Jurassic World di Colin Trevorrow

Sono passati ventidue anni e Isla Nublar si popola nuovamente; la lussureggiante isola ospiterà finalmente, come John Hammond aveva a suo tempo progettato, un parco per famiglie a tema dinosauri: la notorietà del parco inizia però presto a diminuire, così come le sue visite. Per risolvere il problema, i proprietari decidono di aprire una nuova, grandiosa attrazione. Ma tra le minacciose ombre dell'Isla Nublar, l'imprevisto è in agguato...
Quarant’anni fa il corrispettivo di un film come Jurassik World avrebbe potuto essere La terra dimenticata dal tempo o, per rimanere negli Stati Uniti, Piranha, per certi versi più evoluto e dinamico (più americano) del piccolo capolavoro britannico firmato Kevin Connor. A Piranha, tra l’altro, Jurassik World somiglia: qua l’intenzione del cattivo di turno è di usare i velociraptor a scopi bellici, mentre nel film di Joe Dante i piranha, dopo una serie di esperimenti scientifici, erano stati liberati nei fiumi del Vietnam per sterminare i nemici (ma sono rintracciabili riferimenti ad altre pellicole con protagonisti killer acquatici, Lo squalo 3 e Tentacoli, ad esempio). Ovviamente sotto il profilo produttivo ogni paragone risulta improponibile, ma qualcosa dello spirito di quei film sembra – incredibilmente – sopravvivere in questo blockbuster dagli incassi stratosferici. L’arrivo dei due fratelli nel futuristico parco dei dinosauri rende bene la sensazione che potrebbero provare due ragazzi (più il piccolo del grande, a dire il vero, essendo quest’ultimo maggiormente interessato alle coetanee) di fronte a una meraviglia del genere. Si può intravedere la mano di Steven Spielberg dietro (quanto dietro, non è dato saperlo) le quinte. D'altronde è stato uno dei primi cineasti, verso la fine degli anni Settanta, a fare di bambini e adolescenti i protagonisti del cinema fantasy (nonché i principali spettatori, di conseguenza), adottandone in vari casi magistralmente il punto di vista. Il regista Colin Trevorrow (ibrido tra un giovane di belle speranze – avendo un solo lungometraggio per il cinema all'attivo – e uno yes-man, figura oggi molto in voga) non ha un compito facile: da una parte deve soddisfare in primis il target di quattordicenni o giù di lì a cui il film è rivolto, dall'altra deve dispensare spaventi senza esagerare in efferatezze. Risolve brillantemente (?) il problema ponendo sempre fuori campo le truculente aggressioni dei dinosauri o schermandole nei modi più disparati (con le fronde di un albero, con un automezzo rovesciato). Gli effetti orripilanti (come quelli speciali, ovvio) hanno comunque una discreta efficacia e l’azione non manca. Se si escludono i primi e gli ultimi cinque minuti, nonché varie parentesi dialogate (che non si discostano molto da quelle di un qualsiasi film per la tv) e si riesce a sorvolare sui messaggi ipocriti (contro la manipolazione genetica, sai che novità, e la ricerca esasperata di sempre più spettacolari attrazioni), la visione di Jurassik World non delude. Sorge comunque spontanea e ineffabile una domanda (banale): perché fare ancora film così, dal momento che non progrediscono di un centimetro (se non per quel che riguarda l’aspetto puramente tecnico) rispetto a quelli di quaranta, trenta, vent'anni fa? Bypassato, ormai da tempo, il giudizio critico, si presume che la risposta (altrettanto banale) sia: perché il pubblico corre in massa a vederli. Ma questo accadeva (con le dovute proporzioni) anche ai tempi di Terremoto, tanto per dire, però quattro decenni fa lo stesso Spielberg dirigeva un’opera epocale come Lo squalo, mentre oggi nessun regista occidentale di cinema fantasy/avventuroso ad alto budget riesce a - a nessun regista occidentale è permesso di - proporre qualcosa di veramente nuovo (negli sviluppi narrativi, nella capacità di esprimere contenuti non triti e ritriti, nella ricerca di immagini che, per esprimersi calcisticamente, facciano la differenza). Anche se un film come Jurassik World è godibile, si tratta di un godimento ben sterile.
     
a cura di Roberto Frini