Them dei Presence

Con Them, i Presence riaffermano la propria abilità nel fondere sonorità oscure e suggestive, trasportando l’ascoltatore in un viaggio sonoro intenso, fatto di ombre e emozioni contrastanti. Attivi fin dalla fine degli anni ’80, i Presence si sono distinti con un’identità sonora originale, mescolando progressive sinfonico e sfumature dark e gotiche per creare un’atmosfera intensa e coinvolgente che sfida i canoni tradizionali del genere.

L’album si apre con “The Undead”, che affronta il fluire inesorabile del tempo attraverso note malinconiche ed evocative, dipingendo un paesaggio crepuscolare dove passato e oscurità si fondono. La voce di Sophya Baccini, profonda e toccante, trasmette una vulnerabilità intensa, catturando il tormento di una vita che sfugge lasciando solo memorie sbiadite. Con “Aftermath”, il tema delle scelte di vita emerge attraverso un intreccio di chitarre incisive e tastiere inquietanti, creando una texture sonora ricca e stratificata che esplora le complesse sfaccettature delle esperienze umane.

Il brano strumentale “Dans.e Macabre” è un’ode alla misteriosità della morte: il flusso delle tastiere disegna un paesaggio oscuro, invitando a un “valzer delle ombre” dove vita e morte si incontrano in un abbraccio inquietante. Con “To Each Other”, i Presence affrontano il ciclo di sofferenza della guerra, accompagnato da effetti sonori che richiamano il cinema. Questa traccia coinvolge l’ascoltatore in un’esplorazione della natura umana e della sua propensione al conflitto, una riflessione amara sull’inevitabilità della sofferenza.

“Them”, la title track, si erge come una suite monumentale che mescola influenze di Stravinsky e Berg con un’esplorazione dei sentimenti di gelosia e invidia. Le melodie tensive accompagnano un viaggio interiore attraverso le zone oscure dell’animo umano, dove l’invidia si trasforma in una forza distruttiva. “Drawbridge 1501” trasporta chi ascolta in un’atmosfera medievale attraverso vocalizzi eterei che risuonano come un canto ammaliante, sospeso tra sogno e realtà. “Stige”, secondo brano strumentale dell’album, dà risalto alla potenza delle chitarre, dipingendo scenari di mistero e introspezione attraverso intrecci sonori profondi.

L’album si chiude con “If You Dare”, una riflessione sulla capacità di affrontare l’ignoto. La voce di Baccini si eleva in un crescendo di intensità, trasmettendo una sfida e un messaggio di resilienza in un mondo dominato dall’oscurità. Them è più di un album: è un viaggio nelle profondità dell’animo umano, un’esplorazione sonora che invita chi ascolta a perdersi e a ritrovarsi in un labirinto di emozioni e riflessioni. I Presence hanno realizzato un’opera che, con il suo fascino oscuro, continua a risuonare nel profondo.

Tracklist
1. The Undead
2. Aftermath
3. Dance Macabre
4. To Each Other
5. Them
6. Drawbridge 1501
7. Stige
8. If You Dare

Line up Presence: Sophya Baccini voce solista, cori / Sergio Casamassima chitarre, basso / Enrico Iglio tastiere, sintetizzatore, percussioni.

A cura di Cesare Buttaboni



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Spellbound di Francesco Napoletano

[…] Anche con gli occhi chiusi, si conosce più nel sonno che nella veglia. […]

Spellbound è un fumetto ad opera dell’artista Francesco Napoletano, in arte hearterEXrose, pubblicato sotto il marchio Racconti dal Profondo.
In questo volume illustrato, in cui la sperimentazione grafica si fonde armoniosamente con una narrazione dallo stile cinematografico, l’artista ci conduce in un’esperienza visionaria che oscilla tra sogno e realtà.
Credo molti di noi, almeno una volta, hanno sognato di varcare una soglia che li ha condotti verso un mondo remoto o banalmente verso un abisso di orrore.
Spellbound è un labirinto sensoriale, un viaggio ai confini della realtà dove sogni e incubi si intrecciano in un vortice di immagini. Siamo spettatori di una mente che vaga tra mondi paralleli, sospesa tra il bianco e nero della lucidità e le tinte vibranti dell’inconscio. Un’esperienza che invita a perdersi, a lasciarsi trascinare in un flusso di emozioni e sensazioni, senza cercare risposte, ma semplicemente godendo della bellezza del mistero.
Posso trovargli un difetto? Un’altra decina di pagine in più, ma io sono un ragazzo goloso.
Oltre al fumetto, troverete alcuni sketch molto belli, e una storia, denominata Novella malefica: un elogio al potere evocativo della parola, un invito a confrontarsi con l’inconscio e con la natura. Si tratta di un testo per lettori disposti a lasciarsi trasportare da un flusso di immagini e simboli, più che da una narrazione lineare. Il testo affronta temi esistenziali come il desiderio di tornare alle origini, la nostalgia, il rapporto con la natura, e il senso di smarrimento. L’idea del mare come crogiolo di memoria e trasformazione è potente e ben sviluppata

L’AUTORE
Francesco Napoletano (nato nel ’95 in provincia di Roma) è un artista indipendente italiano. Specializzato in studi di grafica e pittura, dal 2020 lavora sotto lo pseudonimo “heatherEXrose” portando avanti un progetto artistico totale, comprendente la commistione tra pittura, fumetto e poesia di ispirazione modernista. La sua missione come creativo è quella di sondare le profondità della coscienza e dell’esistenza attraverso un atto creativo che è in sé medianico e spirituale. La sua opera ha figurato in varie mostre collettive ed eventi culturali in Italia; ha pubblicato un artbook intitolato “FRAGMENTS” nel 2023, e nello stesso anno una breve raccolta di versi: “Lord Pierrot”, entrambi in edizione limitata. Nel settembre 2024 pubblica (con l’etichetta “Racconti dal Profondo presenta”) il suo primo racconto a fumetti: “SPELLBOUND”.

Spellbound
Autore: Francesco Napoletano
Editore: Independently published
Collana: Racconti dal profondo
Pagine: 74
ISBN-13 : ‎ 979-8335437387
Costo: 12,73€

A cura di Flavio Deri



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Il terzo occhio di Satanael di Dorothy St. Cross

L'improvviso il sole si spense, nel cielo, e il freddo calò sulla terra. Col buio glaciale e terrificante.

