Intervista ai Dragonhammer

Intervista ai Dragonhammer: risponde Marco Berrettoni, batterista della band.

1. Ciao Marco, presenta i Dragonhammer in poche parole ai nostri lettori.
Ciao a tutti noi siamo I Dragonhammer, band power metal Romana che alterna pezzi con arrangiamenti più heavy a pezzi più neoclassici. Negli anni ci sono state differenti cambi di line up che hanno influenzato il sound della stessa band fino ad arrivare alla formazione odierna e alla produzione del nostro ultimo lavoro in studio, Second Life.

2. Come definiresti il vostro sound e quali sono i vostri punti di riferimento?
Il gruppo nasce negli ultimi anni 90 – primi anni 2000, di conseguenza trova luce in un periodo d’oro per il power metal. Impossibile non citare I grandi nomi del genere, come RhapsodyStratovariousHammerfallBlind GuardianAvantasia da cui prendiamo largamente ispirazione ma abbiamo la fortuna di avere membri che provengono più o meno da generi differenti in ambito metal. Chi dal black, chi dal pagan, chi dal puro heavy, chi dal death ecc… Cerchiamo costantemente influenza da quello che ci piace, considerando però che le canzoni partono sempre da vissuti personali a cui noi adattiamo tutto l’aspetto musicale.

3. Com’è stato realizzare “Second Life”? Insomma, è cambiato qualcosa stavolta nel vostro metodo compositivo?
Second Life rappresenta un bel salto verso sonorità più epiche e sinfoniche rispetto ai precedenti lavori. Si è passati da un suono più rude e heavy a qualcosa di più definito ma allo stesso tempo potente. Sicuramente quello che la maggior parte dei nostri ascoltatori hanno notato è un largo utilizzo di orchestrazioni, totalmente assenti nei nostri precedenti lavori. Non escludo che, vista l’ottima risposta, la band decida di proseguire su questa strada. L’album è stato registrato e prodotto presso il Kick Recording Studio di Roma a cura del maestro Marco Matrobuono.

4. Pensi che i Dragonhammer si esprimano meglio in studio o live? E perchè?
E’ una domanda molto difficile a cui rispondere e forse un fan potrebbe rispondere meglio rispetto ad un diretto interessato. Ci provo. Crediamo di essere ad un buon livello sia per quanto riguarda la produzione in studio che live ma I risultati che si ottengono sono ben diversi così come anche I contesti. Un album in studio può trasmettere finezze e dettagli che magari in live si perdono e, a volte, può anche comunicare emozioni e idee con più facilità. Il contesto live, d’altro canto, è come una grande festa dove musicisti e pubblico diventano una cosa sola. Si canta insieme, si salta insieme. La band live riesce a trasmettere meglio quel groove che coinvolge a pieno chi ascolta. Sono situazioni diverse ma entrambe fondamentali e necessarie.

5. Avete già stabilito una ipotetica data per il vostro prossimo full-length?
Abbiamo buttato giù già diverse idee e piano piano le composizioni del prossimo album stanno prendendo forma. L’intenzione è quella di pubblicare con più costanza, senza attendere anni e anni prima dei lavori successivi.

6. Come è stato accolto fino ad ora “Second Life”? Siete soddisfatti in generale?
Abbiamo avuto tutti responsi più che positivi, sia dal punto di vista delle recensioni, che delle reaction, che come risposta dal pubblico che live ha apprezzato enormemente il nostro ultimo lavoro. I pezzi vengono spesso trasmessi in radio di genere e partecipiamo costantemente ad interviste. Sicuramente è stato un lavoro importante e che ha garantito un boost importante, specialmente dal punto di vista live; ad esempio ci ha permesso di partecipare a tour con band importanti, come gli Angra, e a festival internazionali molto noti, come il Rock Catle ed il Masters of Rock in Repubblica Ceca.

7. Dove volete arrivare con questa band e qual è la vostra più grande ambizione, nonostante siate in giro da più di vent’anni?
Sono certo di parlare a nome di tutti I membri quando dico che l’unica cosa veramente importante per noi è quella di far conoscere la nostra musica trasmettendo emozioni e coinvolgendo chi ci ascolta. Il nostro obiettivo è quello di lasciare un ricordo, qualcosa di positivo.

8. Con chi vorresti fare un tour o una data almeno una volta nella vostra vita?
Dai spariamo alti e diciamo gli Helloween!!!

9. Ok abbiamo finito, concludi come vuoi. Un saluto da parte nostra.
Un sentito ringraziamento a Club GHoST per averci dedicato questo spazio e a tutti I lettori per aver dedicato qualche minuto ad approfondire la nostra conoscenza. Vi invitiamo a seguirci su tutti I canali social e a scoprire la nostra musica e, perchè no, se è di vostro gradimento, a condividerla. Un saluto, ci vediamo presto dal vivo \m/

A cura di Knife





Creepy Tales of Pizza and Gore di Lorenzo Fassina

Creepy Tales of Pizza and Gore (Italia, 2014)

Regia, soggetto, montaggio: Lorenzo Fassina. Produttore: Marco Giangiarelli. Durata: 62′. Interpreti: Sara Antonicelli, Beatrice Cartoni, Jonathan Farlotta, Jacopo Grandi, Francesco Marra, Tommaso Meledina, Alessandro Melito, Bunny Roberts, Riccardo Tiberi.

Un fattorino della pizzeria “Pizza Slasher” è impegnato nella consegna di una pizza a domicilio. A bordo del suo skate e seguendo il percorso disegnato su di un pezzo di carta giunge a destinazione…una sospetta botola in mezzo al bosco dove verrà catturato da un demone, il quale introdurrà 5 mini storie all’insegna dell’horror e, appunto come recita il titolo, del gore!

Diretto da Lorenzo Fassina  tra il 2014 e il 2015, il film è un’antologia di 5 storie ognuna derivanti da diversi sottogeneri horror.

SCREAMING GHOST: un file audio viene condiviso in rete tra amici, ma durante l’ascolto salterà fuori un demone assetato di sangue.

DEVIL OF THE NIGHT: uno spietato serial killer cattura le sue vittime per torturarle secondo un rituale satanico.

ALONE IN THE HOUSE: una ragazza rimane sola in casa quando a un certo punto farà irruzione una persona con sconosciute intenzioni. La ragazza dovrà dunque sfoggiare le sue abilità di autodifesa.

WOOD: un ragazzo fa salire sulla sua macchina una giovane autostoppista. I due si piacciono al primo sguardo e si recano tra i cespugli per un po di sesso… ma qualcosa si aggira tra i boschi.

KILLER TAPE: una videocassetta non gradisce il fatto di essere stata riposta in uno scatolone.

