Il mio amico Peppe Zullo di Stefano Simone

Chi è Peppe Zullo? Un famoso cuoco? Un imprenditore di successo? Un uomo con alle spalle una vita piena di sacrifici, ma anche di tante soddisfazioni? Difficile scegliere la giusta definizione. Anche perché, in questo caso, l’istrionico chef sembra incarnarle tutte quante. 
Ci pensa allora Stefano Simone a descriverlo, con il suo primo documentario, dedicato appunto a quello che ormai si può definire il Signore di Orsara di Puglia, uno dei simboli dell’eccellenza italiana, padrone della meravigliosa tenuta in campagna che è sede del suo ristorante omonimo. 
Esordio assoluto nel campo del documentario per il regista di Manfredonia, ma di certo non la sua prima volta dietro la macchina da presa. Simone affronta infatti una sfida così complessa affidandosi alla sua ormai quasi decennale esperienza da film maker, riuscendo brillantemente a superare gli ostacoli e le piccole “trappole” che un lavoro come questo si porta inevitabilmente dietro. Innanzitutto l’intelligente scelta di mettere al centro il “racconto nel racconto”, con protagonisti i due intervistatori di Peppe Zullo che spiegano alla loro giovane amica – in un’informale chiacchierata al bar – come si è svolto l’incontro con lo chef, con il documentario che diventa quindi il grande flash back della loro gita ad Orsara. E poi soprattutto la coraggiosa scelta di non cadere nella fortissima tentazione di incentrare tutto il lungometraggio sulla preparazione dei piatti e sull’insopportabile tendenza, da qualche anno a questa parte, – soprattutto a causa del proliferare incontrollato delle trasmissioni TV a tema – a mostrare le abilità culinarie del cuoco di turno, in un insopportabile turbine di nozionismo visivo, quello sì, difficile da digerire. Nel documentario di Simone è invece Zullo a parlare (la dialettica certo non gli manca), e ad emergere sono soprattutto le sue idee, la voglia di fare, di mettersi in gioco. I ricordi di una vita passata a lavorare in giro per il mondo, ricordi che si fanno reali grazie all’evocazione di sapori, di ingredienti e di autentici legami umani con la gente del posto. Simone dedica a Zullo tutto il tempo necessario, affinché nulla venga messo da parte, perché ogni ricordo di vita è un mattone che sostiene il suo grande lavoro nel tempo presente, fatto di semplicità e tradizione. 
Simone impone uno stile asciutto, libero da inutili fronzoli e molto diretto, proprio come il protagonista che sta descrivendo. Macchina fissa quando Zullo parla al tavolo; macchina a mano quando si esce a vedere il suo Orto dei Miracoli; luci naturali quando si scende nelle immense cantine (un po’ più di luce in effetti non avrebbe guastato). Il documentario di Simone non scende a compromessi, insomma, anche se un po’ più di cura nell’omogeneità del sonoro avrebbe innalzato di molto la qualità del prodotto (stride molto la differenza tra il sonoro in presa diretta della conversazione al bar con quello dell’intervista allo chef. Probabilmente una scelta, che, a mio parere, andava meglio ponderata e gestita). 
Unica pecca, le musiche di Auriemma che questa volta non riescono a sostenere come dovrebbero l’impianto documentaristico di Simone. Troppa enfasi nelle sequenze dedicate alla realizzazione dei piatti; troppo marcati gli altri temi, a dire il vero ai limiti del macchietti stico.
In generale una buona prova di Simone che, a mio parere, visto il positivo esordio, dovrebbe continuare la ricerca e la sperimentazione nel difficile e insidioso campo del documentario.
   
Voto: buono
   
a cura di Giorgio Mazzola