Alcuni lampi furiosi squarciarono l'aria, ma nel cielo (che solo pochi attimi prima era limpido) non s'erano addensate le nubi.

La lingua di fuoco strepitò ancora e guizzò alta, quasi a squarciare la tenebra improvvisa.

Un grido si alzò dalla folla muta.

« Dalle la vita, Satana, dalle la vita! ... ». Disse la voce tenebrosa e la folla fremette...

Una risata glaciale partì dalla lingua di fuoco, dal rogo eretto dal popolo a Welda, la donna maledetta.

Poi il fuoco si spense.

Le catene si spezzarono e le braccia della strega si alzarono al cielo.

« Maledetti! Maledetti!, gridò Welda; il mio Signore vi distruggerà... ».

La folla era atterrita: le donne s'erano gettate a terra, strappandosi i capelli e urlando...

Mentre gli uomini fuggivano, cercando di trascinarle. Ma esse parevano attaccate a quella terra, che le reclamava...

« Maledetto! », gridò Welda agli occhi glaciali di Thomas Ravel, l'inquisitore.

Ma Thomas assisteva immobile alla scena.

I suoi occhi freddi non parlavano, nè potevano dire più della loro sete di sangue, della loro bramosia di cieca, terribile giustizia...

Quante streghe avevano salito il rogo dell’inquisitore Thomas Ravel? Duemila?... Tremila?... Non lo sapeva. Ma quante erano state, tante erano anche le terribili maledizioni a lui, a Thomas Ravel.

Il fuoco aveva sempre fatto tacere le grida... La morte aveva sempre detto l'ultima parola.

Ma il cielo non si era mai oscurato, nè le catene s'erano spezzate... nè il fuoco s'era spento... Nè la vita, il trionfo del male, aveva detto l'ultima parola.

Una maledizione che era anche una sfida. Welda, la sua ultima vittima, era incolume. E la minaccia terribile dei suoi occhi, e delle sue mani protese, giungeva a lui...

Thomas Ravel alzò la mano destra e disegnò nell'aria un segno di croce. Si udì una risata terribile, ancor più lacerante...

E Thomas Ravel cadde al suolo. Mentre il cielo tornava sereno.

***

Era un nuovo giorno. Sulla piazza, miste alla fanghiglia che la pioggia vi aveva depositato nella notte, le rimanenze dei tizzoni e della cenere. II rogo era tutto consumato lì...

Thomas Ravel aprì con violenza le persiane e si fece alla finestra. Le strade erano semideserte, le porte e le finestre erano serrate.

Il silenzio stava passando per la piazza.

L'occhio di Thomas Ravel fu al centro della piazza, sul groviglio di cenere e fango.

Cercò di rammentare. Si portò le mani alle tempie e cercò in se stesso.

Poi, con gli occhi sbarrati, rammentò.

Trattenne a forza un grido di terrore. Non poteva essere:.. Non poteva credere... Sentì le tempie battergli forte, con impeto...


S'avvolse nel mantello e scese. Incontrò il maggiordomo sulle scale.

- Che è accaduto ieri, Otto?... Che è accaduto...?

Il maggiordomo lo guardava esterefatto. In tanti anni, tantissimi anni, non aveva mai visto il suo signore, l'inquisitore Thomas Ravel, tanto sconvolto.

- ...Siete svenuto, monsignore... E i domestici vi hanno portato al palazzo...

- Sono svenuto, sì... Ma... cosa è accaduto... prima...

- Prima, monsignore, - il vecchio maggiordomo teneva la testa abbassata; - non è accaduto nulla di particolare... C'è stata l'esecuzione di quella strega e...

- E cosa è accaduto?

- Nulla, monsignore. Il fuoco ha fatto giustizia, come sempre. Solo che voi siete improvvisamente svenuto...

Thomas Ravel lo fissava.

Poi, con uno scatto improvviso, lo colpì al volto, violentemente.

- Cane, tu menti! gridò, e si precipitò giù per la scalinata, con tanta furia che per poco non cadde.

Alle sue spalle, quasi echeggianti il ritmo dei suoi passi furiosi, si ripercuotevano i tonfi del corpo di Otto che esanime precipitava.

Fuori era freddo, del freddo proprio di un cielo sereno ma distaccato, lontano dall'ansia degli uomini.

Thomas Ravel si precipitò al centro della piazza.

Schiacciò col calcagno i tizzoni spenti del rogo e si guardò attorno, con furia.

- Strega maledetta, imprecò, maledetta Welda, dove sei?... Vieni, vieni e mostrati, se hai coraggio, figlia di Satana!

Le sue grida si ripercossero fredde sui muri grigi delle case basse che limitavano la piazza.

Si udì un profondo boato, e le grida dell'inquisitore furono coperte... Nessuno era attorno.

E nessuno vide.

Ma Thomas Ravel al suolo, morto. Indubbiamente morto.

***

Gli avvenimenti sono precipitati, e il ricordo di Welda, la strega salita al rogo di Thomas Ravel, l’inquisitore, è confuso nel tempo, nei due secoli che da allora sono trascorsi.

La brulla provincia di Normandia mostra le sue ossa, nelle pietre secolari che affiorano dal terreno arso, su cui cresce aspra la vite, dalla quale i contadini traggono ragione di lavoro e di vita. Gli anziani hanno scolpito nella mente la tradizione che i loro padri gli hanno tramandato, ma non parlano facilmente delle <cose> che essi solo conoscono e che hanno timore di narrare agli stessi figli.

Ma nella triste e brulla provincia di Normandia, al centro di una vasta rada piantata a viti, c'è una piccola città morta. Con dimore antiche di secoli, dimore tetre, abbandonate. Case patrizie accanto a dimore plebee.

***

Quando giunsi a X, stava calando la sera. Avevo l'indirizzo di mio cugino, che vi gestiva l'unica locanda-albergo. Per la verità un così lungo viaggio in provincia non mi entusiasmava, sia perchè il lavoro s'era accumulato sul mio tavolo, sia perchè non poteva in nessun caso trattarsi di un viaggio, di piacere.