Pubblicato inizialmente su youtube e poi distribuito in home video dalla HomeMovies, le caratteristiche che saltano subito all’occhio dello spettatore sono gli episodi privi di dialogo e il demone che introduce le storie in lingua latina. Visibilmente zero budget il film presenta comunque una buona valorizzazione degli strumenti a disposizione, in particolar modo negli effetti splatter (protagonisti di ogni singola mini storia), che con un uso abbondante di sugo di pomodoro e vernice rossa risultano essere molto realistici e credibili. Ambientazioni e colonne sonore di sottofondo fanno anche il loro lavoro nel creare una coinvolgente atmosfera.

Un altro esempio di horror indipendente made in Italy ben riuscito ed ennesima dimostrazione che la passione può sfondare la barriera del budget. Anche se le mini storie hanno il sapore di già rivisto sanno comunque intrattenere (grazie anche al modo di come vengono riproposte allo spettatore). Una “pizza al sangue” che saprà soddisfarvi.

A cura di Marco Scognamiglio



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Il magico regno di Landover di Terry Brooks

Questo libro Fantasy è molto vecchio (caspita, ha quasi la mia età!), ma può un libro davvero invecchiare? Secondo me, no.

Brooks è un autore molto noto e apprezzato, ma dove il suo ciclo di Shannara è fin troppo celebre, meno si può dire dei suoi libri di Landover. In generale Brooks è sempre stato un precursore dei generi e si è lanciato in topos nuovi (o forse dovremmo definirli più “variazioni del tema”). In questo caso ha re interpretato un genere che adesso, nel 2024, va incredibilmente di moda ovvero del “tizio qualsiasi che finisce in un mondo fantasy”. Lo fa con uno stile molto più scorrevole di altre sue opere e con uno sguardo fiabesco, anche nelle situazioni più oscure. Sebbene non renda perfettamente le atmosfere peggiori e sia molto superficiale in tante descrizioni dei personaggi, crea un contesto affascinante sia di scoperta che delle sfide che il protagonista si ritrova ad affrontare; momenti “gestionali” non tipici della narrativa. È un libro diverso da altri, che mi sento di consigliare.
Qui sotto un piccolo incipit:

Un avvocato di mezz’età di Chicago ricco oltre il livello dell’utile, porta avanti meccanicamente la sua vita da quando ha perso la moglie. Depresso e sconfortato, vive di ricordi ed è proprio uno di questi, un giornaletto di occasioni natalizie al quale era abbonata la moglie, che lo porta a scoprire la proposta di vendita di un regno Fantasy.
Colto da un desiderio di evasione, uno di follia e anche la mera curiosità, Ben Holiday acquista il magico Regno di Landover da un’inquietante signore. Non avrebbe mai creduto di ritrovarsi ad attraversare un misterioso tunnel, che lo avrebbe davvero portato in un mondo alternativo intriso di magia che lui si ritroverà a dover gestire.
Le cose non saranno tutte rose e fiori però perché il succitato regno sarà in rovina e gli alleati pochi, mentre il tempo per godersi quel mondo ancora meno, visto che è minacciato da un’orda demoniaca.
Ben dovrà affidarsi ai pochissimi amici che riuscirà a trovare in quella nuova realtà e a cercare di instaurare un regno stabile nel quale tentare di vivere la sua nuova vita.

Il magico regno di Landover
Autore: Terry Brooks
Traduttore: Riccardo Valla
Editore: Mondadori
Pagine: 378
Prezzo: 10,00 €
ISBN: 9788804376491

L’AUTORE
Terence Dean Brooks (Sterling, 8 gennaio 1944) è uno scrittore statunitense di romanzi fantasy.
È noto per aver creato la serie di romanzi fantasy Shannara.
Ha studiato letteratura inglese all’Hamilton College e si è laureato in legge alla Washington & Lee University. Prima di dedicarsi alla scrittura ha praticato la professione di avvocato. Attualmente vive tra Seattle e le Hawaii con la moglie Judine.
Il suo primo romanzo, La spada di Shannara del 1977, diventò un best seller mondiale e rimase nella classifica del New York Times dei libri più venduti per oltre cinque mesi. Col tempo, la produzione di Brooks, riconducibile quasi per intero alle vicende di Shannara.
Nel 1991 si dedicò alla stesura della trasposizione del film Hook – Capitan Uncino di Steven SpielbergGeorge Lucas, chiese a Terry di scrivere la trasposizione di Star Wars Episodio I: La Minaccia Fantasma.

A cura di Marco Molendi



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Piggy di Carlota Pereda

Piggy (Spagna, Francia, 2022)

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Carlota Pereda. Fotografia: Rita Noriega. Montaggio: David Pelegrin. Musiche: Olivier Arson. Scenografia: Oscar Sempere. Costumi: Arantxa Ezquerro. Trucco: Paloma Lozano. Produttore: Merry Colomer. Case di Produzione: Morena Films, Backup Studio, CerditaAIE, La Banque Postale, Indéfilms. Distribuzione (Italia): I Wonder. Genere: Thriller, terrore. Durata: 99’. Titolo Originale: Cerdita. Interpreti: Laura Galán (Satra), Richard Holmes (il sequestratore), Carmen Machi (Asun), Irene Ferreiro (Claudia), Camille Aguilar (Rocio), Caluadia Salas (Maca), Pilar Castro (Elena), José Pastror (Pedro).

Piggy è cinema del terrore – orrore non soprannaturale ma connaturato nell’ordine delle cose -, è anche un thriller, romanzo di formazione, cinema che affronta il tema del bullismo, nella fattispecie del body shaming. Primo lungometraggio della regista spagnola Carlota Pereda che sceneggia il corto di esordio (Premi Goya e Forqué nel 2019) – montato da David Pelegrin in formato da 99’ – e confeziona un lavoro interessante, girato ad alta tensione. In breve la trama. Sara è la figlia del macellaio di un paesino spagnolo, vive oppressa dalla madre e con un fratellino al quale vuol molto bene, soffre di bulimia ed è obesa, per questo viene derisa dalle compagne, soprattutto da Maca, Rochio e Claudia (che sarebbe amica ma lascia fare). Un giorno viene infastidita in piscina dalle tre ragazze mentre fa il bagno da sola, due di loro potrebbero addirittura farla annegare in seguito a uno squallido gioco, ma è uno sconosciuto che la salva, purtroppo con metodi cruenti, perché rapisce le tre ragazzine, ne uccide una e tortura le altre. Lo sconosciuto è uno psicopatico che mette in allarme per alcuni giorni l’intero villaggio, scatenando una caccia al mostro, degenerata in una prevedibile ecatombe. Protagonista del film la stessa Laura Galán che aveva interpretato il corto, tutta la narrazione è sospesa tra il rapporto di amore e terrore che si instaura tra la ragazza e il folle sconosciuto, convinto che loro due sono dei disadattati ma potrebbero stare bene dopo aver eliminato chi vive irridendo. Piggy è il soprannome della ragazza obesa, diventa il titolo internazionale del film, in spagnolo Cerdita (porcellina).

