Quel Casto matrimonio tra horror e hard

L' incontro tra l'horror e il porno non è una novità, se pensiamo allo scenario italiano anni '80 in cui Joe D'Amato miscelava hard e orrore in pellicole come Porno Holocaust. Il protagonista era sì uno Zombie che massacrava le sue vittime ma prima di ucciderle esigeva prestazioni sessuali. Unire l'horror all'hard, comunque, oggigiorno risulta un processo molto difficile, soprattutto per i videoclip. Infatti per quanto riguarda quei video musicali cosiddetti estremi, o sono horror, come ad esempio la clip della canzone Scream! dei Misfits, oppure sono marcatamente porno come il video Pussy dei Rammstein. E' difficile trovare questi due generi, diversi tra di loro ma comunque cugini e complementari. Il porno non differenzia molto dall'orrore per quanto riguarda la perpetrazione del mostrare, la telecamera fissa che inquadra ogni cosa sino all'esasperazione. Immanuel Casto, cantante che da quasi una decina d'anni è all'attivo con decine di brani 'proibiti' ha unito il Porn Groove, quel genere musicale che accompagnava i film hard anni '70, con il pop inserendo venature New Wave. I suoi testi sono rigorosamente espliciti elencando un vocabolario forbito di posizioni e metodologie porno. Quello che è interessante per quanto riguarda il versante horror è che nella sua ultima clip Deepthroat Revolution uscita recentemente nel giugno 2015, vi sono racchiuse elementi orrorifici. Immanuel Casto è accompagnato dalla band munita di corna in testa e sguardo assassino che sembrano rimandare alle visioni satiriche di Horns, il film di Alexandre Aja in cui il protagonista interpretato da Daniel Radcliffe, creduto un mostro, è condannato a portare i segni del demonio. Altro riferimento importante sono gli aghi conficcati nelle braccia di una spogliarellista che rimandano sì a pratiche bondage estreme ma anche a pellicole horror anni '80 in cui lo sfacelo della carne e la sua tortura erano l'ingrediente principale: un film su tutti Hellraiser.
In ultimo lo scenario è intriso di quell'aura post apocalittica che tanto caratterizzava i film post atomici alla Castellari e alla Martino, come I Guerrieri del Bronx piuttosto che 2019 - Dopo la caduta di New York. In una presunta fabbrica abbandonata che sputa fiamme come se si fosse all'inferno, si sta svolgendo un rave party dove si esibiscono dal vivo i demoni, mentre la folla commette 'atti impuri' intrattenendosi in riti orgiastici. In più Immanuel è vestito da novello Caligola, uscito appunto dalle malefatte indicibili di Io, Caligola di Tinto Brass. Ci sono esattamente buoni elementi visionari horror conditi da squarci voyeuristici, il tutto amalgamato da un testo molto spinto in cui la pratica sessuale del deepthroat vorrebbe cancellare la guerra e portare la pace nel mondo. 
Non sappiamo ancora nulla dell'album in atto e quindi se tutte le canzoni del nuovo disco di Immanuel Casto tracceranno questa linea, c'è però una nota curiosa che fa ben sperare.
La seconda traccia inedita che si può ascoltare su youtube è la canzone Rosso, oro e nero interpretata assieme alle musiche dei Soviet Soviet. Di per sé il brano non è spinto e il senso non è propriamente identificabile però racchiude un elemento affascinante: è una cover degli Einsturzende Neubauten, il gruppo industrial tedesco che suonava nel periodo punk con i martelli pneumatici e i trapani. Riusciamo al momento a sentire solo le parole, perché non c'è il video, però se Immanuel Casto decidesse di farne uno, forse potrebbe proprio ispirarsi al video originale della band industrial tedesca. La loro canzone si intitolava Sabrina e nel video trovavamo un mostro nel bagno, probabilmente di un autogrill, intento a lavarsi. Ha la faccia di un demone, con rimandi grotteschi alle deformità di Elephant Man e alla tipica faccia schiacciata dei vampiri del telefilm Buffy l'ammazzavampiri.
Forse finalmente l'horror e l'hard sono tornati insieme? Ce lo auguriamo tutti noi.
       
a cura di Francesco Basso
      

Fra l’Adriatico e il West - Edizioni Fernandel

La redazione GHoST segnala Fra l’Adriatico e il West, il nuovo libro di Eraldo Baldini edito da Fernandel Edizioni. Una raccolta di settantasette racconti comici, brillanti e surreali, a volte dissacranti, a volte iperbolici scritti dal maestro del «gotico rurale» che in questa occasione ci offre una cifra narrativa molto diversa. Storie venate di suggestioni del grande e del piccolo schermo, di chiacchiere da bar, di cultura pop e di ricordi paesani e d’infanzia. Racconti brevi e spiazzanti che restituiscono un profilo letterario inedito dell’autore di Mal’aria, Come il lupo, Nevicava sangue e diversi altri romanzi di successo.
Ma perché proprio settantasette? Perché negli Stati Uniti, oltre alla famosissima Route 66, c’è anche una meno famosa Route 77, che per la cronaca collega Bronsville, nel Texas, a Sioux City, nello Iowa. Luoghi che richiamano i miti del West, del cinema, del sogno americano vissuto da una terra ai confini con l’Adriatico che nel bene e nel male non ha niente da invidiare al Far West, a saperla guardare e leggere nella prospettiva epica e coinvolgente, seppure marcatamente ironica, di Eraldo Baldini.
Questi settantasette racconti commentano fatti di cronaca, trasmissioni televisive, eventi sportivi, vicende vere o fantasiose; a volte sono rivisitazioni sui generis della storia, della scienza e della medicina; brani scritti con uno humor intelligente e caustico, un po’ di cinismo e uno sguardo interrogativo, scanzonato ma attento sulla realtà. Un “divertissement” che non mancherà di irretire e di far sorridere.
Fra l’Adriatico e il West, anno: 2015, pagine: 240, codice ISBN: 978-88-9860-520-0, editore: Fernandel Edizioni.
     
Un assaggio del libro
Non ero mai entrato in una clinica psichiatrica, prima. Del resto, a quanto ne so, non ne sono rimaste molte dopo che la legge ha abolito i manicomi. C’è un qualche tentativo di pretesa allegria, le pareti sono dipinte a colori pastello caldi e rassicuranti. Ma le grate alle finestre e le grida che ogni tanto arrivano dalle stanze fanno rabbrividire. Ci sono malati che camminano persi nel loro vuoto, nel loro parlare da soli.
Raggiungo la camera della persona che cerco, un uomo di circa cinquant’anni, per farmi raccontare la sua storia: so che ha spesso momenti di lucidità.
Lo trovo che sta mangiando una pesca, gocciolandosi sulla camicia. Mi squadra a lungo prima di accordarmi un po’ di fiducia, poi comincia a rispondere alle mie domande con tono ora sommesso, ora acuto e nervoso.
Si chiama Antonio Vincenzi, è (era) un antropologo. Qualche anno fa, su indicazione di un suo collaboratore, aveva raggiunto un paesino della campagna romagnola, Bagnago: gli avevano detto, e la cosa non mancava di interessarlo e stupirlo, che ci viveva un personaggio strano, assolutamente degno di una visita e di un’indagine.
Aveva parcheggiato la macchina su una striscia di sterrato, davanti a uno spiazzo erboso su cui, tra gli sguardi ammirati di alcuni uomini, rombava un enorme trattore rosso. Poi si era avviato a piedi su quella che sembrava l’unica strada del paese, a parte alcune carraie che si perdevano tra alte pareti di granturco.
Le case, vecchie costruzioni coloniche non prive di una loro bellezza, erano tutte in fila sulla via. Poi all’improvviso l’aveva vista: una tenda, un teepee, di quelli che non mancano mai nei film western. Davanti a quell’inatteso ricovero, un indiano, con tanto di penne in testa, stava fumando a occhi chiusi un calumet.
Vincenzi, prima che l’uomo si accorgesse di lui, gli aveva scattato alcune foto. Per quel giorno poteva bastare. Aveva fretta e voleva sincerarsi che la pellicola restituisse tutta l’assurdità di quella visione, voleva essere certo che fosse vero.
Era tornato alla macchina ed era corso a Milano, nel suo studio. Da lì aveva inoltrato le foto a un collega che dirigeva un museo storico dedicato ai nativi americani, a Sioux City, nello Iowa, che gli aveva fatto avere una risposta in poche ore: non c’era dubbio, quello nelle foto era un indiano Potawatomi. L’abbigliamento e i disegni sul teepee lo testimoniavano senza tema di errore.
       
