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Il sale della strega di Steve O. Crevit


Per i rari e frettolosi viandanti, piccoli commercianti o contadini, che con i loro camioncini si trovano a dover passare davanti alla fattoria La Maru­chelle, nelle campagne di Saint Faizent, nel nord della Francia, non c'è nemmeno il tempo di dare un'occhiata a quel casamento triste e lugubre nell'aspetto esteriore.
I loro affari permettono forse di vedere il por­tale, di legno sbrecciato, che resiste ancora alle intem­perie ed ai venti della pianura. E forse qualcuno, più osservatore e meno concentrato degli altri nelle pro­prie faccende, riuscirà anche a vedere la pompa del­l'acqua arrugginita, o il selciato in più punti divelto, o i muri scrostati del piano terreno, sul quale i bam­bini si erano divertiti a disegnare pupazzetti impos­sibili, o frasi senza significato.
Nessuno, però, se non vi è proprio attratto per un caso fortuito, riesce ad alzare gli occhi fino al primo piano, fino alle finestre consunte dal tempo. Là, lo sguardo si fisserebbe attonito e sbigottito, in­chiodato come quelle assi messe in croce che sbarrano in qualche modo gli occhi stanchi e tristi delle fine­stre inutili. Perchè, si chiederebbero forse i più cu­riosi, hanno sbarrato quelle finestre? Cosa è successo dunque là dentro per proibirne l'ingresso a tutti? For­se qualche grave pestilenza, qualche morbo infettivo che potrebbe contagiare la. popolazione dell'intera zona?
No, a La Maruchelle c'erano le streghe. Anzi, quella che conosciamo noi era una strega, una sola donna spiritata e malefica. Ma sufficiente per man­dare in rovina una famiglia e per consigliare i conta­dini a girare al largo da quel luogo sinistro.
Pensate, da quattordici anni nessuno é più entrato in quella fattoria. Le poche donne che vi passano da­vanti, si inginocchiano e si fanno il segno della croce per cacciare il diavolo, o forse per farsi coraggio. Gli uomini, che fingono noncuranza e che si professano assolutamente allergici alla superstizione, trovano però il modo, non visti, di volgere gli occhi altrove e di tentare un segno cabalistico, un qualcosa che possa sconfiggere il malocchio.
Il malocchio. Quanti sono in Francia quelli che ancora oggi credono nelle funzioni espiatorie, nelle magie portentose delle vecchie bacucche, nei filtri che esse propinano ai loro creduli clienti, i quali pre­tendono, dopo essersi sottoposti a questi riti inutili, di sentirsi cambiati internamente e di avere cacciato il diavolo dal corpo.
Oggi in Francia, come del resto succederà in chissà quante altre parti del mondo, si crede ancora nelle fattucchiere, nelle streghe, nelle loro magie divina­torie, nei loro sortilegi maledetti. E appunto per que­sta credulità, ci sono più vittime del necessario. Per­ché, pur di compiere quei riti che vengono suggeriti dalle streghe o dai maghi, non si esita ad uccidere, in preda a follia isterica, anche i propri simili.
Chi avesse tempo di fermarsi alla fattoria di nonno Pierre, a sette chilometri da La Maruchelle, e volesse bere un boccale di latte appena munto, avrebbe per­ciò la possibilità di sentire questa storia, affascinante e misteriosa, triste e paurosa allo stesso tempo. La storia vera de La Maruchelle e della sua strega; così, come l'abbiamo sentita noi, in una notte dello scorso inverno, quando ci trovammo a passare da quelle parti maledette, dimenticate da Dio e perfino dagli uomini. Una storia che potrebbe far accapponare la pelle ad una ragazza, ma che lascia allibiti anche gli uomini.
La stregoneria e la superstizione, piaghe inestin­guibili della provincia francese, hanno mietuto là dentro altre due vittime, due innocenti vittime, di nulla colpevoli se non di essersi ribellate ai voleri di una poveretta invasata, posseduta dal demonio e accecata dalle sue stolte credenze.
A La Maruchelle abitava la famiglia Guillemaux, composta dal capo famiglia, il vecchio e malandato Guilleme, da sua moglie Ida, una donna che ha lavo­rato tutta una vita per tirar grandi i due figli, Hen­riette, la figlia maggiore, stregata e « fatturata », il marito di lei, Robert, un contadino forte e ignorante, il quale stava a contemplare, tutte le sere, la sua don­na che faceva il gioco delle carte o si metteva davanti a delle immagini strane, quelle che avrebbero dovuto cacciare il demonio da quella casa. C'era poi il fra­tello minore di Henriette, Paul di diciotto anni, un ragazzotto di campagna perché aveva ancora la mentalità di un bambino, e si divertiva a giocare coi pezzetti di carta quando, la sera, tutti si ritiravano nelle pro­prie case, davanti al fuoco, a dire le orazioni o a raccontarsi le storie dell'epoca.