Pellicola girata in un insolito formato quadrato, fotografia a colori di un’Estremadura arsa dal sole (Noriega), la regista abbonda in inquietanti soggettive, sprofondando lo spettatore in un clima angoscioso e claustrofobico. Le suggestive scenografie ricordano gli anni Ottanta, soprattutto costumi e interni, pur in un’ambientazione contemporanea, forse per sottolineare l’arretratezza culturale dei luoghi iberici dove si svolge l’azione. La regista (anche sceneggiatrice) compone un quadro familiare perfetto di una ragazzina incompresa che vive con un padre abulico e una madre ossessiva, fin troppo dura e (a suo modo) protettiva. I rapporti tra Sara e il mondo esterno sono analizzati a dovere, viene messo in evidenza il motivo per cui la ragazza non vuole uscire e andare alle feste con le amiche, che non sono certo compagne sincere. Una nota di colore è costituita dalla Guardia Civil del paese, rappresentata da due inetti poliziotti che sembrano usciti da una commedia grottesca di Almodovar. La forza della pellicola sta nel fatto che la regista usa gli strumenti del torture, del cinema splatter e del thriller per comporre un discorso sociale contro il bullismo e per affrontare il tema dei rapporti tra adolescenti e genitori. Film girato in una calda e assolata Estremadura, tra giugno e luglio del 2021, per la precisione nel piccolo comune di Villanueva de la Vera. Presentato al Sundance Film Festival e al Festival del Cinema di San Sebastián, prodotto da Spagna e Francia, uscito nelle sale italiane non in moltissime copie, distribuito poco e male da I Wonder, mentre è andata meglio negli Stati Uniti. Un clamoroso insuccesso al botteghino, se rapportato al budget di due milioni e mezzo di euro, forse per la tematica truce, per un realismo crudele, per un eccesso di sangue e torture. Ma tutto questo è la forza di Piggy, chi ama il cinema del terrore ricerca proprio tali elementi in un’opera cinematografica. Visto grazie a Rai 4, in Prima TV, in data 4 dicembre 2024. Adesso disponibile su Rai Play. Cinema del terrore, realistico e angosciante, ma anche cinema utile che tratta problemi reali. Davvero un buon film, truce e inquietante, che potrà avere un successo postumo, televisivo.

A cura di Gordiano Lupi



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Angels dei Black Pie

Angels, l’album di debutto dei Black Pie, rappresenta un’esperienza sonora che supera i confini del rock moderno, combinando elementi classici e contemporanei con un’originalità che pochi gruppi sanno esprimere. Formati nel 2023, i Black Pie portano una ricca miscela di influenze, grazie ai diversi percorsi musicali dei suoi membri. Questa diversità si trasforma in una visione comune che rende l’album una sorprendente espressione di creatività, legata a un concept stimolante: il cammino di un’anima che, arrivando sulla Terra, decide il proprio destino. Il tema portante è raccontato attraverso una narrazione musicale in cui ogni traccia simboleggia un momento di questo viaggio alchemico.

Sotto il profilo sonoro, i Black Pie spaziano tra hard rock, psichedelia e progressive, riflettendo così la varietà dell’esperienza umana. Con Angels, la band si muove abilmente tra tradizione e sperimentazione, richiamando giganti come Led ZeppelinRush e Kansas, ma mantenendo sempre una propria identità. Questa reinterpretazione personale dei classici del rock trova un punto di forza nella voce di Elena “Hellen” Villa, potente e versatile, che aggiunge un timbro inconfondibile al sound della band.
Il brano d’apertura, “Off The Radar”, è una ballata eterea che vede la voce di Hellen elevarsi con intensità, accompagnata dalle chitarre di Claudio “Clode” Cinquegrana. A seguire, “Kaos Night” cambia registro, passando a sonorità più dure e intense che mettono in risalto l’energia del trio.
Tra le tracce più memorabili spiccano la ballata “From The Ashes” e la dinamica “Lift It”, brani in cui si trovano echi di classici come Led Zeppelin e Rush. Tuttavia, i Black Pie mantengono una propria firma sonora, moderna e personale, riuscendo a fondere elementi di classic rock con strutture elaborate tipiche del prog. Le influenze sono integrate in modo naturale, creando un’atmosfera che coinvolge subito, ma che svela particolari più profondi ad ogni ascolto. La varietà musicale e tematica è uno dei punti di forza di Angels, un’opera dove ogni brano ha una personalità unica ma contribuisce all’unità narrativa.
La produzione, curata dalla prestigiosa etichetta Black Widow, risulta impeccabile, con un mix equilibrato che conserva la grinta rock della band. I Black Pie riescono a trasporre nel disco l’energia dei loro live, mantenendo una qualità immediata e coinvolgente.

Track list “Angels”:
1. Off The Radar
2. Kaos Night
3. Little Lady Bright
4. Borderline
5. Your Fault
6. Welcome Toxic
7. People From the Sky
8. From The Ashes
9. Blanket Tide
10. Lift It
11. Follow

Line up Black Pie:
Elena “Hellen” Villa voce, basso, mandolino / Claudio “Clode” Cinquegrana chitarre, tastiere, cori / Silvano “Syl” Bottari batteria, percussioni Special guest Stefano Genti tastiere, cori.

A cura di Cesare Buttaboni




Progetto K – Bizzarre Metamorfosi Kafkiane

Progetto K – Bizzarre Metamorfosi Kafkiane è il nuovo prodotto del collettivo Strani Æoni, l’avanguardia di scrittori e scrittrici nata all’interno del Gruppo Telegram Lovecraft Italia. Pubblicato nella collana Officina Onirica, dedicata a tutte le sfumature della letteratura fantastica, il volume è edito dalla Colomò Editore. A impreziosire l’opera, la ristampa di uno dei primi librogame scritti in Italia, a quasi quarant’anni dalla sua uscita: il leggendario Alla ricerca del certificato perduto, firmato da Marco Donadoni.

All’interno troverete le illustrazioni di Marta Arca. L’impaginazione e la grafica sono, invece, ad opera di Mario Delucis.
L’antologia, nata con lo scopo di rendere omaggio allo scrittore praghese in occasione del centenario della sua dipartita. È ricca di esperimenti narrativi collettivi, condotti dalla volontà di ibridare la letteratura weird e pulp con i suoi cugini chiamati realismo magico, decadentismo, simbolismo, surrealismo, patafisica, scapigliatura, avanguardia, massimalismo, beat e altro ancora.
Adesso analizziamo i singoli racconti:

ZOGAR di Nathan Sergio:
Un racconto fortemente kafkiano dove il protagonista, K., viene convocato da un vice-supervisore in una Ditta labirintica. Il viaggio che intraprende lo porta in ambienti sempre più angoscianti, popolati da figure grottesche e spazi disumanizzanti. La narrazione esplora la burocrazia, la perdita d’identità, e la costante minaccia di un potere inafferrabile. Elementi come corpi fluttuanti e messi funerari amplificano la componente weird.