L'AUTORE
Eraldo Baldini è nato in provincia di Ravenna, dove ancora vive. È scrittore, saggista e sceneggiatore. 
In campo narrativo ha pubblicato, per Frassinelli, nel 1998 Mal’aria (Premio «Fregene»), nel 1999 Faccia di sale (Premio «Serantini»), nel 2000 Gotico rurale (Premio «Settembrini - Regione del Veneto»), nel 2001 Tre mani nel buio, nel 2002 Bambine. Per Aliberti, nel 2007, insieme a Massimo Cotto, Le notti gotiche. Per Edizioni Ambiente, nel 2007, Melma. Per Einaudi ha pubblicato nel 2003 Bambini, ragni e altri predatori, nel 2004 Nebbia e cenere, nel 2006 Come il lupo (Premio «Predazzo»), nel 2008 (con Alessandro Fabbri) Quell’estate di sangue e di luna, nel 2011 L’uomo nero e la bicicletta blu (Premio Internazionale «Montefiore Conca»), nel 2012 Gotico rurale 2000-2012, nel 2013 Nevicava sangue. Per l’editore Fernandel ha pubblicato nel 2015 la raccolta di racconti Fra l’Adriatico e il West.
Suoi racconti compaiono in diverse antologie. Le sue opere sono tradotte all’estero da importanti editori. In campo saggistico ha pubblicato numerosi volumi su tradizioni e  culture popolari: ricordiamo Halloween (Einaudi 2006) e Tenebroso Natale (Laterza 2012), entrambi scritti con Giuseppe Bellosi.
Ha scritto sceneggiature e soggetti per il cinema e la televisione. Dal suo romanzo Mal’aria è stato tratto il film tivù omonimo trasmesso in due puntate da Rai Uno nel 2009. Il suo sito è: www.eraldobaldini.it
      

Pensiero del giorno - Hugo Weaving 29/06/2015

Lo senti quello signor Anderson? Quello è il suono dell'inevitabilità! E' il suono della tua morte!! (Hugo Weaving in Matrix)
 
   

La morte di Laura Antonelli

Fa riflettere il fatto che dinanzi alla morte di un’attrice (non necessariamente) anziana e (per i più svariati motivi) un po’ decaduta (vedi Lilli Carati), si sprechino gli elogi funebri e i commenti iperbolici, ma soprattutto intrisi di pietismo morboso. Anche da parte di chi non se la filava quand'era in vita e nel massimo dello splendore. È successo, ovviamente, per Laura Antonelli, scomparsa giovedì 25 giugno: abbiamo letto e ascoltato una serie di banalità sottolineate senza vergogna. Ad esempio che “disse no a Hollywood”, sparato a caratteri cubitali dagli stessi quotidiani che, in un altro articolo, pubblicizzano una pessima serie televisiva americana. Per non parlare della triste retorica di certi miseri talk-show che in genere fanno sciacallaggio da anni sulle povere vittime di brutali omicidi. Laura Antonelli è stata una donna stupenda e di discreta bravura. Però tra i film che l’hanno vista protagonista quelli davvero buoni si contano sulle dita di una mano. Non tanto Malizia di Samperi (regista che l’ha fatta diventare una star e ne ha segnato, nel bene e nel male, la carriera) o Divina creatura di Patroni Griffi, che sono i più celebri. Piuttosto Trappola per un lupo di Chabrol, Passione d’amore di Scola nonché, ma solo in parte, Gli sposi dell’anno secondo di Rappenau e L’innocente di Visconti. Non malvagi, e certo memorabili per la sua bellezza, Venere in pelliccia di Dallamano e Il merlo maschio di Campanile. Per il resto la ricordiamo volentieri in alcuni episodi di Sessomatto di Dino Risi e nei tutto sommato divertenti Mi faccio la barca di Corbucci e Viulentemente mia di Vanzina. Ma, e lo si potrebbe scrivere a proposito della maggior parte delle attrici italiane (comprese le splendide trentenni che oggi lavorano nelle fiction e sulle quali nessuno si sogna di scrivere articoli elogiativi), i film migliori della sua carriera sono quelli che non ha interpretato.
     

La ragione dei sensi - Edizioni Tea

La redazione GHoST segnala La ragione dei sensi, il romanzo erotico d’esordio della scrittrice ferrarese Grazia Scanavini edito da Tea edizioni.
Il libro che nel 2011 si era aggiudicato il Premio Fiuggi come Miglior Romanzo Erotico Italiano dell’anno venne pubblicato dalla casa editrice Rusconi. Oggi, invece, esce con il marchio TEA Gruppo Editoriale Mauri Spagnol (GeMS) in versione completamente rivista dall'autrice stessa.
Il romanzo, giudicato molto positivamente dalla critica sia per l’efficace capacità narrativa che per il carattere attuale, tratta la vita di una giovane donna che affronta un periodo di riflessione intensa rispetto alla propria sessualità e alla condizione di donna felicemente sposata, che non rinuncia a stimoli estranei alla coppia. Una storia che potrebbe essere quella di tante donne che, al giorno d’oggi, stanno vivendo un periodo di transizione verso un nuovo concetto di libertà sessuale e non solo, dopo decenni di educazione perbenista che voleva la donna priva di iniziativa sessuale e relegata ad un ruolo secondario e conseguente a quello maschile. Un romanzo sì erotico ma che si distingue nel panorama della narrativa di genere poiché privo di volgarità e di situazioni all'eccesso, che corrisponde in toto allo stile e agli ideali dell’autrice.
Dalla pubblicazione del romanzo ad oggi, il percorso della scrittrice ferrarese si è sviluppato in diverse direzioni, dall'occuparsi della rubrica "Sesso senza tabù" per Starbene (Mondadori), alla fondazione nella capitale di SensualMente (la prima Associazione in Italia che si occupa di sensualità ed erotismo in termini culturali), a varie attività di collaborazione su fronti di studio psicologico nell'ambito della sessualità stessa. La professionalità con cui tratta i diversi aspetti di erotismo e sensualità è stata la chiave di crescita della scrittrice che a metà Luglio sarà impegnata all’EXPO di Milano per trattare il rapporto tra cibo e sessualità.
La ragione dei sensi, anno: 2015, pagine: 128, codice ISBN: 978-88-5024-036-4, editore: Tea Edizioni.
      
La storia
La vita ha concesso molto ad Anna: una naturale eleganza, un lavoro che le piace, un marito dolce e affettuoso, un bel bambino. Si potrebbe dire che abbia tutto. Ma forse non è così, se una sera senza nemmeno farci troppo caso, si ritrova a parlare con uno sconosciuto in una chat erotica. Lui si chiama Stefano ed entra nella vita di Anna come una strana onda di desiderio, calda e impetuosa, tutta però vissuta da lontano, per email, via sms, nell'immaginazione, anche la più sfrenata… Può una passione così travolgente esigere uno sbocco «nella vita reale»? Può un sogno bussare alla porta di una camera d'albergo, in una notte solitaria? O forse è meglio che resti tale?
    
Un assaggio del libro
Ancora una volta si era dovuta ridimensionare.
Appoggiando la testa sul cuscino aveva sentito l'odore impersonale della biancheria del letto di questo hotel,  l'ennesimo hotel.  Ma Parigi le piaceva, le entrava dentro  e lei  entrava dentro a Parigi quando stava lì, anche se a volte succedeva solo per poche ore. In realtà quasi ogni città diventava sua quando scendeva dalla scaletta dell'aereo. Poche volte si era sentita fuori posto in qualche luogo e per lo più le era successo in città italiane, forse perché all'estero si sentiva più  libera,  forse  perché  adorava la lingua francese, quella inglese  e quella  spagnola  che comprendeva alla  perfezione, così come adorava quella  giapponese,  quella  russa  o   quella finlandese anche senza conoscere il significato di una sola parola.
Stava stesa sul letto guardando oltre il vetro della finestra che si affacciava sul corso della Senna. Sembrava una bella giornata oggi, vista da lì. Il cielo appariva terso e soleggiato ma sicuramente fuori la temperatura era bassissima. La sera prima, rientrando da La Maison Noir, aveva passeggiato costeggiando la riva del fiume ed era stato emozionante per lei trovarci una nave rompighiaccio che creava lo spazio necessario alla navigazione dei battelli.
Amava il freddo, almeno quanto amava il caldo. In sostanza, amava tutto. Per lei ogni cosa aveva il valore necessario per essere giustamente apprezzata.   E ogni cosa, se non  rispondeva  alle attese,  aveva una ragione comprensibile.
Per questo stava lì immobile, coricata, i lunghi capelli neri sciolti sul cuscino e i pensieri a mille km di distanza: Alessandria o forse Asti o a metà circa... Stefano. Un numero di telefono, un indirizzo e-mail. Un insieme di immagini e rappresentazioni mentali generate da tanti piccoli particolari carpiti nei messaggi del telefono e nelle e-mail. Una delle emozioni  più forti della sua vita.
Era entrata in contatto con lui per puro caso, strana coincidenza. Un pomeriggio stava cercando un hotel sul PC per un weekend fuori Milano quando apparve una finestrella di quelle lampeggianti che invitava a provare nuove emozioni. "Nuove emozioni?"   si chiese. Cliccando pensò se avere più dubbi sul fatto  che fossero emozioni o sul fatto che fossero nuove.  Comparve davanti ai suoi occhi  una disinvolta  venticinquenne che  non lasciava nulla all'immaginazione. Lunghi capelli biondi che scendevano sulle spalle seguendo il corso delle braccia, appoggiandosi in modo quasi naturale su di  un seno non generoso  e  lasciando completamente scoperto l'altro. La ragazza era seduta, con le gambe aperte ed il collo leggermente reclinato in avanti.  Tra i denti  aveva infilato  un dito nel mal riuscito tentativo di mostrarsi accattivante mentre con l'altra mano  sfiorava  un  clitoride all'apparenza per niente eccitato.  Anna chiuse  la finestra, per nulla attirata da queste "nuove emozioni". Continuò il suo excursus tra hotel vari ma le girava in testa l'immagine di questa ragazza. Pensò a quanto fosse freddo e montato il  suo atteggiamento e a quanti uomini però, capitando su questa fotografia, avrebbero cliccato  per  vedere di più. Che strano.
Ritornò sull'immagine della ragazza e si ritrovò a sfiorarsi un capezzolo costretto nel reggiseno sotto la maglietta e lo scoprì turgido.
Quello era un sito di annunci erotici, uno delle tante migliaia di siti che propongono tutto quello che l'ipocrisia nega. Scorrendo le varie opportunità d'incontro suddivise per categorie, si soffermò su "donna cerca donna". Non era di certo la prima volta che curiosava su un sito pornografico, le piaceva, la eccitava, anche se purtroppo li trovava sempre troppo eccessivi.  O meglio, le piaceva  guardare immagini di sesso tra adulti normali che fossero singoli o coppie o più numerosi, le piaceva spiare il loro modo di darsi piacere; quel  che non la soddisfaceva erano i montaggi, i travestimenti, le messe in scena. A lei  piacevano il sesso e le sensazioni che derivano dall'eccitazione e dal piacere, tutto qua.
 "Donna cerca  donna".  Proposte di ogni genere e più leggeva più si sentiva bagnare. Annunci con fotografie o solo con allusioni: chi cercava sesso, chi cercava amore vero, amicizia sincera, no uomini grazie, solo seriamente convinte... un mondo! Diverso, nuovo, cui forse non aveva mai pensato. Continuò a leggere annuncio dopo annuncio, guardare foto dopo foto.
Una mano scivolò tra le gambe.
    