La guerra era passata anche da quelle abbando­nate contrade, ma non si era fermata. E non aveva portato distruzione e rovine. Forse è stato un male, perchè quella povera gente non ha avuto modo di capire che la vita, purtroppo, è diversa da quella che conducono loro, chiusa, introversa, fin troppo clau­strale. Ma Henriette, la figlia squalificata e demente, aveva portato sui congiunti il dominio delle sue cre­denze, e non ammetteva che qualcuno osasse ribel­larsi ai suoi voleri.
Ogni tanto, quando il tempo si presentava piut­tosto clemente e le serate si allungavano col tepore della primavera e col caldo afoso dell'estate, veniva a far visita a questa povera gente un vecchio anal­fabeta, un certo Francois Perriel, che nel circondario aveva fama di mago e di guaritore.
Henriette, quando il suo cervello non si appan­nava nelle elucubrazioni violente delle sue credenze, quando non si lasciava prendere la mano dalle stre­gonerie che albergavano nel suo forte corpo, era una grande lavoratrice. Lei andava nei campi con gli uo­mini, lei portava le fascine di legna fin sotto il por­tico, lei guidava i cavalli nel trasporto del raccolto o i buoi nel tracciare il solco fecondo. Ma aveva il difetto di essere tremendamente superstiziosa. Ogni evento della giornata, bello o brutto che fosse, ogni fatto che poteva accadere nel suo lavoro quotidiano, per lei era legato alla fortuna od al malocchio. Non c'era via di scampo. Tutto quello che succedeva alla fatto­ria, secondo la sua scarsa intelligenza, era frutto del bene o del male, a seconda che portasse piacere o disperazione.
Non aveva mai avuto tempo per pensare all'amo­re; forse era diventata donna senza accorgersi. Sol­tanto Robert, il marito, l'aveva vista ed aveva voluto sposarla, così, senza nemmeno volerle bene. Era un giovane solo, senza famiglia, e per lui era stata una fortuna conoscere Henriette.
Però, mentre prima le cose andavano abbastanza bene, e si viveva, a La Maruchelle, discretamente, ora i tempi erano cambiati. I raccolti si erano fatti sem­pre più magri, per colpa della pioggia che non voleva saperne di irrorare quelle terre secche e aride, gli animali deperivano a vista d'occhio, perché il fieno non era più tanto buono come prima e la paglia, a lungo andare, faceva male. Anche la vigna aveva cominciato a dar uva scarsa e con poca gradazione, e i vitelli, quelli che riuscivano a nascere vivi, sembra­vano scheletriti e non fiorivano come si sarebbe voluto. C'era insomma tutta una situazione di miseria e di disperazione. E in quella situazione, Henriette domi­nava la scena, con le sue credenze.
Un giorno la donna, convinta di trovarsi di fronte ad una maledizione, chissà da chi scagliata, decise di far venire il vecchio guaritore e l'implorò di libe­rare la casa e tutta la famiglia dal malocchio. Anzi. ella fece il nome di una vicina, una donna di mezza età che abitava a qualche centinaio di metri, in una stamberga, colpevole, secondo lei, di avere imposto sul podere dei Guillemaux, una « fattura ».
Il vecchio si fece raccontare minuziosamente i fatti da Henriette, dimostrando, durante il racconto, di concentrarsi in atteggiamenti spiritati; quindi, allor­chè seppe tutta la storia che travagliava Henriette ed i suoi cari, trasse da una bisaccia lurida e sporca un barattolo, nel quale egli aveva nascosto ben 14 doni di Dio.
« In questo barattolo - disse poi con aria tronfia e con occhi sbarrati -  troverai una specie di sale rosso. Sarà la tua salvezza, o donna, perché quando avrai bisogno di scacciare il malocchio, non avrai a far altro che distenderlo sulla tavola della cucina, e leccarlo tre volte, dicendo le parole che ti insegnerò. Procura che tutti gli altri membri della tua famiglia seguano il tuo esempio, e vedrai che il demonio sarà allontanato per sempre da queste contrade, e tornerete a vivere come prima, con la benedizione di Dio e senza le prospettive di una terribile carestia, come quella che si sta delineando per voi ».