La morte improvvisa di mio zio, avvenuta in uno strano incidente stradale, (oltre ad avermi occupato moltissimo nelle brighe legali dell'indennizzo assicurativo) mi costringeva ora a prendere contatto con questo mio unico cugino, in Normandia, per l'accomodamento delle pratiche ereditarie, che ci spettavano completamente e per evitare a qualche avvocato in vena di spennare, un improvviso interessamento a qualcosa che non risultava forse chiaro, soprattutto negli immediati e del tutto straordinari interessi comuni di cugini che non si conoscevano.

Non che mi interessasse molto la mia fetta di eredità (si trattava di terra e la terra, ben si sa, se non può servire a sfruttamento in campo edilizio, al giorno d'oggi non può meritare troppa considerazione) ma tenevo a che il mio nome, che era il nome di mio zio e di mio cugino, non venisse turpamente coinvolto in eventuali manovre speculative.

***

Fu così che giunsi a X, che stava calando la sera.

Non mi fu difficile rintracciare la locanda e vi giunsi con la sola indicazione di un curioso sfaccendato, che incontrai, sdraiato nel bel mezzo della carreggiata a sassi, all'ingresso della cittadina.

« Il Signor Ravel? - disse -; non dovete andare lontano, amico: il suo albergo è l'unico, in paese. Ve lo troverete di fronte, non appena sarete nella piazza. Proseguite tosto, in quella direzione. E buona fortuna...».

« Buona fortuna a voi, signore... ». Dissi. Ma il mio consigliere non era più lì. La strada era deserta. E non c'era anima viva. D'intorno era brullo e l'occhio poteva spaziare sino all'orizzonte, da una parte, e dall'altra sino alle ancora lontane case della cittadina.

II mio interlocutore era svanito.

Scossi la testa e imprecai al gin, che avevo sorseggiato abbondantemente, nel lungo cammino, sulla mia Ford di modello antiquato.

E mi convinsi che avevo sognato.

Anche se poco dopo, seguendo le indicazioni del « sogno », mi ritrovai in una larga piazza, deserta e fangosa. Al mio cospetto s'alzava, attaccata con ferri a una vecchia abitazione, una targa: « Locanda della Strega ».

***

E poi quell'uomo uscì e si fece innanzi. Pareva l'antro dell'inferno, quell'uscio di legno intarsiato, troppo bello e troppo raro per una modesta locanda di campagna.

- Buongiorno, dissi.

- Buongiorno. Mi chiamano Sebastian Ravel, sono il padrone della locanda.

- Felice di conoscervi, Sebastian. Io sono Thomas Ravel, vostro cugino.

- Thomas?

L'espressione buia che gli solcò il volto, per un attimo, mi colpì.

- Sì, Thomas, vostro cugino.

Tacque ancora.

- Che siete venuto a fare, azzardò con una domanda troppo impacciata; che siete venuto a fare, cugino?

Indubbiamente l'accoglienza non era delle migliori.

- Innanzitutto, dissi, vorrei un poco ristorarmi del lungo viaggio e pensavo che la vostra locanda potesse accogliermi...

- Che siete venuto a fare?

Ora la sua voce era dura, ostile.

- Cugino, io...

Con la grossa mano alzata spazzò il vento, Sebastian, in un segno di collera.

- Io non ho cugini, quando questi si chiamano Thomas Ravel... Che siete venuto a fare?

- Non comprendo la vostra ostilità, io... Sono venuto per la morte dello zio, per la questione della eredità.

- Non voglio sapere nulla, signore: potete voltare e rifare tranquillamente la vostra strada. Vostro zio non era mio zio. Io non ho più nulla da spartire con i Ravel, razza maledetta...

- Come osate?

- Come osate voi presentarvi qui: in questa terra che i Ravel hanno distrutto, presso questa gente che vi odia, anche se ha accolto me non come un Ravel, ma come uno di loro... Andate, e il più lontano possibile, signore. Il nome dei Ravel non è gradito da queste parti. E tantomeno un Thomas Ravel.

E’ stato vostro zio a imporvi quel nome?...

Non attese una risposta.

- È stato lui. E ora le sue ossa sono nido delle serpi. Andatevene, razza maledetta...

Lo guardai insistentemente, sbalordito.

- Voi siete pazzo, cugino. E io non so che diciate... Vi basti che non raccolgo le vostre offese perchè non posso considerarle... Siete pazzo.

Sul suo volto restava insistente quell'ombra.

E mi parve che avesse qualcosa di terrificante. Forse veramente quell'uomo che io consideravo cugino ma che aveva così barbaramente ripudiato la mia famiglia, nascondeva qualcosa.

- Non so, ripresi, più calmo, perchè l'abbiate tanto con me e con la mia famiglia, cugino (debbo chiamarvi così nonostante tutto) ma vorrei rassicurarvi circa le mie intenzioni. Io non sono venuto a farvi del male e voglio anche rispettare le vostre opinioni, per quanto possano essere offensive per me e il povero zio... -

- Il povero zio... - rise di una risata isterica, cattiva; - il povero zio: quel vampiro!...

***

Un vampiro!... Cose dell'altro mondo. E mio cugino diceva così di mio zio, un uomo riservato, è vero, parsimonioso, è altrettanto vero, ma non certo... Eppure, poche ore dopo, nel camminare pensoso, lungo una strada polverosa e scarna, delimitata da siepi assetate, per quella contrada che mi era tanto ostile, mi convinsi che l'affermazione di mio cugino intendeva nascondere qualcosa. E che le sue parole non potevano essere solo dettate da un vecchio rancore verso lo zio e nemmeno celare l'accusa di vampirismo all'ombra d'una diceria che voleva il mio povero congiunto quasi un succhiatore di sangue...

Ma nel senso finanziario, della cosa, nè più nè meno di un qualsiasi esattore delle tasse.

Stava calando la sera. E certo non potevo dire che bastassero le prime caute ombre a rinvigorire il verde della pianura e nemmeno a ristorare gli alberi strani, soffocati dalla polvere stagnante.

Il paese l'avevo lasciato alle mie spalle da un po' di tempo. Non lo scorgevo nemmeno, nel voltarmi, mentre continuavo a camminare con passo indeciso, sempre dritto per quel budello di strada, fino...

Beh, non lo sapevo dove stessi andando. E nel camminare mi ritrovai a considerarmi sotto una luce buffa. Io, Thornas Ravel, cacciato da un villanzone di cugino, a perder tempo per quelle strade polverose, mentre la sera stava calando... A perder tempo quando la missione, se missione poteva chiamarsi, era andata in fumo... E quando in città mi attendeva lavoro arretrato di mesi...

