Un astronauta, impegnato in una missione su Marte, dopo una forte tempesta viene creduto morto e abbandonato. Ma l'uomo è ancora vivo e deve ingegnarsi per riuscire a sopravvivere.
Non è una novita che i film di Ridley Scott vengano accolti con eccessivo entusiasmo e ritenuti dei capolavori, andando ben oltre i loro meriti effettivi. Basta pensare a due tra i film più sopravvalutati degli ultimi trent'anni, Thelma & Louise e Il gladiatore. Accade anche con Sopravvissuto - The Martian. In questo caso però le stellette distribuite a mano bassa stupiscono meno. Non tanto perchè il film sia migliore dei precedenti, casomai per il semplice motivo che siamo ormai abituati a ogni iperbole critica (un altro caso incomprensibile riguarda l'unanime consenso nei confronti di un film italiano appena uscito di cui preferiamo omettere il titolo). Per quanto ci riguarda, continuiamo a pensarla come il compianto Enzo Ungari, che nel 1978 tacciò di "formalismo informe" I duellanti nel suo breve saggio «Settecento» (in «Schermo delle mie brame», Vallecchi 1978). Da allora il cinema del regista inglese non è cambiato molto, anche se Sopravvissuto poteva far ben sperare, dal momento che il meglio (Prometheus a parte) Scott l'ha dato proprio quando si è occupato di fantascienza (ma anche il fantasy Legend e i polizieschi/noir Chi protegge il testimone e Black Rain - Pioggia sporca sono da rivedere con occhio attento). Il problema è che non è più tempo di Alien e tantomeno di uno sceneggiatore anarchico come Dan O'Bannon (e di un produttore come Walter Hill eccetera). Qui l'autore dello script (tratto dal romanzo L'uomo di Marte di Andy Weir) è Drew Goddard, responsabile di varie serie televisive. Quindi tutto deve concludersi per il meglio. L'idelogia di base è quella dello slogan Yes We Can, con cui l'ottimismo iper-lucido e high-tech del regista può andare a nozze. Va bene che le riflessioni filosofiche alla Tarkovskij non vanno più di moda, però da un film su un uomo rimasto solo su Marte ci si aspettava qualcosa di più coraggioso e meno allineato. Invece si vira su una presunta commedia fantascientifica: lo era anche Il Dottor Stranamore, attraversato però da uno spirito corrosivo che Sopravvissuto nemmeno riesce a sfiorare. Purtroppo la formazione pubblicitaria (e televisiva, dopotutto) di Ridley Scott è sempre lì, in agguato. Se ne desume l'imprinting in ogni inquadratura, in ogni situazione (sintomatica, seppur apparentemente marginale rispetto all'evolversi della narrazione, l'abitudine del protagonista di mangiare le patate con il ketchup). Il linguaggio pubblicitario, che deve essere sempre rassicurante e coinvolgente (oltre che visivamente suadente, ovvio), determina tutta una serie di scelte. A cominciare da quella che dà il tono all'intero film: raccontare la solitudine (non solo metaforica, ma reale) con così tanti personaggi (la maggior parte fastidiosi, tra l'altro) da non far mai sentire davvero solo il protagonista, e con lui lo spettatore. Se ci si fa caso, varie inquadrature della parte ambientata alla Nasa sono sature di figure, in evidente contrasto con le immagini marziane. Ciò non toglie che alcune sequenze siano memorabili. Una in particolare è girata e montata (da Pietro Scalia) straordinariamente bene. Ed è curioso che ricordi quella dell'arrivo di Floyd sulla base lunare in 2001: odissea nello spazio (ma sia chiaro, Kubrick è lontano anni luce). Si può persino pensare che Scott abbia voluto omaggiarla e nello stesso tempo dissacrarla concettualmente: infatti al posto del nobile valzer di Strauss c'è una hit della disco-music, Don't Leave me This Way (un segno dei tempi? il tentativo - abbastanza patetico - di rendere ancor più digeribile un'opera che, nella sua essenza, avrebbe potuto non essere facilmente fruibile o addirittura ostica?). In sostanza, sfrondandolo di personaggi e situazioni inutili, avrebbe potuto sfiorare il capolavoro. Così, è solo un'occasione mancata.
a cura di Roberto Frini