Insufficienza visiva di Barbara Guarnieri
Il racconto esplora i temi dell’alienazione sociale, del confronto con il passato e della disillusione attraverso una narrazione che mescola realismo e sovrannaturale. La protagonista, Ada, partecipa a una rimpatriata con i compagni di classe organizzata in occasione del centenario della loro scuola. Sin dall’inizio, Ada si sente a disagio, percependo un senso di inadeguatezza rispetto ai successi dei suoi ex compagni e confrontandosi con i ricordi della sua solitudine e insicurezza scolastica. Il racconto esplora come il confronto con gli altri possa alimentare sensi di inferiorità e come il bisogno di superiorità possa sfociare in comportamenti distruttivi. La narrazione mette in luce la distanza tra le apparenze e la realtà delle vite umane. Ada si trasforma in una figura che cerca vendetta sugli altri, usando il potere degli occhiali per colpire chi l’aveva ferita. Il finale sottolinea come il confronto con la propria verità interiore possa essere la rivelazione più devastante.

Soldatino di plastica, cuore di uomo di Mauro Palazzi
Il racconto esplora un’inquietante metamorfosi, intrecciando elementi kafkiani e surreali con una narrazione emotivamente intensa. Il protagonista, Sergio, si ritrova reincarnato in uno dei soldatini di plastica regalati al figlio Mattia durante la notte di Santa Lucia, dopo essere morto nel sonno. Intrappolato in questa nuova forma, Sergio vive esperienze strazianti attraverso i giochi del figlio e il trattamento riservato ai soldatini, testimoniando l’innocenza e la crudeltà dei bambini.
Il protagonista, trasformato in soldatino, vive l’impotenza di osservare il mondo e il proprio figlio senza poter intervenire. I bambini, pur essendo inconsapevoli del dolore che causano, mostrano atti di violenza e insensibilità attraverso il gioco. Il soldatino simboleggia il legame spezzato tra Sergio e suo figlio, ora mediato solo da frammenti di ricordi e azioni simboliche. Il finale lascia il lettore in bilico tra un’esperienza surreale e una possibile realtà alterata.

La macchia di Paolo Sista
Il racconto segue la vita monotona e alienata di Caligari, un impiegato pubblico di mezza età, che sviluppa un’ossessione sempre più disturbante verso una macchia rossa comparsa sulle scale del suo condominio. Da semplice curiosità, la macchia diventa per lui il simbolo di un degrado fisico e morale che percepisce ovunque: nei suoi vicini di casa, nel condominio stesso e infine nella sua mente.
Caligari, che vive in solitudine in un appartamento sporco e disordinato, è un uomo frustrato, incapace di creare relazioni autentiche, e soggetto a impulsi voyeuristici e sadomasochistici.
Caligari è un individuo completamente separato dagli altri, incapace di integrarsi o provare empatia, con una vita svuotata di significato. La macchia, da semplice sporcizia, diventa per Caligari un simbolo del disordine esistenziale che lo circonda, alimentando il suo declino mentale. Il racconto riflette sul degrado umano, rappresentato sia dagli atti vandalici di Caligari sia dai suoi pensieri autodistruttivi. La macchia si trasforma in un simbolo del tumore psicologico che consuma Caligari, evidenziando il conflitto tra la necessità di purificazione e l’incapacità di sfuggire alla propria natura.

Bignè infuocati in democrazia post-bellica di Davide Russo
Il racconto si ambienta in un ufficio statale dedicato al censimento, dove il giovane e timido funzionario Franco Ernesto Vaghezza si scontra con la sua monotonia burocratica e il suo disagio sociale. La routine del suo lavoro viene interrotta dall’arrivo di Tatiana Kosetu, una signora di origine rumena che si presenta per il censimento. Tatiana, con il suo aspetto conturbante e provocatorio, il comportamento disinvolto, e la sua offerta di un bignè, destabilizza Franco, scuotendo la sua rigidità da burocrate alienato.
Tatiana rappresenta una forza anarchica e caotica che sfida le procedure fredde e impersonali dello Stato. Franco, incapace di resistere al fascino dolce e distruttivo di questa figura, vive un breve conflitto interiore tra il rigore formale del suo lavoro e il richiamo seducente del disordine e della libertà rappresentati dalla donna e dal suo bignè. Difatti, rappresenta una rottura con l’ordine stabilito, un richiamo alla sensualità, alla libertà e all’imprevedibilità della vita. La breve esperienza di ribellione di Franco si esaurisce rapidamente, lasciandolo con la consapevolezza del suo ruolo di ingranaggio nel sistema.

Il mondo viola di Massimo Junior D’Auria
Il racconto segue la routine alienante di Kappa, un impiegato modello ma socialmente isolato, che lavora presso la Bernard Enterprise, un’azienda che sfrutta i dipendenti senza offrire riconoscimenti. La vita di Kappa è scandita da un conformismo ossessivo, dalla necessità di rispettare regole rigide e dal bisogno di mantenere i suoi “indici” lavorativi a livelli accettabili. Il protagonista, tuttavia, si sente costantemente giudicato e rifiutato dai colleghi, accumulando episodi di umiliazione che annota in un taccuino con l’intento di decidere, una volta raggiunto il numero 100, se continuare a vivere.
Un giorno, un misterioso pacco indirizzato a lui arriva in ufficio. Scopre che il mittente è il Professore Lucas, un anziano scienziato con cui Kappa aveva condiviso una bevuta e una breve conversazione. Nel pacco, una teca di legno nasconde un tentacolo viola e verde, che si anima e lo ingoia. Kappa si ritrova trasportato in un mondo onirico, il “mondo viola”, popolato da persone fluttuanti e felici che lo accolgono con calore.
Il racconto critica il sistema aziendale che annulla l’individualità e sacrifica il benessere personale per la produttività e Kappa incarna l’angoscia della solitudine, l’incapacità di connettersi con gli altri e il desiderio inappagato di accettazione. Il mondo viola rappresenta una metafora del desiderio umano di sentirsi parte di una comunità, anche a costo di sacrificare la realtà mentre la transizione dal mondo reale al mondo viola simboleggia una liberazione dalle catene di un’esistenza sterile e soffocante.

Concorso dell’anno di Matteo Zanoni
Il racconto, ambientato in un futuro distopico, descrive il “Concorso dell’anno,” un evento che unisce spettacolo, scienza e fanatismo collettivo. Il vincitore, sottoposto a un trattamento scientifico rivoluzionario, risplende di luce giallognola e si offre come bersaglio al pubblico in un rituale violento. Gli spettatori, tra cui il narratore, scagliano monete e altri oggetti contro il corpo del vincitore, spinti da una feroce euforia che trasforma l’arena in un caotico sfogo di odio e liberazione.
Nonostante le ferite, il vincitore resiste, dimostrando il successo della procedura scientifica e il suo ruolo di simbolo per la comunità. Tuttavia, nel momento di massima celebrazione, le monete si staccano dal suo corpo e l’uomo, inciampando, muore improvvisamente con il cuore – spaccato in quattro. La folla, delusa e furiosa, si disperde raccogliendo le monete, riducendo il corpo del vincitore a un oggetto abbandonato.
Il racconto esplora temi come il culto della violenza, la disumanizzazione nella ricerca del progresso e l’inconsistenza dei valori sociali, sottolineando l’alienazione e la superficialità di una società consumata dal desiderio di spettacolo e conformismo.