Le mie considerazioni si bloccarono di colpo.

Il sentiero era improvvisamente finito. Troncato come per conseguenza di una frana, mentre il terriccio polveroso si spaccava su di uno strapiombo che dava, paurosamente...

Paurosamente: la piccola valle mi colpì per il suo strano aspetto.

Terra rossiccia, macerie di rozze abitazioni seicentesche, nere per il fumo e il fuoco che avevano dovuto distruggerle... E gli sterpi, arsi e riarsi, assetati... Sotto quella luce che l'ultimo raggio del sole vi faceva precipitare, spaccando in due una improvvisa nube pesante, che era apparsa in quel momento.

Una città morta, distrutta da chissà quanto tempo, e abbandonata al suo destino, sfuggita dagli uomini.

Volli scendere dalla spaccatura del sentiero. Inciampai più volte, e più volte slittai sul terreno friabile, che si sgretolava.

Poi caddi. La terra mi entrò negli abiti, e mi dette fastidio, quasi ripugnanza. Mi girai su me stesso, a terra, e provai come un senso d'angoscia. Poi guardai là, in quel punto, là, dove...

Sì, era lui, lo stesso viaggiatore... Quello che avevo incontrato e che sorrideva, che mi aveva indicato il paese, poche ore prima... E che era svanito...

- Dovevate venire qui, disse la sua voce che non era la voce di prima.

- Dovevate venire qui, Thomas Ravel, ripeté. E' una legge inesorabile, quella del sangue, Satanael chiama le sue vittime e i suoi schiavi… Ed essi debbono correre... La strada è lunga, lo so, e lo sa anche lui, una strada di secoli, che viene percorsa nelle vene più che per i sentieri... Una strada che si chiama sangue... Una strada che porta a un solo luogo...

Una risata terribile e notai come il suo volto fosse contratto, demoniaco.

- Dovevate venire qui, riprese, dovevate venire all'appuntamento con Welda, Thomas Ravel... Lo sapete, aggiunse dopo un attimo di sospensione, lo sapete, se siete venuto qui, che lei non è morta... Lo sapete!

***

Nessuno.

L'immagine era svanita... Mentre l'eco di quelle parole terribili pesava ancora nell'aria. Guardai da quella parte, dove l'immagine si era formata per poi dissolversi nel nulla... Uno strano sentore, una nebbia leggera, rada. Mi avvicinai. Una strana colonna dorica, strana per quell'ambiente, forse in quel posto da secoli, ma forse impiantatavi da poco... Non recava tracce di fuoco... Era mozza e splendida, come l'arto d'un sublime poeta, spezzato dalla troppa forza dell’ingegno. E, sì, accanto a quella colonna... Sì, potevo toccarlo e palparlo, un velo di seta, lievissimo.

***

Pochi sprazzi di rosso sangue, nel cielo lavato, poi il tuono. La notte e la tempesta si sposavano, e il buio, pesante, cominciava a cadere. A cadere fisicamente, come per toccarmi e per avvolgermi nella sua pesante e opprimente coltre di terrore, in quell'atmosfera allucinante, che mi opprimeva sempre più e che, nel suo incomprensibile mistero, andava schiarendo alla mia mente il segreto di una antica responsabilità che ora sentivo.

Thomas Ravel, il mio nome... Mio cugino mi aveva detto maledetto per razza maledetta... Aveva detto vampiro di mio zio e ora... Ora il viaggiatore era tornato, per dissolversi, e per rammentarmi un appuntamento che ignoravo...

« Dovevate venire qui, dovevate venire all'appuntamento con Welda, Thomas Ravel... Lo sapete, lo sapete, se siete venuto qui, che lei non è morta... Lo sapete! ».

Welda... Un nome non nuovo, ma senza volto. Un nome che già avevo udito, con certa apprensione nella voce, dalle labbra di mio zio... Welda, la strega!

« Sì, la strega! ».

Quella voce. Quella voce dal buio. Rabbrividii. Quella voce veniva di là, dalla tempesta e dalla notte. Un lampo: e la terribile scena si rischiarò, mostrando le grinze di quel vecchio volto macerato di vecchia. Un volto senza corpo, con l'odio fissato negli occhi gialli, incavati nel buio delle pieghe cadenti, con l’urlo lacerante impresso nelle pieghe contratte della bocca...

« Sono io, Welda, Thomas Ravel... Sono passati trecento anni... Non mi riconosci? ».


NOTE
Racconti rari dell’orrore riscoperti da Sergio Bissoli. Uscito in 8 puntate su Terrore, mensile tascabile della Editrice Sansoni, dal giugno 1962 fino a gennaio 1963. Un piccolo gioiello di atmosfera, stile e trama. Dorothy St. Cross, autore completamente sconosciuto, forse pseudonimo e presumibilmente italiano; il suo nome comunque non è rintracciabile nei dizionari degli scrittori dell’orrore.



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Le opere pittoriche di Sebastiano Vilella

La corposa raccolta di oltre duecento opere dell’amato artista pugliese.

Nella sua carriera ultratrentennale, Sebastiano Vilella ha collaborato con le principali riviste di fumetto e pubblicato graphic novel di successo. Indimenticabile il personaggio del commissario Grimaldi, protagonista di molte sue storie disegnate.

Oltre che fumettista, Vilella è ancheun eccelso pittore e illustratore.

Più di duecento delle sue straordinarie opere sono ora raccolte nel volume «Sebastiano Vilella – Le opere pittoriche», pubblicato da Edizioni NPE, disponibile in tutte le librerie.

Opere realizzate con materiali diversi, come tempera, olio, inchiostro, grafite, e su supporti differenti, quali tela, carta, cartone, tra colori magnetici e affascinanti bianchi e neri.

Monumenti misteriosi, boschi primordiali, aurore boreali, paesaggi della catastrofe, viandanti solitari, figure idealizzate sono solo alcuni dei topoi dalla visionarietà insieme potente e sottile di Sebastiano Vilella. Oltre che nelle sue opere a fumetti, sembra che l’autore voglia continuare a condensare suggerimenti di narrazioni anche nelle opere pittoriche e grafiche.
«Il senso della mia pittura è piuttosto differente da quello dei racconti a fumetti, dove spesso ad evidenziarsi sono le tensioni emotive, le difficoltà delle relazioni interpersonali, la precarietà dei sentimenti e dove le atmosfere sono generalmente notturne, oscure. È come se con la pittura cercassi di controbilanciare quel senso di amarezza e di disincanto della vita reale che mi interessa raccontare con i fumetti. Con la pittura cerco una forma di maggiore astrazione e idealizzazione della forma e una esigenza di sublimazione della realtà».