L'AUTRICE
Grazia Scanavini nasce il 6 Agosto 1973 nella provincia di Ferrara.
Da sempre interessata alle dinamiche erotiche e sentimentali, dal 2009 pubblica racconti erotici su antologie in Italia e in Gran Bretagna, scrive soggetti cinematografici e collabora con alcune riviste femminili.
Nel 2010 esordisce con il  romanzo La ragione dei sensi ottenendo il Premio Fiuggi come Miglior Romanzo Erotico Italiano.
Nel 2013 fonda a Roma SensualMente, la prima Associazione Culturale, in Italia, che si occupa di sensualità ed erotismo.
Scrive per il settimanale Starbene (Mondadori).
Per altre informazioni e/o contatti: http://www.graziascanavini.com
      

Intervista con Ruggero Deodato

Ruggero Deodato è nato a Potenza il 7 maggio 1939. Inizialmente regista di commedie e polizieschi all'italiana (poliziotteschi), si afferma con la direzione di pellicole horror, in particolare di genere cannibal, divenendo noto per il contenuto estremo dei suoi film, che gli hanno portato numerosi problemi con la censura e gli hanno procurato il soprannome di Monsieur Cannibal.
Cannibal Holocaust, probabilmente il suo film più famoso, è considerato uno dei più agghiaccianti e controversi della storia del cinema, per il quale Deodato finì persino in tribunale.
Tra i suoi numerosi film ricordiamo: Uomini si nasce poliziotti si muore, Ultimo mondo cannibale, Concorde Affaire '79, La casa sperduta nel parco, I predatori di Atlantide, Inferno in diretta, The Barbarians e Un delitto poco comune.
Congiuntamente alla carriera cinematografica, lavora anche per la televisione, dirigendo alcune serie televisive e spot pubblicitari per diversi importanti marchi come Fiat, Philips, Carrera, Seat Ibiza, Renault, Sperlari, Kraft e Buitoni.
     
Può raccontarci come è diventato regista e con quale film esattamente ha esordito dietro la macchina da presa?
   
Dopo una sessantina di film come aiuto, un produttore mi chiamò per fare l'assistente a Steno. In quel periodo erano esplosi i Beatles ed io ero conciato come loro, capelli lunghi, camicioni indiani e collane al collo. Steno così conciato non mi volle e il produttore allora mi fece firmare un contratto per due film come regista. I film furono Donne botte e bersaglieri e Vacanze sulla costa Smeralda.
   
Ci sono due film, tra i suoi primi, che mi piacciono particolarmente. Uno è "Gungala la pantera nuda", che tra l’altro ha un’ambientazione esotica che segnerà gran parte del suo cinema successivo. Ce ne può parlare?
   
Un film dove il mio nome non è ufficiale. Ho sostituito un regista e ho girato tutta la parte in Kenia ed alcune scene interne a Roma.
   
Il secondo è "Zenabel", con Lucretia Love, un film ricercatissimo dagli appassionati. Che ricordo ne ha?
   
Un film molto divertente, pieno di belle donne e con dei grossi calibri di attori americani. Purtroppo il film uscì il giorno della bomba in piazza Fontana a Milano e il pubblico evitò in quel periodo i locali chiusi.
   
Lei è unanimemente considerato un maestro del cinema violento. Le fa piacere o no?
   
Diciamo che nella vita sono un uomo veramente mansueto. In effetti quando giro un film mi immedesimo nel soggetto e se questo è violento... Poi la mia tecnica fa il resto.
   
Molti si attribuiscono la paternità dei film sui cannibali. Eppure gran parte degli studiosi ritengono che sia stato lei a creare questo genere. È così? E come è nata l’idea di "Ultimo mondo cannibale"?
   
Almeno questa paternità lasciatemela. La trama del film la presi da un fatto realmente accaduto: un figlio di Rockfeller cadde con il suo Cessna in una foresta equatoriale e ai tempi si disse che dei cannibali se lo mangiarono. Le locations le scelsi guardando delle immagini su National Geographic fotografate nella jungla di Mindanao.
   
Un critico, ultimamente, mi ha detto che chiunque vorrà scrivere un trattato sulla rappresentazione della violenza sul grande schermo, dovrà fare i conti con "Cannibal Holocaust". Lei mentre girava era consapevole che stava segnando una tappa fondamentale del cinema estremo?
     
No. Decisamente no. Pensavo di fare un film di cronaca di quei tempi. La televisione trasmetteva servizi con scoop violenti che alcuni giornalisti mistificavano pur di far effetto sul pubblico.
   
Organizzare un set nella giungla quali difficoltà comporta?
   
Bisogna fare attenzione a tutto ciò che si muove, ci sono serpenti, alberi che cascano improvvisamente, sanguisughe e acquazzoni che cambiano continuamente il set e tanti, tanti insetti.
   
Ha ripreso il genere cannibali e reportage con "Inferno in diretta", il cui titolo dice tutto. Come furono accolti questi film dalla critica del tempo?
   
Come al solito. Brutte critiche e grande successo di pubblico.
   
Lei ha diretto film di vari generi (tranne western, se non sbaglio). C’è un genere che le piace più degli altri?
   
Non è esatto. Ho girato anche un western comico, I quattro del Pater Noster, con Villaggio, Montesano, Toffolo e Lionello. Il mio genere preferito è il film verità, diciamo il neorealismo, rifacendomi al mio Maestro Rossellini.
   
È vero che vorrebbe girare un seguito di "Cannibal Holocaust"?
   
Ora mi piacerebbe, ma non è facile trovare un produttore.
     
Lei è stato aiuto di registi molto importanti: Roberto Rossellini, Sergio Corbucci, Antonio Margheriti, Riccardo Freda e Giorgio Ferroni. Può dirci qualcosa di loro?
   
Rossellini, il carismatico e l'umano, Corbucci, il crudele, Margheriti, il tecnico, Freda, il genio, Ferroni, un vecchio, troppo vecchio mestierante.
   
Tra i film di Corbucci ce ne sono due con Totò. Che ricordo ha del grande comico?
   
Con Corbucci di film con Totò ne ho fatti cinque o sei. Totò era un comico straordinario e nella vita un vero signore. Quando si girava un film con lui bisognava fare attenzione a non ridere poiché era tutta improvvisazione e sarebbe stato difficile ripetere le scene.
   
Chi ha visto i suoi gialli "Ragno gelido" e "The Washing Machine" ne ha un ottimo ricordo, eppure in Italia sono poco conosciuti. Come mai?
   
I produttori non erano all'altezza per poter far uscire i due film. Troppe spese di pubblicità. Quindi preferirono venderli alle televisioni estere.
   
A me è piaciuto anche "Un delitto poco comune". È soddisfatto di questo film?
   
Abbastanza, forse avrei preferito accorciarlo di dieci minuti. Ma i produttori e sceneggiatori me lo impedirono.
   
Edwige Fenech è una delle interpreti-simbolo del nostro cinema di genere. Come si è trovato con lei?
   
Molto bene. È una persona corretta e professionale.
   
A proposito di attrici: ce ne sono alcune con cui si è trovato particolarmente bene?
     
Si. Irene Papas.
   
Negli ultimi anni ha diretto soprattutto serie televisive. A mio parere "Noi siamo angeli" e "Sotto il cielo dell’Africa" sono tra le cose migliori viste sul piccolo schermo. Ci può spiegare quali differenze (se ci sono) esistono tra dirigere un film e un serial di varie puntate?
   
Allora era la stessa cosa, ora purtroppo bisogna correre e fare minutaggio e la qualità è più scadente.
   
Non vorrei generalizzare, però mi sembra che la qualità dell’immagine del cinema che si faceva fino a dieci anni fa e quello che si fa adesso (per non parlare della televisione) sia mediamente peggiorata. È colpa delle nuove tecniche?
   
No. Colpa dei Network e della mancanza di concorrenza.
   
Nel 2001 ha diretto un’altra serie con Bud Spencer, "Padre Hope", che ancora non è stata trasmessa. Per quale motivo?
   
Credo si attenda il nuovo esecutivo della fiction RAI.
     
Tra l’altro lei ha girato il suo primo serial nel ’68, "Il triangolo rosso". Di cosa si trattava?
     
Una fortunata serie della polizia stradale che è servita molto come educazione alla guida. Gli attori erano Jaques Sernas, Elio Pandolfi, Riccardo Garrone e via via altri grandi attori dell'epoca, primi anni settanta.
   
Ha diretto anche molti spot pubblicitari. È stato uno dei primi registi a fare cinema e pubblicità, prima dei vari Ridley Scott e Adrian Lyne. Pensa che lo stile di un regista possa essere influenzato dal fatto che dirige spot?
     
Senz'altro la pubblicità insegna il ritmo e l'eleganza delle immagini.
   
Un altro suo film che a me piace particolarmente è "Concorde Affaire ‘79". Che è molto di più di un film catastrofico, con una storia inquietante. A lei è piaciuto farlo?
   
Moltissimo. Ho avuto modo di visitare svariati paesi: Martinica, Stati Uniti, Brasile, Londra e ho lavorato con dei grandi attori americani tra i quali Joseph Cotten, premio Oscar per il Terzo Uomo.
     
La splendida colonna sonora di "Concorde Affaire ‘79" è di uno dei più grandi musicisti italiani, Stelvio Cipriani. Avete lavorato bene insieme?
   
Sì. Devo dire bene. È un vero professionista e ha soddisfatto i miei desideri.
     
Vorrei chiederle qualcosa sui suoi gusti cinematografici: ci sono dei registi contemporanei che ammira in modo particolare, o dei film recenti che le sono piaciuti?
   
