartieri poveri e malfamati di New York e
che sogna di diventare un gangster, credendo fin da subito che quella
sia la vita che fa per lui. Inizia così a “lavorare part time” per il
boss Paul Cicero (Paul Sorvino) e la sua banda. Sotto la guida e
protezione dello spietato (e anche lui irlandese) Jimmy Conway (Robert
De Niro) e con al fianco lo psicopatico amico Tommy De Vito (Joe Pesci)
farà strada all’interno della malavita gestendo il traffico d’armi e di
droga. Le cose cambieranno quando Henry inizierà davvero a capire con
che tipo di gente ha passato tutta la vita, pronta a far fuori anche gli
amici più stretti, se necessario.
Premio Oscar
a Joe Pesci nel 1991; premio speciale per la regia a Martin Scorsese
alla Mostra Internazionale di Venezia del 1993 (Leone d’argento);
vincitore del BAFTA award come miglior film nel 1991, Goodfellas
(tratto da una storia vera, dal romanzo di Nicholas Pileggi Wise Guy) è
senza dubbio uno dei film più rappresentativi dello stile
inconfondibile del regista italo-americano pilastro della New Hollywood.
Anche se, a parte il caso di Joe Pesci, non è arrivata nessuna
statuetta che potesse sottolineare il valore di questa pellicola (sempre
che gli Oscar servano a questo…) resta comunque uno dei suoi lavori più
riusciti. Cercare di capire il perché sarebbe un mero esercizio di
analisi, ma è inevitabile citare alcuni elementi peculiari: innanzitutto
il cast di attori assolutamente di prim’ordine, con un Joe Pesci da
Oscar (veramente incredibile e terrificante nei suoi scatti di
incontrollata violenza), un Robert De Niro che non si lascia andare alle
sue solite smorfie e un Ray Liotta assolutamente in forma, molto
credibile nel ruolo del mafioso mezzosangue “adottato” dalla Mala. E
ancora, non si possono non citare i vari Paul Sorvino, Mike Starr, Frank
Sivero e Frank Vincent che, complice questo film, compariranno tante
altre volte nella parte dei soliti mafiosi italiani (seri e non). E poi
lui: Scorsese, che dà prova della sua straordinaria capacità di
narratore, riuscendo a non far pesare assolutamente le quasi due ore e
mezza di film, dosando con sapienza le scene di violenza assoluta e
quelle più legate al racconto, grazie anche alla voce narrante fuori
campo di Henry a costante supporto dell’intera vicenda.
Ma sebbene molte delle soggettive siano del protagonista (insieme alla
voce appena citata) il punto di vista di questa storia non è solo quello
di un personaggio in particolare. Sebbene noi vediamo attraverso gli
occhi di Henry gli spaventosi scenari celati dietro i sorrisi
accomodanti dei gangster italo-americani, la testimonianza sembra essere
quella di un visitatore esterno che ci prende per mano e che riesce a
filmare di nascosto le attività illecite di questi criminali. La forte
presenza della camera somatizzata è una caratteristica peculiare di
Scorsese che in questo modo riesce, sì, a raccontare vicende e storie,
ma si tiene ad una certa distanza di sicurezza dall’invisibilità
montaggio classico, facendo sentire la propria presenza costantemente (i
movimenti di macchina in avanti ogniqualvolta si introduca un
personaggio nuovo e le “false” soggettive, ovvero gli sguardi degli
attori in macchina rivolti non a un personaggio – come può sembrare in
un primo momento - ma allo spettatore o al regista). Per non parlare
poi delle musiche, sempre attentamente scelte e introdotte per
sottolineare non solo il passare degli anni (circa una trentina, dagli
anni ’50 agli anni ’80), ma anche le diverse tipologie di scene (Gimme Shelter degli Stones, mentre Henry e l’amante sono impegnati a tritare la coca – canzone che compare anche in The Departed – per sottolineare l’atmosfera trasgressiva e un po’ trash, ad esempio).
Godfellas è un film di mafia, in cui però è
la violenza a farla da padrone. In un mondo in cui nessuno guarda in
faccia a nessuno e in cui l’amicizia è un valore relativo, è
assolutamente superficiale per Scorsese concentrarsi sulle dinamiche
dell’intreccio, dato che nulla ha una logica, in questa pellicola (a
partire dalle esplosioni di violenza di Tommy/Joe Pesci, assurde e
pazzoidi, dalle quali Tarantino avrà sicuramente preso ispirazione per i
suoi lavori): ecco che allora tutto scorre con una naturale
indifferenza, con uomini trucidati da assassini i quali nel “pieno del
loro lavoro” parlano del ristorante in cui andranno a mangiare più
tardi. Forse è proprio questa mancanza di un vero e proprio fulcro
drammatico che a questo film è costato l’Oscar (sovente vincono i film
che fanno piangere, lo diceva anche Billy Wilder…): guardare Godfellas
è un po’ come assistere ad un reportage di guerra in cui lo spettatore è
attratto dall’azione in sé, più che dalle dinamiche e dalle descrizioni
del reporter. E’ un esercizio voyeuristico che forse pecca di freddezza
di eccessiva indifferenza, ma che ci tiene incollati allo schermo
dall’inizio alla fine.
Giudizio: ottimo.
a cura di Giorgio Mazzola