Un viaggio tra simbolismo e modernità, dove l’arte si fa riflessione e sogno.

Sebastiano Vilella – Le opere pittoriche
Collana: Nuvole in tempesta
Numero in Collana: 43
ISBN: 9788836272556
Autore: Sebastiano Vilella
Formato: 210×297 mm, cartonato, colori, pag. 232
Dorso:  20 mm
Prezzo: 25,00 euro
Editore: Edizioni NPE


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Longlegs di Oz Perkins

Longlegs (Usa, 2024)

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Oz Perkins. Fotografia: Andrés Arochi. Montaggio: Graham Fortin, Greg Ng. Musiche: Zilgi. Scenografia: Danny Vermette, Trevor Johnston. Costumi: Mica Kayde. Produttore: Nicolas Cage, Dan Kagan, Brian Kavanaugh-Jones, Dave Caplan, Chris Ferguson. Produttore Esecutivo: Lawrence Minicone, Christian Parkes, Tom Quinn, Jesse Savath, Teddy Schwarzman, Jason Wald, Sean Krajewski, Laura Austin-Little, Fred Berger, Andrea Bucko, Jason Cloth, Liz Destro, Ronnie Exley, John Friedberg, David Gendron. Casa di Produzione: C2 Motion Picture Group, Saturn Films. Distribuzione (Italia). Be Water Film, Medusa Film.  Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America. Anno: 2024. Durata. 101’. Genere: orrore, thriller, poliziesco. Interpreti: Maika Monroe (agente FBI Lee Harker), Nicolas Cage (Longlegs/Dale Ferdinand Kobble), Blair Underwood (agente speciale FBI Carter), Alicia Witt (Ruth Harker), Michelle Choi-Lee (agente speciale FBI Browning), Lauren Acala (Lee Harker a 9 anni), Kiernan Shipka (Carrie Anne Camera), Ava Kelders (Ruby Carter), Jason Day (Sig. Camera).

Io sento il nome Nicolas Cage e già sono contento. È passato dall’essere un grande attore a un’icona del trash e un ibrido delle due cose. La sua stessa vita è quasi un film tra il drammatico e il comico. Inoltre il film è un horror, il mio genere preferito, come non approfittarne?

È difficile riassumere la storia rimanendo sul vago. Tutto ruota attorno a una indagine dell’FBI sulle tracce di un serial Killer che si firma “Longlegs”. L’agente Harker, sotto la guida del suo supervisore Carter, indaga anche in virtù di alcuni suoi, millantati e latenti, poteri psichici che le dovrebbero dare qualche intuizione in più. Questo anche perché gli omicidi paiono avere qualcosa di sovrannaturale dacché, in realtà, sono tutte stragi di famiglia dove un membro ne uccide tutti gli altri. Eppure ognuno di questi massacri ha in comune una data e una firma estrosa da parte di questo presunto mandante. Mano a mano che Harker si calerà nelle indagini scoprirà qualcosa di oscuro che ha radici profonde, forse nelle vite di ognuno dei partecipanti alla storia.

Perkis non è un regista molto noto, ma ha collaborato alla scrittura di molte opere acclamate (l’ultimo dei quali Nope, tanto per dirne uno). Dirige un horror disturbante, con tempi molto lunghi e un colore che spesso vira al seppiato. Tutto nel film è voltato al farlo sembrare particolarmente vecchio, contestualizzato agli anni ’70 nel quale è ambientato. La storia è interessante, ma lascia dei punti bui o semplicemente alla fine rende tutto fin troppo semplice (un po’ come in un fantasy dove la risposta a tutto viene riassunta in: “magia”). Il colpo di scena finale c’è e viene introdotto poco per volta, ma la vera causa non è così fenomenale. Cage è famoso per la sua recitazione sopra le righe e qui, nell’interpretare un serial killer psicopatico, sembra quasi contenuto. Non è che lo faccia male, anzi, ma gli abbiamo fatto/visto fare di peggio. Di contro la sua minutatura è abbastanza limitata.

Sebbene il film sia solido e intrattenga, ammetto che la noia dei suoi tempi morti non viene bilanciata da un finale così appagante. Avrei preferito un guizzo in più, addirittura uno spiegone più didascalico ancora. Peccato.

A cura di Marco Molendi





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Come leggere H.P. Lovecraft

Sei alle prime armi con Lovecraft? Ti affascina l’orrore cosmico? Vuoi iniziare a leggere le sue opere ma non sai da dove partire? Il Gruppo Telegram Lovecraft Italia è nato con l’intento di diventare il salotto letterario per gli amanti della cultura fantastica, fantascientifica e orrorifica, nota anche come Weird: strano, bizzarro, insolito.

Dopo un’attenta riflessione, è emersa l’esigenza di creare una guida dedicata, pensata soprattutto per i neofiti, per aiutarli a immergersi nell’universo del Sognatore di Providence.
Nella guida troverai: Consigli sui primi racconti da leggere, per scoprire gradualmente il mondo lovecraftiano.

• Un’analisi delle principali edizioni italiane, con i loro punti di forza e debolezza.
• Suggerimenti per approfondimenti, per chi desidera esplorare a fondo la complessità dell’opera di Lovecraft.