Vado al cinema quasi ogni giorno e mi comporto non come un critico, ma come uno spettatore medio. Adoro Spielberg, Ridley Scott, Bertolucci e anche il nuovo Muccino. Amo molto seguire le storie girate nella maniera più semplice, in questo gli inglesi sono imbattibili.
     
Un argomento che purtroppo è un tormentone: che fine ha fatto (o sta facendo) il cinema italiano?
   
E' finito male... è caduto nella melma.
     
Recentemente parlavo con uno sceneggiatore, e mi diceva che secondo lui uno dei registi che ha fatto più danni è Nanni Moretti. La pensa anche lei così?
   
Non più di tanto, per lo meno le storie le sa raccontare.
   
Secondo lei perché i nostri film di genere sono più apprezzati all’estero che in Italia? O, se vogliamo, perché sono i registi stranieri (Tarantino, Rodriguez, Fincher eccetera) ad ispirarsi a Deodato, Di Leo, Fulci, e non i giovani italiani?
     
Perché purtroppo i nostri giovani italiani non hanno umiltà. Quando li incontro mi fanno sentire una nullità, tanta è la loro presunzione e si vestono tutti come tanti Fellini trendy.
   
Quello che mi ha sempre colpito del suo stile è l’estremo realismo, anche nell’uso della violenza. Lo ha forse imparato da Rossellini?
   
L'ho già detto prima. Certamente sì.
   
Ha diretto due slasher molto interessanti: "La casa sperduta nel parco" e "Camping del terrore". Le piace girare film del terrore?
     
Non molto, ma a distanza di anni ho rivalutato moltissimo La casa sperduta nel parco.
 
Una domanda forse banale ma indispensabile: quali progetti ha in cantiere?
   
Ne ho due o tre ma non sarà facile realizzarli.
     
Possiamo sperare in un nuovo film horror?
   
Spero molto anch'io. Mi viene chiesto da molti miei fans.
    
a cura di Roberto Frini
    

Pensiero del giorno - George Santayana 27/06/2015

Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo. (George Santayana)
 
   

La leggenda vien mangiando - Edizioni PresentARTsì

La redazione GHoST segnala La leggenda vien mangiando, il nuovo libro di Simona Cremonini edito da PresentARTsì Edizioni, una raccolta di storie magiche e curiose attorno all'enogastronomia, aneddoti e racconti sulla nascita di cibi e vini: un percorso nella tradizione popolare, fra le leggende che raccontano l'origine di singoli cibi, vini e ricette.
Oltre 180 intrecci narrativi e aneddoti spiegano come viene narrata la nascita di un cibo, di un vino, di una ricetta, dalla tradizione italiana o estera, in un viaggio/menu sviluppato lungo l’Italia e oltre e che non salta nemmeno una portata: le leggende si collocano infatti dai primi alle zuppe, dai risotti alle carni, dagli affettati alle verdure, dai condimenti alla frutta, fino ai dolci, alle bevande, ai vini. Un percorso tra alimentazione e gusto, ma soprattutto tra fantasia e folklore, che si conclude con due lunghe sezioni sui proverbi legati ai cibi e sulle superstizioni e tradizioni più stravaganti che li riguardano. Le leggende raccolte sono legate all'intero territorio nazionale, ma non solo.
Ma in cosa consistono queste leggende? Sono storie che, come recita la quarta di copertina, "nascono per esaltarne gusto e prestigio, per glorificarne l’inventore, oppure più semplicemente per manifestare la meraviglia che certi sapori, odori, colori e certe ricette sono in grado di suscitare in noi e sulle nostre tavole, come se quella sensazione fosse indispensabile spiegarla".
Per altre info sul libro e sui primi eventi di presentazione: www.simonacremonini.it
   
QUARTA DI COPERTINA
Errori, coincidenze, magie, invenzioni creative: è spesso da queste situazioni che nascono cibi, ricette e vini, protagonisti di quelle storie popolari chiamate "leggende".
Questo libro le riunisce in un appetitoso “menu” in 180 tappe, lungo l’Italia e oltre: tra alimentazione e gusto, ma soprattutto tra fantasia e folklore.
Molti dei cibi che consumiamo e dei vini che beviamo nascondono non solo “la” Storia, ma “una” storia, ovvero una leggenda popolare che racconta come essi sono nati, narrata per esaltarne gusto e prestigio, per glorificarne l’inventore, oppure più semplicemente per manifestare la meraviglia che certi sapori, odori, colori e certe ricette sono in grado di suscitare in noi e sulle nostre tavole, come se quella sensazione fosse indispensabile “spiegarla”.
Che esse siano verità, che abbiano una base storica o che siano solo la creazione di qualche cantastorie o di qualche buon promotore turistico, non fa molta differenza: la bellezza delle leggende sta anche nel saperle, semplicemente, assaporare.
    
L'AUTRICE
Simona Cremonini è nata il 23 febbraio 1979 e vive a Montanara, un paese vicino a Mantova. Professionista copywriter, ha collaborato con aziende locali, nazionali e internazionali del vino e del settore food, appassionata da sempre di folklore, l'autrice dal 1998 conduce una ricerca sulle leggende della “regione del Garda”, sulla quale ha pubblicato 7 libri di saggistica e narrativa.
Dall'incontro tra l'attività di copywriter per aziende del vino e del food e la passione per la narrazione popolare è nato questo libro.
    

Pensiero del giorno - Karen Black 26/06/2015

Colui che uccide... Certo che sei veramente brutto! Che espressione orrenda!! Perfino tua madre te l'avrà detto... (Karen Black in Trilogia del terrore episodio Amelia)
 
   

Orrori di ieri, oggi e domani - Edizioni Trame Dei Sogni

La redazione GHoST segnala Orrori di ieri, oggi e domani, opera horror di Giorgio Borroni edita da Trame Dei Sogni Edizioni. Il libro raccoglie le storie di tre audiolibri scritti dall'autore, tre racconti di genere horror e cyberpunk horror dal ritmo incalzante e dalle atmosfere sinistre.
    
LE STORIE
Hello, Darkness: Jeremy Case è un reduce del Vietnam ossessionato da Johnny Boy, morto durante un’imboscata. Ogni notte Case sogna di essere trascinato all’inferno dallo spirito del commilitone, che non gli perdona di essersi salvato dai Vietcong. A distanza di anni, Jeremy non riesce a dormire, e passa le sue notti guardando un programma, True Crimes, che indaga su uno spietato serial killer che ha preso di mira i clochard della zona. La vita di Jeremy sembra cambiare quando Milla viene a vivere nell’appartamento sopra al suo. Il reduce si innamora di lei immediatamente, ma la donna sembra preferire le attenzioni di Hank, un rozzo energumeno che si stabilisce da lei. L’esistenza di Jeremy sembra così ripiombare nell’abisso, fra le manifestazioni di Johnny Boy sempre più insidiose e dormiveglia che lo mettono in uno stato di prostrazione: come se non bastasse, Hank comincia a fare violenza a Milla. Il reduce non potrà sopportare questa situazione a lungo e si ritroverà a prendere una decisione che cambierà per sempre la sua vita.
Orrore d’autunno: Alfio si è cacciato in un brutto guaio: è in crisi da astinenza da eroina e Jessica, la sua ex, insieme al fratello ritardato Maicol lo hanno trascinato in un brutto affare. Per ottenere i soldi per una dose, nella notte di Halloween, hanno deciso di entrare in una casa di campagna dove si dice che il vecchio che ci abita possegga una fortuna, lasciatagli dalla celebre cantante lirica Agnese Cipriani, ormai morta da anni. Quello che i tre balordi non sanno è che non ci sarà solo un povero vecchio a fare gli onori di casa. Quale oscuro segreto nasconde quell’isolata villetta di campagna?
Midnight Club: In un futuro non troppo lontano ci sono gang di artisti che si sfidano a colpi di ologrammi: Moderntech dalle bianche livree contro i cupi Melancotech, dal look e dai gusti dark. Dez è un artista di psico-ologrammi squattrinato: il suo manager, Art-come-arte gli procura degli incontri clandestini al Midnight club, in cui vince chi riesce a spaventare l’avversario con le proprie creazioni. Dopo le ultime umilianti sconfitte, l’artista deve per forza vincere il prossimo match e per farlo è disposto a tutto, anche iniettarsi una droga sperimentale che aumenta la capacità creative. Rob, il gangster che gestisce il Midnight Club ha però in serbo un misterioso avversario speciale per Dez, che dovrà fare i conti con i propri limiti e gli effetti collaterali della droga.
Le tre audiostorie di varia durata in mp3, distribuiti dal Narratore Audiolibri e lette dall'attore Edoardo Camponeschi, corredati di pdf dei testi e di musiche originali di vari artisti sono acquistabili separatamente direttamente da qui: http://www.ilnarratore.com/autori/idx/1113/Borroni-Giorgio.html
Il libro stampato invece può essere acquistato qui: http://www.tramedeisogni.com/collane/13-collane/fuori-collana.html?layout=blog
Orrori di ieri, oggi e domani, Anno: 2015, Codice ISBN: 978-88-9406-851-1, Editore: Trame Dei Sogni Edizioni. 
       
L'AUTORE
Giorgio Borroni (1977), dopo la laurea in Lettere presso l'Università di Pisa e il diploma in Fumetto conseguito presso la Scuola Internazionale di Comics di Firenze, ha curato e tradotto le edizioni di Frankenstein di Mary Shelley per Feltrinelli e di Dracula di Bram Stoker per Barbera. Ha tradotto Io morirò domani, un thriller di Dawood Ali McCallum edito da Giunti ed è autore di un manuale di Letteratura Italiana per Liberamente. Da sempre appassionato di fumetti, ha collaborato con BD e J-pop per la traduzione di graphic novel come Parker di Darvyn Cooke, Body Bags di Jason Pearson, Battlechasers di Joe Madureira e della serie manga The legend of Zelda, Warcraft, Starcraf't. Un suo breve racconto, L'America che non conosci, è stato pubblicato da Dunwich sull'antologia horror La serra trema. Come illustratore ha lavorato su numerose copertine di Anonima GDR webzine e le sue opere compaiono sul numero 7 della rivista digitale Altrisogni.
     