 Queste parole, furono come il Vangelo per la po­vera e ignorante Henriette. Quando il vecchio se ne fu andato, coi suoi stracci e con le sue credenze, ella apparve contenta. Finalmente avrebbe potuto com­battere ad armi pari col diavolo, finalmente avrebbe potuto vendicarsi sulle manovre della vicina, l'unica colpevole di tutte le sciagure che si andavano accu­mulando in quella casa.
La mattina seguente, quando il sole non era ancora comparso all'orizzonte, e la terra stentava a prendere il suo aspetto naturale, Henriette era già nella stalla per mungere le poche mucche che erano rimaste, e che davano un latte piuttosto scarso. Quando Henriette ebbe finito il suo lavoro, e si attardò a guardare il secchio del latte che aveva messo vicino alla porta della stalla, trasalì e si addossò sbigottita alle pareti. Nel secchio le era apparso il viso sogghignante della vicina di casa, di colei che aveva scagliato la maledizione su La Maruchelle ed i suoi abitanti. Henriette, al col­mo dell'ira, diede un calcio al secchio, e il latte si sparse sul letame e sulla paglia, compiendo uno strano miscuglio. In preda a grande nervosismo, Henriette si avvicinò al vitellino che era nato tre giorni avanti, per vedere se tutto era in ordine. Sembrava dormisse, invece era morto. Henriette cacciò un urlo, uscì dalla stalla come una forsennata, e, con quanto fiato aveva in gola, si mise a gridare:
« Il demonio, il demonio ha ucciso il vitellino! La casa nostra è stregata! Il sale! Dov'è il sale?! ». 
Come una forsennata piombò nella sua fredda camera, ove il marito e il figlioletto di quattro anni stavano ancora dormendo. Si avvicinò al cassettone e ne trasse il barattolo che il vecchio mago le aveva consegnato qual­che giorno addietro. Guardò quel barattolo con gli occhi sbarrati e se lo strinse al petto, come fosse la sua unica arma di salvezza.
Poi obbligò tutti a vestirsi, e li fece scendere in fretta e furia. Bisognava far presto, non c'era tempo da perdere, altrimenti il demonio avrebbe compiuto qualche altro misfatto. Quando tutti furono presenti, Henriette cominciò le sue strane litanie, a base di parole incomprensibili e senza senso. Aveva un aspetto truce quella donna, sembrava veramente posseduta dal demonio.
Gli altri, il  padre Guilleme, la madre Ida, il fratello  Paul assistevano  sbigottiti a quel rito pagano, senza osare minimamente di intervenire presso Hen­riette, dissuadendola dal compiere simili profanazioni. 
Pian piano, però, con una macabra regia, Hen­riette riuscì a convincere i familiari della validità di quella strana formula e del magico potere di quel sale rosso che giaceva, sparso, sul tavolo bianco della vecchia cucina. Anch'essi, spinti all'orgasmo dai segni cabalistici della donna, si sentivano convincere, anche se ceravano di nascondere questa loro debolezza la­sciandosi scappare, di tanto in tanto, un risolino nascosto.
Soltanto uno, forse il più intelligente della fami­glia, rimaneva scettico e dubbioso davanti a quella messa in scena, e seguiva con riluttanza le istruzioni della donna: era Marcel, il fratello minore, il giovane che si divertiva a giocare coi pezzetti di carta, mal­grado fosse alla vigilia di partire per il soldato. Quan­do Henriette, con gli occhi dilatati e l'iride gonfia, ordinò a tutti di leccare quel sale tre volte, Marcel sorrise di nuovo e si rifiutò.
« Tu sei d'accordo con quella vecchia strega - urlò Henriette dando in smanie - ci vuoi rovinare tutti, ma te lo farò leccare io quel sale! ».
Così dicendo, si avvicinò al ragazzo e gli chinò la testa fino al piano del tavolo per fargli toccare il sale con la bocca. Al contatto col sale, Marcel si alzò di scatto e sputò per terra, e fu appunto quello sputo che nel cervello di Henriette risuonava soltanto come un affronto e come una bestemmia da lavare immediatamente,  per non fare il gioco del diavolo, a pro­vocare la tragedia.
Come invasata, come posseduta da uno spirito ma­lefico di inaudita violenza, Henriette si appressò al fratello minore, gli prese la testa con ambedue le mani e, con la forza della disperazione riuscì ad abbassarla fino a quel sale ignobile. Ella lo costrinse a premere le labbra sul sale, sempre più forte, sempre più forte. Le sue mani erano diventate come tenaglie, il suo aspetto andava assumendo sempre più una contrattura muscolosa che faceva spavento. In quelle terribili mani era tutta la forza della disperazione di una donna che credeva nel valore assoluto dei maghi e delle streghe, e che voleva ad ogni costo compiere il rito di stregoneria che avrebbe scacciato dalla sua casa il malocchio.