Per scaricare la guida e scoprire di più, clicca qui:
https://straniaeoni.blogspot.com/2024/12/leggere-lovecraft-guida-alle-opere-e.html



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Orrore e Deformità a “La Corte” di A.B. Lundra

[…] Voi, che prestate attenzione alle mie parole, non sentitevi criticati o giudicati. Il mondo non è altro che un’immensa realtà oggettiva colma di innumerevoli e variegate realtà soggettive; non voglio sminuire i vostri problemi facendo a gara tra chi ha subito i traumi più gravi. Voglio solo mettervi in guardia e, allo stesso tempo, sento la necessità di raccontare come io sia giunto in questo vicolo cieco […]

Orrore e Deformità a “La Corte”, di A.B. Lundra è una delle tante dimostrazioni di come il self publishing italiano vada tenuto d’occhio.
A cura di Stefano AlcamoStefano Stoppa e Airid Léo, arricchito dalla splendida copertina e illustrazioni di Domenico Vincenzo Venezia.
La storia segue il narratore, un giovane che, insoddisfatto della sua carriera alberghiera, accetta un’offerta di lavoro come maggiordomo presso una misteriosa tenuta chiamata “La Corte”. Fin da subito, il protagonista si trova immerso in un ambiente denso di tensione e inquietudine, segnato da regole bizzarre, presenze enigmatiche e un’atmosfera gotica che diventa sempre più opprimente. La narrazione esplora la progressiva scoperta degli orrori che si celano dietro l’apparente opulenza della dimora, fino a un climax in cui il reale e l’irreale si fondono.
Lo stile del racconto è profondamente evocativo e si ispira chiaramente alla tradizione gotica e horror psicologico. La prosa è ricca di dettagli, con descrizioni vivide che immergono il lettore in un mondo intriso di decadenza e mistero. La narrazione, in prima persona, riflette il graduale deterioramento della percezione del protagonista, creando un senso di inquietudine crescente.
L’uso di un linguaggio ricercato e di una sintassi complessa contribuisce a rafforzare il tono solenne e l’atmosfera oscura MA nonostante questo, la lettura è decisamente scorrevole e l’intromissione di una componente più moderna permette di spezzare un testo che altrimenti avrebbe potuto risultare più pesante.

Si percepisce una conoscenza e un amore per i Miti del Sognatore di Providence, tanto quanto una costruzione dell’atmosfera gotica e nella rappresentazione della decadenza fisica e morale alla Poe e, alcuni richiami a Shirley Jackson nel tema della casa come entità viva e simbolo di oppressione.
Il ritmo del racconto è volutamente lento e deliberato, in linea con la tradizione di questo genere. I capitoli iniziali pongono una grande enfasi sulla costruzione dell’ambientazione e della tensione psicologica, con una narrazione che si prende il tempo per introdurre ogni elemento perturbante. Questo approccio può risultare efficace per gli amanti di questa letteratura, ma potrebbe apparire pesante a un pubblico abituato a narrazioni più dinamiche.
La tensione cresce in modo graduale, con momenti di climax gestiti attraverso eventi enigmatici e suggestivi che lasciano il lettore in uno stato di incertezza.
L’opera eccelle nel creare un senso di angoscia e mistero. La descrizione della villa, dei suoi abitanti e delle regole bizzarre è inquietante e memorabile. Figure come Amadeus e il Barone Verri aggiungono strati di mistero e complessità alla narrazione.
La capacità di mescolare elementi di richiamo ai Miti, gotici e barocchi arricchisce l’immaginario del lettore.

L’AUTORE

A.B. Lundra è uno scrittore fortemente legato al genere “weird”.
Nell’autunno del 2019 pubblica la sua prima opera, “Gli eredi dei Darmen”.
Negli anni successivi pubblica altri sei racconti inerenti ai generi weird, cosmic-horror e alcuni sci-fi dalle tonalità cupe e orrorifiche. Con “Darkl-ver”, dato alla luce nel 2020, inaugura il proprio universo letterario; un mondo di stampo fortemente “lovecraftiano”, ambientato principalmente nelle terre dell’autore: Liguria, Basso Piemonte, Costa Azzurra e Provenza.
A.B. Lundra si ispira alle leggende locali, da cui ricava una trama e nuove idee per arricchire il suo pantheon colmo di entità e divinità mosse da intenti malevoli e incomprensibili alla logica umana. Proprio come per
Edgar Allan Poe, Guy De Maupassant e H.P. Lovecraft, le vicende narrate da Lundra sono immerse in un’atmosfera di mistero, permea di un orrore e di una meraviglia che non possono essere definite per mezzo di semplici parole. Abomini striscianti, aberrazioni giunte da altri mondi, bestemmie nei confronti dell’esistenza e dèi senza nome vi attenderanno oltre il muro del sonno e della realtà.

Orrore e Deformità a “La Corte”
Autore: A.B. Lundra
Editore: Pubblicazione Indipendente
Pagine: 190
ISBN: 979-8339116387
Costo: ebook 5,50 €; versione cartacea 12,50 €

A cura di Flavio Deri



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Il Mantra del Fuoco di Walter Owen

Il Mantra del Fuoco: un capolavoro occulto riscoperto.

Dopo il libro di culto La croce di Carl la Dagon Press pubblica Il Mantra del Fuoco, un altro romanzo quasi sconosciuto di Walter Owen (le notizie in rete sono minimali). Si tratta di un’opera affascinante e vertiginosa, dimenticata per decenni e ora riportata alla luce in un’edizione italiana curata con minuziosa attenzione da Bernardo Cicchetti. Questo romanzo – conosciuto originariamente come More Things in Heaven – è un viaggio tra il visibile e l’invisibile, un’esplorazione esoterica che fonde fantasy, horror e filosofia in un’unica, intricata visione del mondo.

Walter Owen, nato in Scozia nel 1884 e trasferitosi a Buenos Aires, dove trascorse gran parte della sua vita, è una figura misteriosa e poco nota. Poeta, bibliofilo e traduttore di testi storico-filosofici, Owen sembra aver riversato in questo romanzo tutto il suo interesse per il soprannaturale e l’esoterismo. In un’opera di straordinaria complessità, egli intreccia dottrine teosofiche, pseudoscienza e misticismo per offrire una prospettiva alternativa sulla Storia del Mondo e sul rapporto dell’umanità con l’invisibile.

La trama ruota intorno a un protagonista che intraprende un viaggio di scoperta e trasformazione, costellato da incontri enigmatici e momenti di rivelazione. Ma ridurre Il Mantra del Fuoco a un semplice riassunto sarebbe come cercare di descrivere un labirinto indicando solo l’entrata e l’uscita. L’essenza del romanzo risiede nei suoi dettagli: ogni capitolo, ogni dialogo, ogni descrizione è un tassello di un mosaico che sfida le percezioni e invita il lettore a confrontarsi con le grandi domande della vita. La citazione shakespeariana che dà il titolo originale al libro – “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” – è una dichiarazione d’intenti: Owen esplora ciò che si nasconde oltre i limiti della razionalità umana.