La Traccia di Barbara Guarnieri
Il racconto segue una protagonista che si sottopone ripetutamente a un enigmatico esame, guidata dall’esaminatore, un uomo freddo e imperscrutabile. Ogni tentativo di presentare una traccia della propria esistenza, simbolizzata da vari oggetti come una barchetta di carta o un foglio bianco, si scontra con il disappunto e il rifiuto dell’uomo.
Nonostante gli sforzi della protagonista di esprimere la propria identità, il processo si rivela frustrante e alienante, fino a culminare in un paradossale accoglimento dell’ultimo tentativo: un foglio vuoto. L’esaminatore dichiara “va bene così” e la congeda, segnando il passaggio simbolico all’inizio della sua vita, vista come un percorso fatto di fallimenti e rifiuti.
Il racconto esplora temi esistenziali come il senso di inadeguatezza, la ricerca di significato e l’angoscia dell’incertezza davanti alla vita. La protagonista si confronta con la consapevolezza che la vita non segue una traccia predeterminata, ma si costruisce attraverso errori e contraddizioni. Il finale, intriso di rassegnazione e ambiguità, lascia aperta la domanda su come affrontare un’esistenza priva di certezze.

Una Processionaria di Francesco Rosati
Il protagonista, il signor Semprini, si trova coinvolto in una serie di eventi strani e inquietanti a partire da una semplice fila alla banca.
Tutto inizia con un’attesa interminabile e un incontro fortuito con un individuo misterioso. L’atmosfera si fa sempre più densa e opprimente, culminando nella scoperta di una larva di processionaria nel suo cassetto di sicurezza.
Da quel momento, la vita di Semprini subisce una drastica svolta. La larva si moltiplica in modo esponenziale, assumendo dimensioni sempre più grandi e inquietanti. L’intera città sembra essere invasa da queste creature, trasformandosi in un incubo vivente.
Il racconto si conclude con un finale aperto e perturbante. La presenza delle larve, inizialmente simbolo di piccolezza e insignificanza, si trasforma in una minaccia esistenziale, mettendo in discussione la stessa natura della realtà.

L’Evasione di Davide Russo
Un racconto intenso che esplora i temi della vecchiaia, della libertà e della ribellione contro un sistema oppressivo.
La storia è incentrata su Luigi, un anziano residente in una casa di riposo, che decide di evadere dalla struttura. La vita all’interno della casa è rigida e controllata, con orari precisi e attività standardizzate. Luigi, stanco di questa routine opprimente e consapevole degli effetti collaterali dei farmaci, decide di riprendersi la sua autonomia.
Nel frattempo, il racconto si intreccia con altre storie: quella di W., un uomo stanco della sua monotona routine lavorativa; quella di Carlo, il suo collega loquace e ossessionato dalle donne; e quella di Kevin, un bambino pieno di energia e immaginazione che sogna di diventare un supereroe.
La storia esplora le difficoltà e le frustrazioni legate alla vecchiaia e alla vita in una struttura assistenziale mettendo a confronto generazioni diverse, mostrando le loro aspirazioni, i loro limiti e le loro diverse percezioni della realtà.

Facciamo le cose per bene, noi! di Mauro Palazzi
Il racconto ci immerge in un’avventura grottesca e tragicomica, dove un semplice avviso di giacenza si trasforma in un’odissea burocratica degna di Kafka.
Il protagonista, Egisto Bianchi, si trova alle prese con un’amministrazione pubblica che sembra più interessata alle procedure che alle persone. Un banale errore di trascrizione del suo nome, “Bianchi E punto” invece di “Bianchi Egisto”, innesca una serie di eventi paradossali e surreali.
Il racconto è una critica pungente alla burocrazia e alla sua incapacità di comprendere le esigenze delle persone. L’ironia e l’esagerazione sono gli strumenti utilizzati dall’autore per sottolineare l’assurdità di un sistema che, pur vantando l’efficienza e la precisione, finisce per creare inutili complicazioni e frustrazioni. Un’odissea burocratica esilarante e frustrante.

La Quarta Dimensione di Valerio Romano
È un’immersione profonda e inquietante nella mente di un uomo che lotta con la perdita del padre. Il racconto si trasforma gradualmente in un viaggio allucinatorio, dove i confini tra realtà e immaginazione si dissolvono.
Il protagonista, profondamente segnato dalla figura paterna, si trova a confrontarsi con una realtà che si deforma e si distorce con il passare del tempo. La casa, un tempo rifugio familiare, diventa un luogo claustrofobico e inquietante, popolato da presenze oscure e allucinazioni.
Lo stile dell’autore è caratterizzato da una prosa densa e evocativa, che crea un’atmosfera di oppressione e disagio. La narrazione in prima persona permette al lettore di immedesimarsi profondamente nel protagonista e di condividere la sua angoscia.

Il Gioco di Kappa di Natan Sergio
Il racconto ci trascina in un futuro distopico, dove la società è rigidamente divisa in cittadini e semicittadini. Il protagonista, Kappa, è un funzionario che svolge controlli sui semicittadini, sottoponendoli a verifiche fisiche.
La narrazione si sviluppa attorno a un mistero: la presenza di casse misteriose che cadono dal cielo e vengono raccolte da squadre specializzate. Kappa, incuriosito da questo evento e da un dettaglio anomalo riscontrato durante una verifica, inizia a indagare autonomamente. Un mondo distopico e un mistero da svelare, il tutto intrecciato con una narrazione che dipinge un futuro opprimente e controllato, dove la libertà individuale è limitata e le persone sono classificate in base a un sistema gerarchico rigido.

Ultimati i racconti, troviamo la sezione Paragrafi, che contiene il libro game:
In Il Certificato Perduto, sei tu il protagonista di una missione impossibile: recuperare un documento burocratico. Ogni tua scelta influenzerà l’esito della tua avventura, portandoti a scoprire nuovi ostacoli e a interagire con personaggi bizzarri. Sei pronto a mettere alla prova le tue capacità di problem solving e a districarti in un labirinto di moduli e pratiche?
Molto gradevole.

Infine, la sezione Segni, che contiene FUMA. BEVI. SGRIDA. di Marta Arca e Paolo Sista.
I due artisti, rispettivamente grafico e autore, uniscono le loro arti per creare un mosaico di parole e tratti di matita, che intende mostrarci disagio, paure e fragilità.
Poesie e mini-racconti, sapientemente illustrati, ci trasportano in un universo che presenta una grande varietà di stili, temi e registri linguistici. Il tema dell’identità, della sua costruzione e fluidità, è centrale, così come quello della morte, intesa sia come fine fisica sia come rinascita interiore. La solitudine e l’alienazione sono sentimenti pervasivi in molti testi, con personaggi che si sentono spesso isolati e incompresi, alla ricerca di un senso di appartenenza.
Il linguaggio è utilizzato come strumento per costruire e decostruire la realtà. Molti testi giocano con le parole, i significati e le possibilità espressive della lingua.