Pensiero del giorno - William Hazlitt 25/06/2015

L'arte di riuscire simpatico consiste nel trovare simpatici gli altri. (William Hazlitt)
   
     

L'uomo che tornò indietro di William Gerhardi

Ero stato invitato a una festa da una ragazza molto bella, ma il suo vecchio padre era un uomo così interessante e intellettualmente attivo che, mi dispiace dirlo, faceva sbiadire sua figlia. Vivevano in una villa bianca, in un bosco di pini vicino al mare, in fondo a un istmo raggiungibile in mezz'ora di barca.
Incontrai quell'uomo subito dopo il mio arrivo, mi ricordo; un uomo molto vecchio e malato, con baffi ricurvi, passo strascicato nelle ciabatte da camera e una specie di giacca imbottita abbottonata fino al collo.
Nell'apprendere che io ero un romanziere egli reputò una necessaria cortesia incominciare un discorso sulla letteratura, che prese la forma di un flusso di conoscenza che niente poteva interrompere.
Sua moglie, che affermava di essere una poetessa, fece pochi, patetici tentativi per mostrarmi le favorevoli recensioni che aveva ricevuto dalla Stampa.
Era tutto inutile. Lui aveva così tanto da dire a un visitatore letterato, che non intendeva lasciar posto alle chiacchiere di sua moglie riguardo i suoi poemi, i quali, mi  fece capire, erano poco importanti.
L’uomo era terribilmente malato. Si poteva vederlo dallo sforzo che faceva per parlare. Ma non poteva farne a meno. La sua dentiera si muoveva pericolosamente mentre parlava e ogni tanto egli si stringeva la mano sul cuore dicendo: “Mi scusi se mi interrompo un momento. Mi passerà subito”.
Era allora che sua moglie si intrometteva con le sue poesie. Ma non per molto. Il vecchio tirava giù le gambe dal sofà e rimettendosi seduto riprendeva il discorso: “Un altro Elisabettiano che amo molto è...” E la breve intromissione di sua moglie era finita.
La conoscenza del vecchio era stupefacente. Comprendeva la letteratura di ogni Paese incominciando dall'inizio fino ai giorni nostri. Nella letteratura inglese la sua conoscenza andava da Chaucer a Mr. David. Garnett. E la cosa straordinaria era che lui, pur comprendendo ogni cosa che leggeva, pronunciava male i nomi degli Autori inglesi, sbagliando spesso gli accenti. La sua conoscenza mi colpì perché era molto accurata, come lo erano le sue critiche e le sue stime, ma a causa della vasta gamma di materiale le critiche prendevano la forma di commenti a tracce letterarie anziché rivolgersi a singoli autori.
Toccando il tema della poesia mistica gli chiesi se credesse in qualche forma di immortalità. Lui fece una pausa. Era la prima pausa che faceva stando in posizione seduta, e sua moglie disse immediatamente:
“Io ho provato nei miei poemi....”
Ma egli la sommerse con la sua veemenza:
“No” disse pensieroso.
Poi rifletté profondamente:
“No, non posso dire che ci credo. Mi spiace, ma non posso. Mi dispiace che tutta questa conoscenza laboriosamente accumulata deva andare perduta con la mia morte. Poiché io non ho mai scritto né fatto conferenze; neanche durante la mia lunga carriera al Consolato Francese ho avuto l’opportunità di impartire la mia Conoscenza a qualcuno intelligente e capace di assimilarla.
Non sarà lasciata neanche una parola. Mi dispiace. Ma è così, e io mi inchino all’inevitabile. Ciononostante non posso interrompere il mio lavoro. Continuo ancora a leggere, poiché ho sete di conoscenza. E’ l’unico lusso che posso permettermi alla mia età. Io leggo, anche se so che i miei giorni stanno per finire. Poiché so che mi resta poco tempo, io leggo di più; ho una fretta terribile di raggiungere la grande massa di conoscenza che mi è ancora preclusa. Leggo finché mi addormento. Leggo appena mi sveglio al mattino e per tutto il giorno. E qualche volta mi chiedo, sapendo che non vivrò più di un anno o due, se tutti questi miei sforzi per leggere non siano completamente inutili.”
   
***
    
Quando lo rividi, un anno dopo, egli era così malato che mi chiese di continuare il suo discorso stando sdraiato. All'improvviso si fermava, si premeva una mano sul cuore e restava in silenzio per un po' di tempo.
“E’ passato” diceva quando riprendeva il discorso:
“La Commedia degli Umori, benché indubbiamente cruda, seguiva la giusta pista nello scoprire che l’individualità dei personaggi si manifesta attraverso la reiterazione; e scrittori sottili come Cechov sapevano ricreare personaggi ingegnosi per mezzo della ripetizione...”
"Riposa”, diceva sua moglie "e lasciami. leggere la lirica indù che ho appena finito di tradurre. Sono sicura che Miseter..."
Ma lui seguitava imperterrito:
“Mentre la poesia di Shelley è metafisica, io pongo I Segugi del Cielo di Francis Thompson fra la categoria dei mistici; mentre La Regina delle Fate di Spencer è…”
Allora si metteva una mano sul cuore e restava in silenzio per dieci minuti.
Quando si sentiva meglio diceva, indicando col mento gli scaffali:
“La mia biblioteca adesso è completa. Come soffro nel pensare che dovrò lasciarla qui. Ci sono là dentro libri che non ho ancora letto. Notte e giorno leggo i miei libri, leggo contro il tempo. E’ una specie di bramosia, se possiamo chiamarla così. Ma non posso sopportare il pensiero di lasciare qualche mio libro senza averlo letto. Per me essi sono come esseri umani.”
Il  vecchio inspirava violentemente, con la dentiera che minacciava a ogni momento di cadere per terra, e concludeva:
“Se esiste una forma di personale immortalità in serbo per noi, io spero che l’Oltremondo per ciascuno di noi sia modellato secondo i propri desideri, e che il mio paradiso contenga grandi stanze soleggiate, con innumerevoli libri dentro infinite librerie, affinché io possa leggere, leggere, leggere per tutta l’eternità, senza avere mai più problemi di tempo!”
"Ma quali libri?", chiedevo. "Questi libri?"
"Ah! Spero di sì! Poiché ci sono libri qui dentro che io non riuscirò mai a leggere. Il mio tempo sta per finire."
Mentre me ne stavo andando lui indicò un pacco sul tavolo:
"Poesia persiana."
"E’ buona?"
"Non so. Non ho ancora aperto il pacco," disse con una espressione di avidità, "Glielo dirò la prossima volta."
   
***
   
Ma la prossima volta che arrivai in una notte piovosa (poiché ero stato invitato a una festa da amici che vivevano sull'istmo ma avevo sbagliato la data e perduto l’ultimo traghetto per Toulou) la cameriera mi disse che le signore erano andate in città e non sarebbero tornate prima di mezzanotte.
Decisi allora di aspettarle in biblioteca. Presi un libro e incominciai a leggere.
Fui sorpreso, circa un'ora più tardi, nell'udire il rumore di passi che si avvicinavano. Ma era solo il vecchio che arrivava con le sue ciabatte da camera e la giacca imbottita, bianco come uno spettro alla luce della luna che entrava dai vetri della veranda. Egli era sceso dalla sua stanza da letto per prendere un libro in biblioteca.
Mi alzai in piedi. Lui fece una pausa e mi guardò; la sua bocca si mosse convulsamente, ma non uscì nessun suono. Poi raggiunse lo scaffale, tirò giù due grandi volumi e tornò indietro uscendo dalla porta.
Forse non mi aveva visto, pensai; oppure stava sognando o camminando nel sonno, o la sua malattia gli aveva danneggiato la vista.
"Tuo marito è sceso a prendere i libri, ma evidentemente non mi ha riconosciuto" dissi il mattino seguente a sua moglie  che era tornata da Toulou insieme alla figlia.
La donna mi guardò con stupore:
"E’ morto tre settimane fa, di venerdì."
La guardai sbalordito:
"Ma l'ho visto. E’ sceso giù per i libri e ha preso due volumi."
Andammo nella biblioteca e lei notò subito il posto vuoto. Allora cercò nel catalogo per sapere i nomi dei libri mancanti. Essi erano: Lettere di Lord Byron volume 1 e 2.
   