La prosa di Owen è densa, evocativa e, a tratti, volutamente opprimente. L’atmosfera che crea è un miscuglio di meraviglia e inquietudine: il lettore si sente trascinato in un mondo familiare e, allo stesso tempo, radicalmente altro. È come camminare su un filo sottile, sapendo che sotto di noi si estende un abisso insondabile. Le digressioni filosofiche e le teorie esoteriche possono sembrare ardue, ma aggiungono profondità al testo e premiano chi è disposto a immergersi completamente nel suo universo.

Bernardo Cicchetti, curatore di questa edizione italiana, ha arricchito il libro con oltre 500 note esplicative, un vero e proprio strumento di navigazione per orientarsi tra i molti riferimenti occulti e simbolici. Questo lavoro di contestualizzazione rende l’opera accessibile senza banalizzarla, permettendo anche a chi non ha una conoscenza approfondita dell’esoterismo di apprezzarne la ricchezza.

Tuttavia, Il Mantra del Fuoco non è un libro di facile lettura. La sua narrazione astratta, il ritmo lento e la struttura complessa possono risultare ostici per qualche lettore. Questo è un romanzo che chiede tempo e attenzione, ma per chi accetta la sfida, l’esperienza può rivelarsi unica. Owen, come un maestro alchemico, trasforma la lettura in un viaggio di trasformazione personale, portandoci a guardare dentro noi stessi tanto quanto al di fuori.

Il fascino oscuro del libro non si limita al suo contenuto. La leggenda che circonda le copie originali – associate a maledizioni e disgrazie – ha contribuito a creare un’aura di mito attorno a More Things in HeavenIl Mantra del Fuoco è un invito a esplorare l’ignoto, un viaggio intellettuale e spirituale di portata cosmica.

Il Mantra del Fuoco
Autore: Walter Owen
Curatore: Bernardo Cicchetti
Formato: 17×24
Pagine: 382
Prezzo: 28,00 €
Edizione a tiratura limitata
Per informazioni e ordini scrivere a: studilovecraft@yahoo.it

A cura di Cesare Buttaboni


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La villa dell’aviatore di Alda Teodorani

Per Anna

La vampira ogni sera dava una festa e ogni sera nella villa migliaia di lampade si accendevano, le pietanze più pregiate ed esotiche riempivano l’enorme tavolo ellittico della sala, l’orchestra iniziava a suonare e gli invitati ballavano tutta la notte, fino allo sfinimento; le lunghe tende bianche ondeggiavano nell’aria notturna e a volte, verso mattina, si sentiva il suono di un biplano che sorvolava la casa. Era l’aviatore che aveva fatto costruire la villa: tornava dall’oltretomba per rivedere i luoghi che aveva tanto amato.
Ogni sera, quando la musica stava per iniziare, gli studenti del quartiere si mettevano in fila fuori dalla villa per poter entrare.
La vampira si affacciava al suo balcone e lanciava una rosa rossa tra di loro: chi la recuperava poteva passare la notte con lei e se fosse stato fortunato, o abbastanza bravo, la vampira gli avrebbe concesso il dono della vita eterna nutrendosi di lui e dandogli un po’ del proprio sangue. Si sarebbe tagliata un polso e lo avrebbe avvicinato alle labbra del giovane morente che da quel momento in poi sarebbe diventato il suo schiavo.
Alcuni non ce l’avrebbero fatta. Di altri lei si sarebbe nutrita e poi ne avrebbe fatto gettare i corpi in cantina, dove si diceva che nelle lunghe notti di noia, lei giocasse con i loro cadaveri. Oppure avrebbe aperto la porta della stanza ai suoi cani, lasciando che si nutrissero dei loro corpi.
Era una donna bella, di alta statura, aveva quel fascino sottile, indefinibile, che poche donne posseggono e che ti fa invaghire di loro qualunque età o aspetto abbiano.

Robert una sera era entrato nella villa della vampira ma diversamente dagli altri non era morto, né lei si era nutrita di lui. Lo aveva semplicemente introdotto nella camera della sorella, Angela, immortale come lei ma che soffriva di un’insanabile malinconia da quando l’uomo che amava, il giovane aviatore che aveva fatto costruire la villa, era morto precocemente di tubercolosi negli anni Venti; Angela dormiva quasi sempre, anche di notte, quando avrebbe dovuto nutrirsi.
Quando il suo sposo era morto, lei aveva pianto talmente a lungo, urlando giorno e notte frasi sconnesse, che s’era danneggiata le corde vocali e la sua voce era cambiata per sempre.
Quando era ancora in vita, all’aviatore piaceva decollare la mattina, subito prima dell’alba, sorvolare le colline dolci che attorniavano la sua casa. Ogni stagione aveva i suoi colori, ogni stagione portava una diversa pennellata al suolo: in primavera tutto era verde, d’un verde che pareva penetrare dentro il cuore, aprirlo e succhiarne ogni goccia di sangue. Poi arrivavano i papaveri, rosseggiavano come un’onda che si frastagliava su se stessa quando il vento la colpiva ripetutamente, e poi ancora altri fiori gialli, e poi quelli azzurri. La gran calura estiva spazzava via tutto con il suo alito rovente: restava l’erba secca e gialla, che lentamente si decomponeva nell’autunno, fino a seppellirsi da sé nelle zolle ghiacciate dell’inverno. La mattina, l’aviatore volava sul suo aereo finché vedeva il sole spuntare e la meraviglia, ogni giorno rinnovata, della luce che accendeva il cielo. E poi la malattia lo aveva rinchiuso in un luogo dove non avrebbe mai più visto alcun colore, solo una notte profonda e nera.
Dopo la sua morte, Angela aveva preso a guidare il piccolo biplano dell’aviatore. Conosceva i comandi e le rotte perché aveva volato spesso con lui, e lui l’aveva addestrata a pilotare. Sul biplano dell’uomo che aveva amato, si chiedeva se stava volando nello stesso esatto punto, pensava che, se ci fosse riuscita, avrebbe ritrovato un po’ di lui, della sua essenza.
Ma poi, lentamente, s’era rassegnata e sul suo volto era calato un velo nero, la disperazione aveva lasciato tracce tangibili, e improvvisamente era diventata adulta, e immortale: il dono gliel’aveva fatto sua sorella, convinta di strapparla via al dolore. E invece l’aveva condannata a soffrire per sempre.
Non aveva più volato. Non fino a quella notte.
La vampira sperava di riuscire a guarire Angela dalla sua malinconia procurandole un uomo che la potesse amare quanto aveva fatto l’aviatore e, su invito della vampira, Robert si era steso sul letto bianco, sotto il baldacchino decorato di veli. Non aveva nessuna intenzione di insidiare la donna, della quale intravedeva la sagoma sotto le coperte. Eppure quella notte si erano baciati. Avevano fatto l’amore. Probabilmente s’erano ritrovati vicini nel sonno, in quello strano momento in cui il respiro è come se s’acquietasse, come se al centro della notte perdesse la pesantezza per cominciare a volare.
Lei aveva risposto al suo bacio quasi lo aspettasse e in quel momento lui s’era reso conto che era come se lei ricordasse. Come se rivivesse i loro baci, il modo lento, profondo, di fare l’amore. Quella notte era stato come se avessero ripetuto un rituale, s’erano allacciati quasi sanguinando da quelle ferite che entrambi s’erano procurati vivendo, ferite mai richiuse. La luna arguta infiltrava i suoi raggi dalla finestra, pennellava argento sui loro corpi e nella stanza dalle grandi vetrate aperte. Settembre faceva incalzare l’autunno, la loro pelle s’increspava di freddo nel dormiveglia ma non avevano voluto coprirsi.
Più tardi Robert s’era svegliato. Una luce lattiginosa colmava la stanza, era solo nel grande letto. Fuori, un suono sovrastava tutto. Inizialmente non aveva compreso cos’era quel rumore, poi, quando s’era affacciato alla finestra, aveva visto il biplano dell’aviatore rullare sulla pista ai piedi della collina e aveva capito: aveva capito molto di più di quel che era in suo potere.