Marcel boccheggiava, sotto la spinta di quella mor­sa tremenda, e lottava disperatamente per allontanare la bocca ed il naso dal piano del tavolo che stava per tramutarsi nel suo giustiziere. Ma Henriette aveva una forza tremenda, i suoi muscoli erano quelli di un uomo, la sua forza era decuplicata dall'esaltazione mentale e psichica. Si udì come un rantolo, come un grido di disperazione. Marcel tentò ancora una volta di buttarsi all'indietro, poi perse ogni forza. Henriette non accennò ancora a lasciare il collo del poveretto, e si ritrasse soltanto quando il giovane, privo di vita, si afflosciò sul pavimento.
Davanti ai familiari, attoniti e sbigottiti, stava il cadavere di un ragazzo di diciotto anni, ucciso perché si ribellava agli strani riti di una sorella demente e forsennata. Henriette, invece, aveva all’angolo della bocca il sorriso protervo degli infatuati, del posseduti dalla superstizione e dalla credulità.
La verità venne a galla ben presto, anche perchè Henriette non fece nulla per nasconderla. E del resto l'autopsia del cadavere del fratello parlava assai chia­ro: morte per strangolamento. Da quel momento, la popolazione della zona cominciò a girare al largo da La Maruchelle, la fattoria maledetta, nella quale, annichilita dal dolore e annientata dalla disperazione, la vecchia madre giaceva, incapace di rendersi conto della fine pietosa di suo figlio, e della pazzia stregata della figlia maggiore.
AI momento dell'arresto, Henriette non seppe dir altro che una frase: “ L'avevo sempre detto che su noi c'era il malocchio. C'era il diavolo in casa nostra, un diavolo cattivo e ribelle che ci avrebbe rovinato. Dio ha voluto che, quel mattino, il diavolo si fosse impossessato del mio corpo, spingendomi a compiere un delitto inutile. Forse, però, ora ci siamo liberati dal malocchio, e La Maruchelle potrà tornare ad essere quella di una volta. La carestia è finita per sempre, gli spiriti cattivi sono stati debellati. Mi spiace per mio fratello, ma non c'era nient'altro da fare! ”.
Non erano ancora finite le vicissitudini della fa­miglia Guillemaux. Quel morto, che avrebbe dovuto rasserenare l'ambiente e portare rinnovata felicità nella famiglia disperata, era soltanto l'inizio. La vec­chia Ida, qualche giorno prima di essere chiamata in tribunale per testimoniare contro la propria figlia  e contribuire quindi a farla condannare, si è uccisa. 
Aveva lasciato la vecchia casa di campagna e si era trasferita presso un cugino, per dimenticare, se possibile, la triste tragedia. 
Ma i giorni passavano, e nel suo cuore si andava accumulando una disperazione intensa e misera. Il suo pensiero era fisso sul povero figlio, vittima inconscia e inconsapevole di una sorella deviata. Non ha saputo resistere al dolore, ed ha pre­ferito andarsene per sempre, per essere vicina al ragazzo che non aveva saputo difendere da vivo.
Così, in tribunale, Henriette non si è trovata con­tro la madre, e i giudici, in considerazione del difet­toso cervello della donna, e giudicando che avesse agito in un momento di seminfermità mentale, l’hanno condannata a soli cinque anni di carcere, ed a tre anni di vigilanza in un istituto di cura mentale.
Così si è conclusa la tragedia de La Maruchelle, la fattoria sperduta nelle campagne del nord della Francia, ove passano soltanto frettolosi commercianti e qualche contadino che va in città, al mercato, per vendere i prodotti della terra. Ora, basta dare un'oc­chiata alla vecchia costruzione, per capire che è stata definitivamente abbandonata dagli uomini. La fami­glia Guillemaux è fuggita da quella casa di dolore, e qualcuno si è avvicinato per acquistarla. Ma quando è venuto a conoscenza dei fatti che si sono svolti in quel mattino di quattordici anni addietro, ha lasciato le trattative.
Ora la casa è stata chiusa, sprangata, le finestre sono state bloccate con assi incrociate e il vecchio portone, ammuffito e consunto, è stato sbarrato dall’interno. I vicini, i coloni della zona, non vogliono che il diavolo, annidatosi là dentro parecchi anni addietro, ne possa ancora uscire per fare del male altrove.
La stregoneria è ancora viva in Francia, e trova i suoi aderenti proprio nelle popolazioni isolate delle campagne, ove la civiltà stenta a farsi strada. Questa è la storia di Henriette, una giovane donna forte come un uomo, che ha ucciso inconsciamente,  posseduta dal demonio.