***
    
Non tocca a me dare una spiegazione, io scrivo solo i fatti e le circostanze.
Se pensate che io sia pazzo mi farò visitare da un dottore; e se, trovandomi sano, sospettate che anche il dottore sia un allucinato, lo faremo esaminare da un professore.
    
traduzione a cura di Sergio Bissoli
    

Pensiero del giorno - Epitteto 24/06/2015

Ciò che turba gli uomini non sono le cose, ma le opinioni che essi hanno delle cose. (Epitteto)
   
     

Jurassic World di Colin Trevorrow

Sono passati ventidue anni e Isla Nublar si popola nuovamente; la lussureggiante isola ospiterà finalmente, come John Hammond aveva a suo tempo progettato, un parco per famiglie a tema dinosauri: la notorietà del parco inizia però presto a diminuire, così come le sue visite. Per risolvere il problema, i proprietari decidono di aprire una nuova, grandiosa attrazione. Ma tra le minacciose ombre dell'Isla Nublar, l'imprevisto è in agguato...
Quarant’anni fa il corrispettivo di un film come Jurassik World avrebbe potuto essere La terra dimenticata dal tempo o, per rimanere negli Stati Uniti, Piranha, per certi versi più evoluto e dinamico (più americano) del piccolo capolavoro britannico firmato Kevin Connor. A Piranha, tra l’altro, Jurassik World somiglia: qua l’intenzione del cattivo di turno è di usare i velociraptor a scopi bellici, mentre nel film di Joe Dante i piranha, dopo una serie di esperimenti scientifici, erano stati liberati nei fiumi del Vietnam per sterminare i nemici (ma sono rintracciabili riferimenti ad altre pellicole con protagonisti killer acquatici, Lo squalo 3 e Tentacoli, ad esempio). Ovviamente sotto il profilo produttivo ogni paragone risulta improponibile, ma qualcosa dello spirito di quei film sembra – incredibilmente – sopravvivere in questo blockbuster dagli incassi stratosferici. L’arrivo dei due fratelli nel futuristico parco dei dinosauri rende bene la sensazione che potrebbero provare due ragazzi (più il piccolo del grande, a dire il vero, essendo quest’ultimo maggiormente interessato alle coetanee) di fronte a una meraviglia del genere. Si può intravedere la mano di Steven Spielberg dietro (quanto dietro, non è dato saperlo) le quinte. D'altronde è stato uno dei primi cineasti, verso la fine degli anni Settanta, a fare di bambini e adolescenti i protagonisti del cinema fantasy (nonché i principali spettatori, di conseguenza), adottandone in vari casi magistralmente il punto di vista. Il regista Colin Trevorrow (ibrido tra un giovane di belle speranze – avendo un solo lungometraggio per il cinema all'attivo – e uno yes-man, figura oggi molto in voga) non ha un compito facile: da una parte deve soddisfare in primis il target di quattordicenni o giù di lì a cui il film è rivolto, dall'altra deve dispensare spaventi senza esagerare in efferatezze. Risolve brillantemente (?) il problema ponendo sempre fuori campo le truculente aggressioni dei dinosauri o schermandole nei modi più disparati (con le fronde di un albero, con un automezzo rovesciato). Gli effetti orripilanti (come quelli speciali, ovvio) hanno comunque una discreta efficacia e l’azione non manca. Se si escludono i primi e gli ultimi cinque minuti, nonché varie parentesi dialogate (che non si discostano molto da quelle di un qualsiasi film per la tv) e si riesce a sorvolare sui messaggi ipocriti (contro la manipolazione genetica, sai che novità, e la ricerca esasperata di sempre più spettacolari attrazioni), la visione di Jurassik World non delude. Sorge comunque spontanea e ineffabile una domanda (banale): perché fare ancora film così, dal momento che non progrediscono di un centimetro (se non per quel che riguarda l’aspetto puramente tecnico) rispetto a quelli di quaranta, trenta, vent'anni fa? Bypassato, ormai da tempo, il giudizio critico, si presume che la risposta (altrettanto banale) sia: perché il pubblico corre in massa a vederli. Ma questo accadeva (con le dovute proporzioni) anche ai tempi di Terremoto, tanto per dire, però quattro decenni fa lo stesso Spielberg dirigeva un’opera epocale come Lo squalo, mentre oggi nessun regista occidentale di cinema fantasy/avventuroso ad alto budget riesce a - a nessun regista occidentale è permesso di - proporre qualcosa di veramente nuovo (negli sviluppi narrativi, nella capacità di esprimere contenuti non triti e ritriti, nella ricerca di immagini che, per esprimersi calcisticamente, facciano la differenza). Anche se un film come Jurassik World è godibile, si tratta di un godimento ben sterile.
     
a cura di Roberto Frini
      

Scomparso James Horner

Morto James Horner, il compositore statunitense premio oscar di Titanic. Aveva 61 anni è precipitato ieri con il suo monomotore vicino al Quatal Canyon, nella foresta nazionale di Los Padres, nel sud della California. La sua assistente Sylvia Patrycja, ha postato su Facebook il triste messaggio: “Abbiamo perso una persona meravigliosa, con un enorme cuore e un incredibile talento. È morto facendo quello che amava. Grazie per il vostro sostegno.”
Il musicista che aveva vinto due Oscar entrambi con Titanic (uno per la miglior colonna sonora e l'altro per la miglior canzone originale, My Heart Will Go On cantata da Celin Dion e finita in testa alle classifiche di tutto il mondo) ha composto anche le colonne sonore di Star Trek II: L'ira di Khan, Braveheart e Avatar. La sua carriera di compositore per il cinema è stata tra quelle più ricche del settore, infatti gli si accreditano circa 125 titoli.
Nato a Los Angeles il 14 agosto 1953 aveva iniziato a suonare il pianoforte già all’età di 5 anni; tra gli ultimi film a cui ha partecipato L'ultimo lupo di Jean Jacques Annaud e Billy The Great di Antoine Fuqua.
   

Benzina sul fuoco - Edizioni Il Ciliegio

La redazione GHoST segnala Benzina sul fuoco, il primo romanzo di Noemi Romagnolo, edito da Il Ciliegio Edizioni, una storia ironica, divertente a tratti perturbante dove i protagonisti dovranno affrontare gli alti e i bassi di una giostra chiamata “vita” dribblando una famiglia invadente, amici impiccioni, feste e set cinematografici. Benzina sul fuoco è un romanzo moderno e leggero come la penna della sua autrice. Il Ciliegio pubblica il libro d’esordio di Noemi Romagnolo, una giovane promessa della narrativa capace di tratteggiare una storia con grande efficacia stilistica senza concedere spiragli a virtuosi e fuori luogo orpelli letterari.
Al centro di questo libro c’è l’Amore con la A maiuscola. Un Amore edulcorato da commedia romantica, ma non privo di una tensione che sembra, ogni volta, voler precipitare i suoi protagonisti in un baratro sentimentale senza uscita…  Tuttavia Charlotte e Hayden una via d’uscita la troveranno sempre.
La storia: Hollywood, California. Hayden Evans è l’attore del momento, bello e irresistibile agli occhi delle fan. Charlotte, invece, è la ragazza che gli fa perdere la testa, ma che considera ormai un membro della famiglia. Quando però Charlotte torna nella città della celluloide dopo un periodo di assenza, comincia a guardarlo con occhi diversi.
Da quel momento Hayden, desiderato da decine di donne, si ritrova alle prese con il dramma felice, divertente e isterico di Charlotte, attrice come lui, ma soprattutto ragazza un po’ imbranata e con una mania: quella di volersi sempre controllare.
Benzina sul fuoco, Anno: 2015, pagine: 292, Codice ISBN: 978-88-6771-214-4, Collana: Narrativa, Editore: Il Ciliegio Edizioni. 
      
      
L'AUTRICE
Noemi Romagnolo è nata nel 1984 e vive ad Albenga sua città natale. Diplomatasi al liceo classico in seguito ha seguito studi di Scienze in della comunicazione all’Università di Milano, Bicocca. Da sempre appassionata di narrativa, ama scrivere soprattutto nel tempo libero. Ha pubblicato diversi racconti su siti  e forum raccogliendo molti consensi  e un discreto seguito. Benzina sul fuoco è il suo primo romanzo.
   

Pensiero del giorno - Albert Einstein 23/06/2015

Soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere. (Albert Einstein)
 
   

Out of memory di Carmelo Massimo Tidona

Aprì gli occhi in una strada sconosciuta. Per qualche istante si guardò intorno, disorientato. Poi, d'istinto, abbassò lo sguardo sulle mani che teneva protese in avanti senza comprenderne la ragione. Pallide, affusolate, con una lieve peluria scura sul dorso. Erano le sue mani. Il sangue che le macchiava, però, non sembrava essere il suo.
Non aveva ferite, per quanto gli era possibile notare a una prima ispezione. Qualche ammaccatura al più, nulla che sanguinasse.
E continuava a non sapere dove fosse. La strada era un vicolo cieco, illuminato a stento. In fondo un cumulo di spazzatura abbandonato, più vicine delle schegge di vetro e una sedia a rotelle di foggia antica, con una ruota che girava pigra cigolando appena.
Non si chiedeva come il suo corpo fosse arrivato lì, sarebbe stato inutile. Quello che non capiva era come vi fosse giunta la sua mente.
     
L'ingresso riservato ai dipendenti era in genere più trafficato di quello aperto al pubblico, che in effetti veniva utilizzato molto di rado. Anche arrivando con oltre un'ora di ritardo, Joe si ritrovò a incrociare parecchi dei suoi colleghi in entrata o in uscita. La prima volta che gli era successo li aveva ingenuamente salutati, ricevendo in cambio sguardi sorpresi ed espressioni imbarazzate. Non aveva impiegato molto a comprendere l'errore, e si era ben guardato dal ripeterlo.
Superata la prima porta, si rivolse all'uomo dietro il banco della sorveglianza con un saluto e un sorriso. Con lui quel genere di problemi non si applicava.
«Buongiorno Joe. Fatto tardi oggi?»
Lui gli mostrò il tesserino, che subito venne registrato dal rilevatore di accessi.
«Ah, visita periodica. Tutto bene?» chiese l'uomo. La domanda era retorica, i risultati erano già apparsi a video sul suo terminale assieme all'autorizzazione all'ingresso.
«Tutto nella norma, grazie.»
«Mi fa piacere. Sei uno dei pochi che è arrivato alla decima.»
Joe fece una smorfia. «Perché? Gli altri che fanno, muoiono prima?»
«Cambiano lavoro.»
Joe si strinse nelle spalle, sorrise e si avviò lungo il corridoio. Non aveva problemi col suo lavoro, perché cambiarlo?
Raggiunse la sua stanza, si tolse la giacca e la appese nell'angolo nascosto, poi passò una mano sul sensore per attivare le webcam e si sedette sul divanetto al centro, attivando i controlli per il riproduttore audio.
Quella parte, starsene lì in mostra e in attesa, era in effetti un po' noiosa, ma in genere impiegava il tempo leggendo o ascoltando musica. Di solito comunque non doveva aspettare a lungo prima che gli venisse segnalata la connessione di un cliente. Era un bel ragazzo, si teneva in forma e aveva un'espressione amichevole. Nonostante le previsioni, le richieste non gli erano mai mancate.
     