S’era alzato, era corso giù, alla pista, per intercettarla, per fermarla. Ma lei era già sopra di lui. Troppo lontana. Andava incontro al sole.
Pareva passata un’eternità quando il suono era ricomparso, era spuntato il biplano, rombando, e Robert nemmeno aveva fatto in tempo a rendersi conto di cosa stava succedendo che l’apparecchio s’era avvitato e poi s’era schiantato sul grande tetto a terrazzo della villa con un boato insospettabile per un velivolo così piccolo, così fragile, sollevando una nuvola di polvere fitta e oscura.
Robert era corso dentro, aveva salito le scale, s’era precipitato ad aprire la porta del tetto, subito dalla soglia erano caduti mattoni e calcinacci, l’aereo aveva distrutto parte del terrazzo ma la cabina di guida era là, a pochi passi da lui.
Lui ansante si era precipitato ad aprirla. Ma dentro c’era solo cenere.

L’AUTRICE
Alda Teodorani, autrice di culto dell’horror-noir italiano, ha al suo attivo più di duecento pubblicazioni tra romanzi, racconti, fumetti, audiolibri, traduzioni, soggetti e sceneggiature di film. I suoi libri e racconti sono tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo e georgiano. Con Carlo Lucarelli e Loriano Macchiavelli ha fondato il Gruppo 13 composto da scrittori e illustratori dell’area emiliano-romagnola. Il suo primo libro, Giù, nel delirio, è pubblicato nel 1991 da Granata Press.
Ha fatto parte della famigerata antologia Gioventù cannibale (1996) ed è inserita dalla critica nella generazione letteraria dei cosiddetti Cannibali.
I suoi racconti hanno ispirato i film di Appuntamenti Letali (2006), DVD realizzato con il patrocinio del portale Filmhorror, comunità di film-maker indipendenti.
Le sue opere sono depositate nel fondo Alda Teodorani custodito nel centro culturale Carlo Venturini di Massa Lombarda (Ravenna) che raccoglie anche bibliografia critica, foto, video, corrispondenze con altri scrittori e lettori, articoli su riviste e quotidiani, tesi di laurea a lei dedicate, materiali video e sonori. La sua intera bibliografia è pubblicata nel volume di Giulio Ciancamerla Scritture e percorsi letterari: L’archivio Alda Teodorani edito da Future Fiction.



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Racconti mistery e Giochi del vento di Sergio Bissoli

La Redazione GHoST presenta la nuova edizione di “Racconti mistery” antologia di racconti di occultismo, stregoneria, spiritismo, paganesimo, animismo, insolito e mistero di Sergio Bissoli edita da Lulu.com.

A tal proposito si segnala l’uscita del nuovo video audio racconto targato ClubGHoST & Ipnotica tratto da “Giochi del vento”, l’opera di Bissoli presente in Racconti mistery, diretto da Max Ferrara.
Il racconto “Giochi del vento”, è stato pubblicato nelle antologie “Racconti mistery” di Sergio Bissoli edite da Profondo Rosso (prima edizione), Book Sprint (seconda edizione), Lulu.com (ultima edizione aggiornata) e nel volume “Il paese stregato” Edizioni Hypnos a cura di Giuseppe Lippi.

Il video “Giochi del vento” è disponibile sul nuovo canale You Tube ufficiale del Club GHoST:
https://youtube.com/@clubghost1994
che prossimamente ospiterà altre innumerevoli iniziative.
Per non perdere tutte le novità a riguardo vi invitiamo quindi a iscrivervi al canale attivando la campanella per le notifiche.

Racconti mistery
Autore: Sergio Bissoli
Editore: Lulu.com
Pagine: 178
Prezzo: 13,78 €
ISBN: 9781716426919

Link acquisto:
https://www.lulu.com/shop/sergio-bissoli/racconti-mistery/paperback/product-qw6m4m.html?q=&page=1&pageSize=4




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Giochi del vento di Sergio Bissoli

La Redazione GHoST presenta “Giochi del vento” il nuovo video audio racconto targato ClubGHoST & Ipnotica tratto da un’opera di Sergio Bissoli e diretto da Max Ferrara.

Il racconto “Giochi del vento”, è stato pubblicato nelle antologie Racconti mistery di Sergio Bissoli edite da Profondo Rosso (prima edizione), Book Sprint (seconda edizione), Lulu.com (ultima edizione aggiornata) e nel volume “Il paese stregato” Edizioni Hypnos a cura di Giuseppe Lippi.

Il video è disponibile sul nuovo canale You Tube ufficiale del Club GHoST:
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che prossimamente ospiterà altre innumerevoli iniziative.
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