In conclusione, il collettivo Strani Æoeni dimostra grande maestria nel maneggiare mente e penna, omaggiando il maestro e scrittore boemo Franz Kafka in modo eccelso, bizzarro e malignamente contorto.
Chapeau.

Progetto K – Bizzarre Metamorfosi Kafkiane
Autore: Collettivo Strani Æoeni
Editore: Colomò Editore
Pagine: 196
ISBN: ‎ 979-1281430174
Costo: 15 € cartaceo

A cura di Flavio Deri


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La Torre delle Anime di Andrea Carlo Cappi

Un’avventura di padre Stanislawsky

di Andrea Carlo Cappi

Banyalbufar (Maiorca), 1579

L’arcangelo scese dai cieli, atterrando sulla sommità dell’atalaya. Ripiegò con eleganza le ali e guardò il milite che aveva convocato, uno degli angeli della sua legione.
“Oggi gli uomini hanno costruito questa torre nel punto in cui i loro antenati celebravano sacrifici agli dèi dell’Abisso”, spiegò. “È un luogo sacro e maledetto al tempo stesso, una porta tra i mondi. D’ora in poi avrai il compito di vigilare che nessuno cerchi di aprirla dalla parte sbagliata.”
“E come posso impedirlo, Generale?” chiese l’angelo.
Una spada infuocata si materializzò nella mano dell’arcangelo, che la porse al milite per l’elsa. “Con ogni mezzo, soldato.”

Lo stesso luogo, nel prossimo futuro

Il quad noleggiato a Son San Juan si fermò sul ciglio della strada. Da terra non era visibile la struttura scavata nell’alta scogliera sulla costa nord-ovest. I VIP venivano portati via mare, in aliscafo, in modo che potessero godere dell’impressionante spettacolo della costruzione incastonata nella roccia: una decina di piani contenenti un albergo esclusivo completo di ristorante, beauty-farm, casinò e night-club.
Troppo impegnati a farsi vedere l’un l’altro negli ambienti climatizzati della costruzione, gli ospiti del Mirador non facevano caso a ciò che per cinque secoli era stato la vera attrazione dell’area: la Torre de Ses Animes, austero cilindro di pietra che sorgeva sulla sommità della roccia. Era una delle atalayas costruite per vegliare sul mare nel timore di attacchi di pirati alla costa. Ora se ne stava silenziosa e dimenticata, cotta dal sole e sferzata dal vento.
L’uomo vestito di nero sceso dal quad – un individuo con lunghi capelli scuri, barba e baffi, occhiali da sole neri – non era un VIP. Con quello che guadagnava, l’unico modo per entrare al Mirador de Ses Animes sarebbe stato fare domanda di assunzione come cameriere. Ma i suoi documenti falsi lo qualificavano come Andrés Serrano, top manager di una compagnia aerea, e la carta di credito che accompagnava quell’identità affondava le radici in un conto cifrato del Vaticano su cui erano depositati i fondi neri dell’Ufficio Risoluzioni.
Il Pontefice non aveva mandato padre Antonio Stanislawsky a Maiorca sotto mentite spoglie per fargli trascorrere una meritata vacanza dopo l’ultima rischiosa missione in una colonia mineraria, bensì perché controllasse le attività di Lorenzo Domenech, imprenditore di fama internazionale, appassionato di esoterismo e proprietario del Mirador. Domenech era in affari con il Vaticano, ma si sospettava che trattasse anche con gruppi di potere che il pontefice non vedeva di buon occhio. La Chiesa, che grazie al papa in carica aveva raggiunto un potere politico e finanziario mai conosciuto in tutta la sua storia, era molto comprensiva con gli interessi privati, ma non ammetteva il doppio gioco.
Quanto a padre Antonio Stanislawsky, emissario dell’Ufficio Risoluzioni, non poteva permettersi di disobbedire agli ordini di Sua Santità. Su di lui pendeva una condanna a morte per eresia e insubordinazione, sospesa fino a nuovo ordine. Un microchip innestato in un punto imprecisato del suo corpo garantiva che, in caso di fuga, sarebbe stato localizzato e giustiziato da sicari vaticani ovunque cercasse di nascondersi.

La sua non era una vacanza, ma la missione aveva qualche lato positivo: Stanislawsky avrebbe dovuto frequentare il ristorante e il night-club, tenendo d’occhio il proprietario. Secondo un informatore, in quel weekend Domenech avrebbe incontrato al Mirador alcuni partner d’affari e Stanislawsky doveva scoprire chi fossero.
La camera che gli era stata assegnata era al quinto piano della struttura. Di là dalla finestra – sigillata e priva di balcone, dato che la veemenza del vento avrebbe potuto portare via qualche ospite poco accorto – il panorama non era meno suggestivo di quello che si godeva dall’alto della torre. Padre Antonio si preparò per la serata: nei bottoni del suo abito scuro erano nascosti microfoni e microcamere collegati a un minicomputer che comunicava direttamente con la centrale dell’Ufficio Risoluzioni. Qualsiasi voce o faccia sarebbe stata confrontata con il database in Vaticano, in modo da identificare ogni individuo che fosse registrato negli archivi. Il display nella lente destra degli occhiali scuri di padre Antonio avrebbe visualizzato fotografie e identità delle persone di interesse.
Nelle tre ore successive, tra il ristorante e il casinò, il display ne segnalò sette a Stanislawsky: due narcotrafficanti latinoamericani, uno dei quali aveva appoggiato la guerriglia filovaticana in Colombia prima di mettersi in proprio; due boss della malavita nordamericana; un magnate russo del petrolio famoso per la sua mancanza di scrupoli; e due terroristi mediorientali, noti per avere rivestito di un alone religioso i loro attacchi ai pozzi petroliferi controllati dal Vaticano. Da entrambe le parti, la fede era sempre un ottimo alibi.
Complessivamente, i sette individui identificati avevano alcune centinaia di vittime sulle loro coscienze, un conteggio che saliva a decine di migliaia se si consideravano i conflitti che avevano contribuito a scatenare nel mondo per favorire i propri interessi. Se fosse stato presente anche il pontefice – impossibilitato a lasciare Roma, dal momento che il suo corpo era tenuto in vita artificialmente da un sofisticato sarcofago tecnologico – si sarebbe potuto dire che tutti gli uomini più spietati del mondo si fossero dati appuntamento al Mirador.