«Vedo che non ha firmato la liberatoria per le attività sessuali.»
Joe guardò l'esaminatore e si strinse nelle spalle. «Preferisco evitare.»
«Certo, è una sua scelta, ma devo avvertirla che questo ridurrà i potenziali clienti, e se non dovesse soddisfare i requisiti minimi...»
«Posso sempre ripensarci se vedo che le cose non vanno bene, giusto?»
«Sì, ma comunque avrà poco tempo per raggiungere la quota mensile.»
La risposta fu un'altra alzata di spalle condita da un sorriso.
«Come vuole. Ha già un backup?»
Joe lo guardò sorpreso «Credevo non servisse.»
«È solo per risparmiare tempo, gliene faremo uno prima che inizi in modo da dover fare solo aggiornamenti sul momento. Ai clienti non piace dover attendere troppo prima dell'upload.»
«Immagino», rispose lui, che in realtà non immaginava ma si sentiva in dovere di dire qualcosa.
«Vedo che non ha esperienze precedenti di condivisione.»
Joe fece un cenno negativo con la testa. Chissà poi perché la chiamavano "condivisione", visto che non si condivideva nulla. "Affitto" forse avrebbe avuto più senso.
«È un problema?» si decise a domandare.
«Dovrà dirmelo lei tra una settimana o due, ammesso ovviamente che abbia avuto dei clienti.» Il ragazzo si trattenne dal fare un plateale segno di scongiuro. «Può essere disorientante, non tutti si sentono a loro agio.»
«Mi hanno detto che non ci si accorge di niente.»
«Infatti, è proprio quello il problema. Comunque sia, benvenuto alla BS signor Lang, ci auguriamo che resterà tra noi a lungo.»
"Ammesso ovviamente che abbia dei clienti", pensò lui, ma evitò di dar voce al commento.
    
Doveva essere successo qualcosa, qualcosa di grave, ma cosa?
L'unico modo per saperlo era tornare alla BS e far verificare i log. Privacy o non privacy avrebbero dovuto farlo, di fronte a un'anomalia tanto evidente. Il problema era come arrivarci se neanche sapeva dove si trovava.
Si specchiò nel vetro di un portone. Oltre alle mani aveva anche il viso chiazzato di sangue, e così gli abiti, una maglia e un paio di jeans che sembravano suoi ma non ricordava di aver indossato. Girare per strada in quelle condizioni era escluso, lo avrebbero arrestato senza dargli la possibilità di spiegare nulla.
E del resto cosa poteva spiegare? Non aveva idea di cosa fosse accaduto, e lo scarico di responsabilità serviva a poco se non poteva provare di non essere in possesso del suo corpo. Nessuno gli avrebbe creduto se avesse detto di esservi tornato fuori dalla BS. Non ci credeva del tutto neppure lui.
Un lieve ronzio lo distolse dai suoi pensieri. Una ronda stava avvicinandosi all'imbocco del vicolo e lui se ne stava lì in bella vista.
Senza riflettere su quello che stava facendo, corse verso la sedia a rotelle, la rimise in piedi, premette quello che sperava fosse il freno e vi salì sopra, guadagnando il mezzo metro necessario ad aggrapparsi alle sbarre del balcone più vicino alla strada.
Si sollevò per metà, poi l'attrezzo infernale, che a quanto pareva non era stato frenato affatto, gli corse via da sotto lasciandolo sospeso e rischiando di farlo finire in terra.
Imprecò in silenzio, fece uno sforzo e si issò oltre la ringhiera. Non aveva bene idea di come entrare, ma non dovette riflettere a lungo: il vetro del finestrone era rotto, grosse schegge gli scricchiolarono sotto i piedi non appena si calò dall'altro lato.
Si voltò a guardare la strada. C'erano vetri anche lì, ora erano nascosti dal crepuscolo ma ricordava di averli visti. Che qualcuno avesse sfondato proprio quella finestra?
La situazione sembrava diventare più complicata. Se avesse saputo che un giorno sarebbe finito così, non avrebbe mai risposto all'annuncio.
    
«Che significa 'condivisione corporea'?»
Mara sollevò lo sguardo dal giornale da cui aveva appena declamato a voce alta una delle offerte di lavoro.
«Sai, a volte mi chiedo in che mondo vivi Joe.»
«A volte me lo chiedo anche io, ma questo non risponde alla mia domanda.»
«Significa che la gente paga per scaricare la loro mente nel tuo corpo e usarlo per un po'. Paga bene.»
«Il mio corpo? E che se ne fa?»
«'Tuo' per modo di dire, paga per usare il corpo di qualcun altro. E ci fa un po' di tutto: scalate, immersioni, cose che coi loro corpi non potrebbero fare, insomma. Questa però è una ditta per condivisioni a breve termine, quindi immagino che al massimo andranno a fare scena da qualche parte... o a letto con qualcuno.»
«Cioè dovrei permettere a qualcuno di usare il mio corpo per fare sesso con chi gli pare?»
«Non lo so, magari no, vai e chiedi. O visita il loro sito.»
«Ma... intanto che loro usano il mio corpo io che faccio? Sto lì a guardare?»
«No, tu sei fuori. Quando hanno finito vieni ricaricato. Ma davvero non lo sai?»
Joe scosse la testa.
«Hai presente i backup cerebrali?»
«Sì. Li fanno i ricchi per garantirsi contro i danni al cervello.»
«Be', è la stessa cosa. Ti fanno un backup e poi ti riscrivono il cervello con quello del cliente. Quando lui restituisce il corpo, ti reinstallano il backup. Nel frattempo tu non ci sei e basta, un po' come se dormissi.»
«E perché qualcuno accetta di... condividere il suo corpo.»
«Perché lo pagano.»
«Tutto qui?»
Mara girò il giornale perché potesse vederlo anche lui, puntando il dito verso lo stipendio base dichiarato nell'annuncio.
Joe si piegò in avanti, per un attimo senza capire cosa dovesse leggere. Poi focalizzò lo sguardo sulla cifra.
Tutto quello che disse fu: «Ah!»
    
L'appartamento era rischiarato da una debole luce. L'interno era piuttosto squallido, scarsamente ammobiliato: una libreria disadorna, una sedia, una piccola scrivania. Su quest'ultima, uno schermo 3D collegato a un'interfaccia neurale di ultima generazione spiccava come una nota stonata in quella sinfonia di frugalità.
Era lo schermo l'unica fonte di illuminazione. Joe lo guardò di sfuggita e la data, in alto a sinistra, lo colpì: 16 Gennaio 2029. Se era corretta, perché lui ricordava come ultima cosa di essere andato a lavoro il 15? Non poteva essere un suo errore, una data come quella ormai era semplice da ricordare.
    
«Può rivestirsi», lo informò il dottore mentre rimuoveva l'ultimo dei sensori dalla sua fronte.
Joe eseguì in silenzio. La visita era stata lunga ma non troppo sgradevole, solo una serie di esami diagnostici non invasivi. Aveva passato di peggio.
«Quindi è tutto a posto?», chiese dopo aver indossato i suoi abiti.
«Fisicamente è abbastanza in forma, e non ho riscontrato niente che possa far pensare che avrà effetti collaterali dalla riprogrammazione cerebrale ripetuta.»
«Possono essercene?», domandò, senza ottenere risposta.
«Ecco, tenga». Il medico gli stava porgendo un tesserino delle dimensioni di una carta di credito. Lui lo prese con scarsa convinzione.
«Che devo farci?»
«Le servirà a entrare in sede dall'ingresso dipendenti. Contiene i suoi dati personali e l'esito della visita che ha appena fatto. Se salta una visita, il tesserino lo segnala e le verrà impedito di lavorare finché non si rimette in pari.»
«Ogni quanto devo venire a farmi visitare?»
«Finché continua a lavorare alla BS, il 15 Gennaio e il 15 Luglio di ogni anno, senza eccezioni.»
«Anche di domenica e festivi?»
«Anche se gli alieni avessero appena invaso la Terra e la stessero cercando per mangiarla.»
«Perché?»
«Perché lo dico io. E se io non dico che può continuare a lavorare, lei è fuori. Le basta come motivazione?»
«Immagino che mi debba bastare.»
    
Il ronzio si fece più vicino. La ronda stava entrando nel vicolo, e non era il caso che lui se ne restasse lì a rimuginare.
Sulla moquette consumata si vedevano due tracce scure andare dal balcone fino alla porta della stanza. Joe le seguì senza calpestarle, muovendosi a passi lenti come se temesse che qualcuno potesse essere in attesa oltre la soglia per aggredirlo.
Sbucò in un corridoio in penombra, o per meglio dire in un'oscurità smorzata dalla luce proveniente da una porta socchiusa alla sua sinistra. Dove il pavimento era visibile, le due tracce che aveva seguito si rivelavano come chiazze allungate di un rosso bruno, non dissimili dalle macchie che lui stesso aveva addosso.
Qualunque cosa fosse successa doveva essersi svolta lì, e a questo punto sentiva il bisogno di sapere.
Si avvicinò all'ingresso della stanza e si sporse quel tanto che bastava per vederne l'interno. Era occupato quasi del tutto da un letto, poco più che un materasso e una coperta gettati su una rete alla bell'e meglio. Vi giaceva il corpo di una ragazza con la gola tagliata. La coperta era zuppa di sangue, ma ce n'era una pozza sul pavimento che non poteva essere arrivata lì dal letto.
Era da questa che partivano le due strisce dirette al balcone. Joe le seguì ancora una volta con lo sguardo e solo in quel momento si rese conto che stava lasciando deboli impronte rossastre dietro di sé. Eppure era sicuro di non aver calpestato il sangue.
Sorvolando su questo ennesimo mistero, indietreggiò fuori dalla stanza. Aveva lasciato già fin troppe tracce di sé, e non riteneva opportuno continuare a ficcanasare in giro.
A quanto pareva, qualcuno aveva usato il suo corpo per un omicidio, per quanto la cosa apparisse priva di logica. Come sperava di farla franca?
    
