Un gruppo di rapinatori, di cui fanno parte due poliziotti, vengono ricattati e costretti dalla mafia russa a compiere un colpo impossibile. Per riuscirci, decidono di ricorrere a uno stratagemma, denominato Codice 999, che distragga le forze dell'ordine: uccidere un agente.
Ormai è consuetudine leggere che le serie tv (americane) sarebbero meglio del cinema (americano) e che, di fatto, lo starebbero soppiantando nei gusti del pubblico (non solo americano). La sensazione però è che le serie tv (americane) siano meglio del cinema (americano) semplicemente perché il cinema (non solo americano) attraversa una crisi d'identità che pare irreversibile. Ne sono la prova soprattutto i film d'intrattenimento, che siano thriller o commedie, generi nei quali la defunta Hollywood si è sempre distinta alla grande. Almeno fino a venti, trent'anni fa: per quanto riguarda le commedie, basta dare un'occhiata al penoso Nonno scatenato, in questi giorni nelle sale italiane, e si capirà il livello a cui è giunto il tracollo artistico. Codice 999 non fa eccezione e conferma ancora una volta il basso profilo di quasi tutti i polizieschi americani recenti. Piacciono i rari momenti di autentica suspense (la scena nell'ascensore, ad esempio), alcune trovate ultra-violente, un paio di ambientazioni e l'idea su cui si regge l'intera sceneggiatura, quella del codice 999 (il poliziotto a terra, stratagemma che permette di effettuare una rapina distraendo un intero corpo di polizia). Ma insomma il resto è paccottiglia, e nemmeno presentata in confezione extra-lusso. Trattasi di roba vista e stravista, con una sceneggiatura rappezzata, personaggi poco definiti (brutto segno quando per conferire un minimo di umanità a qualcuno lo si fa stare in pena per un bambino) e dialoghi che non vanno da nessuna parte. Come se non bastasse, le sequenze che dovrebbero risultare tese e spettacolari sono girate senza i fondamentali senso dinamico e dello spazio. La rapina in banca iniziale, da questo punto di vista, è sintomatica: poche nella storia del cinema sono state realizzate peggio. Nessuno s'aspettava dal regista australiano John Hillcoat (sette lungometraggi e molti video-clip all'attivo) una messa in scena all'altezza dei migliori titoli americani, che la visione di Codice 999 inesorabilmente riporta alla memoria (da I ragazzi del coro di Aldrich a Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, da Driver - L'imprendibile di Walter Hill a Il cattivo tenente di Abel Ferrara, da Colors di Dennis Hopper a Strade violente di Michael Mann, da The Untouchables - Gli intoccabili di De Palma a L'anno del Dragone di Cimino a Black Rain - Pioggia sporca di Ridley Scott). Però manca totalmente un'idea di cinema che sappia riproporre in maniera inedita meccanismi narrativi usurati, e anche il coraggio di andare fino in fondo latita. Nonostante le immagini truci, dense di un'oscurità opprimente che non sembra lasciare scampo e il realismo (fasullo?) di certe situazioni, alla fine i buoni sono buoni e i cattivi vengono puniti (che poi bisognerebbe anche riflettere sull'ambigua scelta dei buoni e dei cattivi). Ripensando a Codice 999, torna in mente un consiglio dato da Robert Altman al neo-regista Alan Rudolph: “Non girare film di inseguimenti”. Che equivaleva a dire: evita di girare film d'azione. Erano altri tempi e la filosofia di Altman andava in una direzione oggi sempre meno praticata. Ovviamente è utopistico sperare in un ritorno del cinema d'autore anni Settanta, però che almeno nel nostro cervello risuoni inesorabile un'aggiunta alla frase del regista di Nashville: “Se non lo sai fare”.
a cura di Roberto Frini