Padre Antonio li seguì al piano superiore, dove si trovava il night-club, e li vide ritirarsi in una sala privata, all’ingresso della quale un cameriere si preoccupava di riporre in guardaroba le armi delle guardie del corpo. Uno dei due guardaspalle del russo tornò verso il bar e si fece dare una bottiglia di vodka. Era un’occasione unica: Stanislawsky lo urtò, gli fece scivolare in tasca un microfono delle dimensioni di una capocchia di spillo, si scusò e si allontanò prima che al gorilla venisse voglia di rompergli la bottiglia in testa.
Ora l’Ufficio Risoluzioni avrebbe registrato tutto e padre Antonio poteva godersi tranquillamente lo spettacolo del night-club. Puntò gli occhi sulla pedana su cui si esibiva una ballerina dai lunghi capelli biondi, con il corpo fasciato da una tuta aderente piena di spacchi e aperture. Nonostante fossero religiosi, gli emissari dell’Ufficio Risoluzioni godevano di una certa tolleranza per quanto riguardava le relazioni sessuali; a patto che non toccassero le amanti ufficiali di qualche cardinale, come ben sapeva padre Antonio.
All’improvviso, il display sugli occhiali sembrò impazzire, proiettando una serie rapidissima di immagini diverse della stessa ragazza, accompagnata da una sfilza di nomi:
Clara Starlight
Stella Lumen
Clara Von Stern
Estrella Claire…
Le immagini erano prima foto a colori in abiti moderni, poi in bianco e nero in abiti d’epoca, per poi passare a ritratti sempre più antichi, terminando con un dipinto che poteva risalire al tardo Cinquecento. A meno di un errore del computer, gli archivi del Vaticano avevano appena riconosciuto nella ballerina diverse donne vissute in epoche diverse… o si trattava forse della stessa persona?

Quando lei lo guardò e gli sorrise, padre Antonio fu attraversato da un brivido: in base alla sua esperienza, una creatura del genere poteva venire da un unico luogo: le diavolesse che Satana inviava sulla Terra erano sempre molto attraenti. Pericolosamente attraenti.
La ragazza terminò la sua esibizione, scese dalla pedana e, conscia di essere seguita dagli sguardi di tutti gli uomini e di molte delle donne presenti, andò dritta verso Stanislawsky.
“So chi sei”, gli mormorò all’orecchio, sfilandogli gli occhiali scuri. “Non fare niente e andrà tutto bene.” Suonava come una minaccia.
“Ci conosciamo?” domandò lui, cercando di controllare le emozioni.
“No, ma dalle mie parti si parla molto di te.” Lei sorrise ancora. “Personalmente mi fido di più di un prete in odore di eresia che di uno come Domenech, che mescola i suoi affari sporchi con antichi culti proibiti. Ma puoi dire al tuo capo di stare tranquillo: per caso, oggi i suoi interessi coincidono con i nostri. E questo…” Gli sfiorò la guancia con un bacio, “non andare a raccontarlo in giro.”
Poi la creatura si diresse verso il privé. Il cameriere le aprì la porta, come se fosse attesa per uno spettacolo riservato agli invitati, e lei scomparve alla vista.
Nei cinque minuti successivi padre Antonio cercò di riaversi. Poi, al di sopra della musica, colse distintamente un coro di urla disperate. Vide il cameriere sulla porta del privé che impallidiva. D’istinto Stanislawsky corse verso il guardaroba, afferrò una delle pistole lasciate dai guardaspalle, spinse da parte il cameriere e spalancò la porta.
All’interno trovò otto corpi orribilmente mutilati – Domenech e i suoi ospiti – sparsi per la sala intorno a un pentacolo tracciato sul pavimento. E vide la ragazza, completamente nuda, con la tuta ai suoi piedi, che brandiva qualcosa che sembrava una spada fiammeggiante.

Lei gli sorrise di nuovo, poi squarciò la vetrata con la lama di fuoco, aprendovi un varco. Balzò sul davanzale della finestra, restandovi accovacciata, mentre dalle scapole le fuoriuscivano due escrescenze biancastre che in pochi secondi divennero un paio di ampie e candide ali piumate. Solo allora, dandosi una spinta con le gambe muscolose, la creatura si lanciò nel vuoto, veleggiando verso il mare.
Nelle ore successive, la polizia concluse che un killer inviato da qualche gang concorrente avesse fatto irruzione durante la riunione, uccidendo tutti e fuggendo dalla finestra, forse con un paracadute. Dal pentacolo sul pavimento qualcuno dovette sospettare che si trattasse di un rito demoniaco finito male, ma preferì tacere per non essere creduto pazzo. Nessuno seppe spiegare la sparizione della ballerina Clara Starlight.
Padre Antonio non parlò di ciò che aveva visto né alla polizia né all’Ufficio Risoluzioni: inutile scatenare di nuovo l’interminabile e superflua discussione sul sesso degli angeli.

©Andrea Carlo Cappi, 2010
Pubblicato originariamente nell’antologia “Stirpe angelica”.

L’AUTORE
Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964), è uno scrittore, saggista, editor e traduttore. Oltre al ciclo thriller che raccoglie le serie “Medina”, “Nightshade”, “Sickrose”, “Black” e “Dark Duet” (alcune firmate come François Torrent), ha pubblicato sette romanzi ufficiali con Diabolik & Eva Kant e un ciclo narrativo con Martin Mystère, con il quale ha vinto il Premio Italia 2018 e il Premio Atlantide 2019. Scrive la serie horror/dark romance “Danse Macabre”, il ciclo del “Cacciatore di Libri” e le avventure di padre Antonio Stanislawsky, apparse in antologie e riviste di fantascienza. Co-sceneggiatore del serial “Mata Hari” di RadioRAI, ha pubblicato con Ermione “LUV” e “Neri amori”, e con Paolo Brera “Il Visconte/La spia del Risorgimento”. Tra le sue uscite più recenti, il romanzo “Il ponte sospeso”. Membro di IAMTW e World SF Italia, cura inoltre le riedizioni delle opere di Andrea G. Pinketts e le antologie del Premio Torre Crawford, del quale presiede la giuria.



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Elle di Paul Verhoeven

Elle (Francia, Belgio, Germania 2016)

Regia: Paul Verhoeven. Soggetto: Philippe Djian. Sceneggiatura: David Birke. Fotografia: Stéphane Fontaine. Montaggio: Job ter Burg. Scenografia: Laurent Ott. Musiche: Anne Dudley. Paese di produzione: Francia, Belgio, Germania, 2016. Durata: 130’. Genere: Thriller, Drammatico, Erotico. Interpreti: Isabelle Huppert (Michèle Leblanc), Laurent Lafitte (Patrick), Anne Consigny (Anna), Charles Berling (Richard Casamayou), Virginie Efira (Rebecca), Judith Magre (Irène), Christian Berkel (Robert), Jonas Bloquet (Vincent), Vimala Pons (Hélène), Alice Isaaz (Josie), Stéphane Bak (Omar), Raphaël Lenglet (Ralph), Arthur Mazet (Kevin), Lucas Prisor (Kurt), Hugo Conzelmann (Philipp Kwan).