«Primo giorno?»
Joe sorrise all'uomo dietro il banco. «Si capisce subito?»
«No, è scritto qui», replicò questi indicando lo schermo davanti a sé. «Deve attendere un attimo.»
Fu un attimo per davvero. Poco dopo, fece la sua apparizione una ragazza sulla ventina, struccata e sorridente, che avanzò verso di lui a mano tesa. «Joe Lang?»
«In persona.»
«Sono Shirley, responsabile ambientamento. Vieni, ti mostro dove lavorerai.»
La seguì in quella che sarebbe diventata la sua stanza negli anni a venire, per quanto in realtà venisse usata da altri nei suoi turni di riposo. Era un semplice locale pressoché vuoto, pareti azzurrine che circondavano un divano ed erano circondate da piccole telecamere sferiche.
«Quell'angolo laggiù non viene mai inquadrato», gli spiegò Shirley indicando un punto in direzione dell'entrata. «Puoi poggiarci la tua roba, appenderci il cappotto, quello che vuoi. La porta dall'altro lato è il bagno, se devi andarci usa il sensore vicino all'ingresso per metterti in pausa, non lasciare mai la stanza vuota senza averlo fatto. Sul divano hai comandi per la musica...»
«Ma che devo fare di preciso?», la interruppe lui.
«Niente, stare qui e aspettare. Quando qualcuno ti richiede ti compare un messaggio sullo schermo, lì. A quel punto colleghi i sensori, aggiorni il tuo backup e il cliente fa l'upload.»
«E poi?»
«Poi niente. Quando il cliente ha finito ti riporta qui, attiva il download e appena ha finito il tuo backup viene reinstallato. Non te ne accorgi neppure.»
«E che succede se non mi riporta indietro?»
«Ti recuperiamo noi. Finché sei in condivisione viene tutto registrato nei log. Sono criptati per la privacy ma in caso di necessità accediamo, vediamo dove sei e ti veniamo a prendere. E poi, ovviamente, sappiamo sempre chi ti sta usando e da dove, quindi recuperiamo anche loro.»
«Quindi... tutto quello che faccio da adesso in poi è registrato?»
«No. Quello che fa il tuo corpo da adesso in poi è registrato. Quando sei fuori servizio, o anche quando sei qui in attesa di un cliente, non registriamo nulla. Ma durante la condivisione sì. È per la tua sicurezza. Se qualcuno commettesse un crimine usando il tuo corpo sapremmo subito chi è e cosa ha fatto, non dovresti neanche preoccuparti di giustificarti.»
«E se mi fanno... mi faccio... se subisco dei danni?»
«Ah be', per quello c'è l'assicurazione.»
    
Era tornato nel corridoio. E ora?
Anche se fosse uscito dalla porta principale era probabile che si sarebbe ritrovato al punto di partenza. Forse la cosa migliore era aspettare lì finché non fosse stato certo che la ronda era andata via, e poi trovare un modo di tornare alla BS e chiarire la situazione.
Forse avrebbe anche funzionato, se in quel momento non avessero suonato alla porta.
Joe si immobilizzò, cercando di non fare nessun rumore. Trattenne perfino il respiro, anche se non era certo che i sensori della polizia fossero così accurati.
Per un istante pensò che se la sarebbe cavata così, forse era solo un vicino che veniva a chiedere una tazza di zucchero, ma poi il campanello suonò ancora, accompagnato da una voce atona «Aprite. Polizia.»
Non per la prima volta da quando si era risvegliato, Joe abbandonò la logica e agì d'istinto. Si rituffò nella stanza dalla quale era entrato, superò con un balzo la ringhiera del balcone e atterrò malamente sulla sedia a rotelle che sembrava quasi volergli dare impiccio di proposito. La spinse via da sé con stizza, senza pensare, e inorridì al contatto della pelle con il tessuto di cui era rivestito il telaio. Era intriso di qualcosa di umido e appiccicoso e, sebbene fosse ormai troppo buio per vedere bene, aveva pochi dubbi su cosa potesse essere.
Si rialzò, zoppicando su una caviglia dolorante. Fece due, forse tre passi, poi una luce lo investì in pieno volto.
«Fermo. Polizia», declamò una voce con l'espressività di un treno merci. Il droide poliziotto fluttuava serafico a meno di mezzo metro da lui, con l'unità antigravitazionale che ronzava sommessamente nel silenzio.
    
Il pianerottolo era buio, ma in qualche modo riusciva a vedere a sufficienza. Una mano entrò nel suo campo visivo, raggiunse la porta e spinse, non era neppure chiusa.
Nel corridoio la luce era a malapena migliore. Ne arrivava un po' dalla stanza in fondo, e una lama sottile tagliava il buio da una porta semichiusa.
Parve avvicinarsi a quest'ultima, poi cambiare idea. Raggiunse un'altra stanza e la luce si accese senza che avesse fatto nulla, salvo forse pensare.
Era un cucinino con un piccolo piano cottura e qualche pentola appesa a dei ganci sul muro. La sua visione inquadrò un ceppo di coltelli. La mano si protese e ne estrasse uno senza esitazione, poi tornò sui suoi passi, e la luce si spense.
Poco dopo vide aprirsi davanti a sé un'altra camera. Era occupata perlopiù da una scrivania su cui era poggiato uno schermo 3D, ma di fronte a esso c'era una vecchia sedia a rotelle, e lì seduta, se così si poteva dire, una ragazza. Sapeva già che era una ragazza, perché altrimenti avrebbe pensato come prima cosa a una bambola di pezza a grandezza naturale, abbandonata lì perché divenuta inutile.
Le gambe pendevano senza vita, coi piedi storti che si incrociavano. Le braccia erano poggiate sul grembo. La testa ciondolava da un lato, senza nulla che la sostenesse. Gli occhi vitrei fissavano lo schermo, su cui il sito della BS faceva da contorno al video di una stanza vuota. L'immagine venne subito sostituita da uno schermo di stand-by, con l'orario e la data in un angolo e il nulla a fare da padrone nello spazio restante.
Due mani apparvero e afferrarono le maniglie della sedia, spingendola prima in corridoio e poi nella stanza illuminata, accanto al letto intatto che vi si trovava. Una delle due, poi, si ritrasse per un istante, e tornò impugnando il coltello.
Per qualche momento tutto divenne buio. Si udì un rumore indefinibile, un sibilo misto a un gorgoglio, e quando le tenebre scomparvero c'era sangue ovunque.
La scena rimase quasi immutabile a lungo. Il sangue fluiva dalla gola squarciata e la visione tremolava al ritmo dei pochi battiti di cuore residui che continuavano a spingerlo fuori dalle vene.
Le mani tornarono, quasi esitando. Avvolsero il corpo della ragazza e senza sforzo lo adagiarono sul letto. Poi si vide solo il pavimento, attorno alle ruote della sedia, dove il sangue aveva formato una pozza scura. Una mano tirò a sé l'orpello ormai inutile. Sembrava dovesse usare la stessa forza che era stata necessaria a spingerlo fin lì, come se la sua occupante non avesse avuto peso.
La sedia ruotò, o più probabilmente chi la guardava ruotò attorno a lei, per poi essere spinta di nuovo verso lo schermo.
A quel punto, però, la scena parve restringersi, consumarsi lungo i bordi come in un brutto effetto speciale.
«Che succede?», domandò una voce. Nel tono si percepiva stupore, ma anche collera, e delusione.
Il campo si allargò, tornò quasi normale, poi si restrinse ancora.
Con un urlo la sedia venne spinta via, con tale forza da andare oltre il finestrone, romperlo e ribaltarsi contro la ringhiera, precipitando di sotto.
Ora l'immagine pulsava, tornando normale per un attimo per poi restringersi di nuovo, ogni volta più piccola.
La sequenza parve accelerare. Si vide lo schermo, il corridoio, la porta, poi una breve rampa di scale, un portone, e infine un vicolo male illuminato. Scese il buio.
    
«Ma perché?», domandò Joe. «Se voleva uccidersi perché fare tutto questo?»
«Non poteva uccidersi. Era paralizzata, a stento poteva vivere», gli rispose Shirley. «Ma credo che sperasse di restare nel tuo corpo. Non sapeva che una volta morta lei il collegamento si sarebbe perso e la riprogrammazione si sarebbe cancellata. È per quello che è scattata la segnalazione e ti abbiamo fatto cercare.»
«Per questo non ricordo niente dopo il 15?»
Shirley annuì. «Non ti è stato reinstallato il backup, sei fermo all'ultima reinstallazione. Il tuo cervello si è semplicemente riprogrammato in base a quella. Non si può davvero cancellarlo, sai? Puoi sovrascriverlo ma i dati originali restano lì, solo sepolti.»
«Ma... come...» Non sapeva neppure lui cosa avrebbe voluto chiedere. La ragazza rispose comunque.
«Viveva con un minimo sussidio, assistenza domiciliare saltuaria e uno schermo 3D passato dall'assicurazione. Almeno la sua mente poteva fare qualcosa. Deve aver risparmiato ogni centesimo per permettersi la condivisione, chissà da quanto ci pensava.»
Joe non disse nulla. Aveva passato gli ultimi anni a dare in prestito un corpo a gente troppo annoiata per usare il proprio o troppo pigra per averne cura. In qualche modo aveva rimosso dai suoi pensieri il fatto che potessero esistere persone per cui perfino un corpo funzionante era un lusso.
«Comunque,» riprese Shirley, «l'importante è che sia stato risolto tutto. Non devi far altro che passare dal Dr Marks e farti reinstallare l'ultimo backup, e poi potrai scordarti di tutta questa storia. Sarà come se non fosse mai avvenuta.»
«È proprio necessario?»
Shirley lo guardò incredula. «Non vuoi recuperare i tuoi ricordi mancanti?»
«Non è questo. Penso solo che ci siano cose che meritano più di altre di non essere dimenticate.»