Michèle, a capo di un’azienda di videogiochi, una sera viene aggredita e violentata nella sua casa da uno sconosciuto con il passamontagna. Non si reca dalla polizia ma cerca da sola di scoprire chi sia il colpevole, pensando che possa trattarsi di uno dei suoi dipendenti.

Carnage (id., 2011) di Roman Polanski e Maps to the Stars (id., 2014) di David Cronenberg, sono tra i film più caustici e spietati realizzati negli ultimi anni. A produrli è stato Saïd Ben Saïd, che nel 2012 ha anche offerto a Brian De Palma, altro cineasta non proprio allineato, la possibilità di tornare dietro la macchina da presa con lo sfortunato, ma bellissimo, Passion (id.). Come se non bastasse, l’illuminato produttore franco-algerino ha pensato bene di mettere sotto contratto Paul Verhoeven, autore che in quanto a spietatezza artistica non è secondo a nessuno. E così, a dieci anni di distanza dal controverso Black Book (Zwartboek), il regista di RoboCop (id., 1987) e Basic Istinct (id., 1992) ha girato Elle (id.), la cui sceneggiatura (scritta da David Birke) è stata tratta dal romanzo «Oh …» (2012) di Philippe Dijan. Risulta subito evidente l’intenzione di realizzare un film non classificabile, che spiazza lo spettatore, convinto di trovarsi di fronte un thriller erotico o un rape & revenge. L’identità del colpevole (chiamiamolo così) è facile da indovinare e nonostante la protagonista, Michèle (interpretata da Isabelle Huppert: inutile lodarla) si armi di un martello e di uno potente spray al peperoncino, è altrettanto intuibile che Verhoeven non è interessato a mettere in scena la vendetta (la donna si limita a immaginarla) o a elaborare sequenze cariche di suspense. Cosicché a un certo punto il pensiero non va soltanto a Hitchcock, ma anche a certi enigmatici puzzle surrealisti e antiborghesi, intrisi di perfidia e umore nerissimo, firmati Luis Buñuel. Che il film di Verhoeven sia, sin dal titolo, la risposta femminile (e un omaggio) a El – Lui (El, 1953), uno dei tanti capolavori del maestro spagnolo? Certo, le somiglianze tra le due opere non sono molte, e Verhoeven non è Buñuel. Ha spesso il passo pesante e non sempre riesce a essere distaccato e ironico, in modo da rendere sopportabile la storia che racconta. In compenso pochi altri saprebbero allestire un teatro della crudeltà con altrettanto coraggio, esagerando con la carne al fuoco (digressioni erotiche, riferimenti religiosi, patologie assortite) ma riuscendo infine ad amalgamare magistralmente il tutto. E, cosa non scontata, filmando e montando con rara perizia. Il nitore del quadro che ne risulta finisce comunque per far scaturire una riflessione: il mondo (o una parte di esso) è davvero come lo dipinge Verhoeven (roba da invocare l’apocalisse) o la feroce, sottile componente satirica di Elle risiede proprio nella reazione che suscita?



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Rork – Anatomia di un Capolavoro

Rork è un personaggio creato da Andreas Martens (meglio noto come Andreas), autore nato in Germania Est visionario e geniale, conosciuto in Italia dagli anni 80 grazie alle pubblicazioni sulle storiche riviste L’Eternauta e Comic Art.

Disponibile in un’edizione integrale in due volumi grazie alla casa editrice Magic Press, Rork è un detective dell’impossibile, uno Sherlock Holmes degli eventi soprannaturali, a sua volta dotato di strani poteri e al centro di una lotta senza quartiere fra entità capaci di navigare fra i mondi e manipolare energie arcane. Le storie di Rork mescolano sapientemente fantasy, horror e fantascienza dal sapore vagamente Steampunk.

Quel che colpisce subito di Andreas è il tratto: duro, talvolta legnoso, talvolta inquietante, spesso spettacolare. Andreas concepisce le sue tavole come cattedrali (un intero episodio della saga di Rork, forse uno dei più belli e significativi, è ambientato in fantastiche cattedrali costruite nella giungla sud-americana e non a caso la copertina del primo volume si riferisce proprio a tale episodio). La cura del dettaglio è maniacale, senza mai dimenticare l’effetto d’insieme, un brano polifonico rappresentato su carta. E polifoniche (e politonali) sono le storie, mai scontate, mai banali, ricche di chiavi di lettura e di citazioni letterarie.

I fumetti di Rork ricordano la poesia ermetica, sono enigmi grafici in cui perdersi e perdersi nuovamente, da analizzare con la lente d’ingrandimento, da ammirare e rimirare. E il personaggio Rork mescola cinismo e umanità, così come la visione cosmologica di Andreas lascia intendere: siamo parte di un Universo che è troppo grande, troppo inconcepibile per considerarci… meno di nulla. Ma c’è comunque speranza, c’è comunque salvezza nella solidarietà.

L’importante non è prevedere tutto, ma non dimenticare niente – Andreas

Le prime storie di Rork sono frutto dell’Andreas più giovane – Frammenti e Passaggi sono usciti nel 1984 e, per sua stessa ammissione, sono in buona parte autobiografiche, rispecchianti la crisi personale che viveva in quei primi anni di carriera. Un personaggio lasciato a metà strada per esigenze editoriali e che viene ripreso da Andreas nel 1988 con Il Cimitero delle Cattedrali, seguendo una via creativa che ricorda un po’ il “Garage Ermetico” di un altro grande maestro, Jean Giraud Moebius. Partendo da un’immagine “forte”, da una visione – le cattedrali costruite nella giungla – l’autore avverte l’esigenza di spiegarne l’origine, nascono i personaggi degli esploratori, nasce Yosta, e poi… ecco che spunta lui, smagrito all’inverosimile, tornato da un altro universo: Rork redivivo che assumerà il suo posto nella storia, ritrovando se stesso.
Da qui in poi la saga è evidentemente maturata, così come il suo autore, e raggiunge altre vette di bellezza e bravura, allargando l’orizzonte narrativo con nuovi personaggi di cui uno avrà una serie tutta sua (Capricorno).

Il formato è 19×26 cm, i colori sono ottimi, la carta di buona qualità. Personalmente avrei preferito un formato più grande, ma immagino che non sarebbe stato possibile mantenere il rapporto qualità – prezzo molto interessante (25 euro per 256 pagine). Lettering adeguato, molto interessanti le pagine di presentazione.
Manca un po’ una versione in digitale, magari a corredo di quella cartacea, ma le vie dei diritti editoriali sono misteriose.

Rork: L’integrale vol.1 (di 2)
Brossurato 19×26 cm, 256 pp.
Codice ISBN: 978-88-7759-655-0
Editore: Magic Press Edizioni
Prezzo: 25.00 Euro
Rork: L’integrale vol.2 (di 2)
Brossurato 19×26 cm, 256 pp.
Codice ISBN: 978-88-7759-656-7
Editore: Magic Press Edizioni
Prezzo: 25.00 Euro

A cura di Edoardo Volpi Kellermann


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